E così, dopo tutta la fase preparatoria che abbiamo visto nel post precedente, il 30 novembre 1979 esce finalmente questo capolavoro dei Pink Floyd chiamato “The Wall”. Sono due elleppì racchiusi in una confezione apribile inconfondibile: mattoni all’esterno, personaggi della storia all’interno. In verità, l’album avrebbe potuto vedere tranquillamente la luce nel 1980 ma la casa discografica dei nostri forniva un sostanzioso anticipo se il disco fosse uscito entro Natale. Sembrerà assurdo ma in quel periodo i Pink Floyd avevano disperatamente bisogno di soldi: l’anno prima era fallita per bancarotta fraudolenta la società che curava i loro interessi e i Pink Floyd ci rimisero un sacco di quattrini. Ma veniamo alla cosa che più c’interessa, la musica: vediamo quindi di analizzare questo muro mattone per mattone.
1) L’album si apre con la potente In The Flesh?, uno dei brani più duri mai proposti dai nostri: a metà c’è un emozionante interludio corale dove emerge forte e sarcastica la voce di Roger Waters: è il benvenuto ad una nuova forma di show, ma anche un sentito invito ad andare oltre l’apparenza delle cose.
2) La roboante conclusione di In The Flesh? termina con l’inquietante fischio d’una bomba sganciata da un caccia… ma non ci sarà una deflagrazione come ci si potrebbe aspettare, bensì il pianto d’un neonato. Inizia quindi The Thin Ice, una ballata sostenuta principalmente dal piano dove David Gilmour canta la prima parte della canzone; nella seconda torna la sarcastica e tagliente voce di Roger, dopo la quale il ritmo si solleva e la chitarra di Dave produce un lancinante assolo (tipico Pink Floyd sound direi… magnifico!).
3) Il tutto sfuma in quella che è una delle mie canzoni preferite, Another Brick In The Wall, Part 1: cupa, intensa, sofferta, con Waters che grida ‘papà, cosa mi hai lasciato?, e poi quelle chitarre taglienti e avvolgenti insieme. Suprema!
4) Anche qui il ritmo sfuma nel brano successivo, introdotto da un minaccioso elicottero che si solleva sulle nostre teste: un imperioso insegnante ci grida (è sempre la voce di Roger, così come la maggior parte delle altre voci di sottofondo che si ascoltano in “The Wall”) di restare al nostro posto. Inizia così il pulsante dark-rock di The Happiest Days Of Our Lives, con il testo che è una tirata verso i metodi d’insegnamento oppressivi tipici dell’Inghilterra del dopoguerra.
5) La tematica si fa ancora più aggressiva ed esplicita nella successiva (e famosissima) Another Brick In The Wall, Part 2: il ritmo quasi disco, il basso funky, il coro dei bambini (una classe di ventitré studenti inglesi, poi moltiplicata in studio per dodici volte), l’assolo blues di Gilmour eseguito con una chitarra Gibson del 1959… quanto di più atipico i Pink Floyd dell’epoca avessero mai proposto ai loro ascoltatori. Ma oggi è uno dei brani più rappresentativi dei nostri, una canzone conosciuta anche da chi sente musica solo occasionalmente.
6) Poi è la volta di Mother, una grandiosa ballata perlopiù acustica, con la chitarra ritmica suonata da Waters, che dura oltre cinque minuti: Roger fa la parte dell’artista tormentato, Dave (nel ritornello) fa quella della madre che continua a vedere il proprio figlio come un pulcino indifeso, mentre Jeff Porcaro dei Toto tiene il tempo (a quanto pare, Nick Mason non sembrava riuscirci, e così…).
7) Segue un’altra ballata acustica, Goodbye Blue Sky, introdotta dall’inquietante rombo degli aerei da guerra che sovrasta il canto degli uccellini: l’atmosfera complessiva di questa canzone, con la sua coralità e la sua carica drammatica, è bellissima.
8-9) Andiamo oltre, all’atmosfera dark di Empty Spaces: in lontananza, su un minaccioso ritmo sintetizzato, un minaccioso assolo di chitarra si avvicina sempre più, per poi esplodere con tutta la sua carica drammatica (tipico stile gilmouriano, inconfondibile) e, dopo alcune voci misteriose di sottofondo (tutte di Waters), ecco il canto distorto ed alienato di Roger che funge da eccellente introduzione per la successiva Young Lust. Questa è un’altra grandiosa perla rock da parte dei nostri, con la voce urlante di Dave che ricorda molto The Nile Song, un brano dei nostri apparso dieci anni prima sulla colonna sonora del film “More”.
10) Una comunicazione telefonica dagli Stati Uniti che non viene accettata dalla nativa Inghilterra lega Young Lust alla canzone seguente, la straordinaria One Of My Turns. Qui l’inconfondibile voce di Roger canta l’amarezza per un amore che svanisce giorno dopo giorno: poi il tutto esplode rabbiosamente in un altro grande pezzo rock. Fantastico, fantastico davvero.
11) La successiva Don’t Leave Me Now è forse l’unica canzone di “The Wall” a contenere alcuni sprazzi di pura psichedelia, anche se il tono del brano è decisamente dark, con uno stralunato e irresistibile canto watersiano.
12-13) Al termine di Don’t Leave Me Now, i canali televisivi iniziano a scorrere compulsivamente uno dietro l’altro, dopodiché con un urlo di pazzia il protagonista della nostra storia, Pink, sfascia il tutto. Da questi botti si fa spazio prepotentemente Another Brick In The Wall, Part 3, un altro brano tirato e potente, con Roger che dà un’indimenticabile prova vocale, per quanto il brano sia di breve durata. Poi il suono sfuma efficacemente in quello che è l’ultimo brano del primo LP, la placida e cantilenante Goodbye Cruel World.
14-15) Cambiamo elleppì (o ciddì, anche questo è in doppio formato) ed eccoci alle prese con una delle canzoni più belle del mondo, la malinconica e sofferta Hey You. Inizia Dave, che suona anche quelle fantastiche linee di basso, dopodiché, dopo un interludio strumentale piuttosto viscerale,
eccoci alle prese con la sofferta voce di Roger (per la verità canta pure alcuni versi prima di questo interludio), il cui eco si tramanda fino alla successiva Is There Anybody Out There?. A questo punto si entra dall’altra parte del muro, dove Pink, recluso e profondamente solo nel suo hotel, affronta i suoi tormenti personali. ‘C’è qualcuno là fuori?’ si chiede più volte Roger, mentre Dave esegue dei lontani e strazianti interventi chitarristici (ricordano gli effetti che utilizzò nel 1971 per Echoes), poi la canzone si trasforma in un commovente interludio acustico, contrappuntato da un uso discreto dell’orchestra che ne fa uno dei momenti migliori del disco.
16) Alcuni rumori di sottofondo (“The Wall” ne è pieno, come l’intera produzione floydiana del resto) ci introducono la bellissima ballata per piano e orchestra di Nobody Home: qui l’esperienza personale di Waters (il cui canto, a tratti appassionato e a tratti desolato, è efficacemente arricchito con l’eco) si fonde con quella di Syd Barrett, a quel tempo il vero recluso tra i membri dei Pink Floyd.
17) Segue il terzo e conclusivo momento intimo dell’album, Vera, dove Roger si chiede che ne è stato della cantante Vera Lynn e dei suoi tempi. Si chiede inoltre, desolato, se qualcun altro prova ciò che prova lui.
18) I tamburi rullanti di Bring The Boys Back Home e il suo coro portentoso (ma sul canale destro degli speaker si sente chiaramente l’alta voce di Roger) sembrano riportarci alla realtà… riportate i ragazzi a casa, come dal fronte di guerra così come dai lustrini dello show-business.
19) Altri rumori, voci, effetti, ed eccoci poi ad un’altra stupenda canzone, anche questa senza ombra di dubbio tra le più belle del mondo: Comfortably Numb. L’idea originale della melodia venne a Gilmour mentre stava lavorando al suo album omonimo, l’anno prima. Roger Waters e Michael Kamen la arricchiscono, rispettivamente, con uno dei testi più suggestivi mai scritti da un cantante rock e con una grandiosa partitura orchestrale. Ma anche il buon Dave fa la sua parte: alla sua calda voce sono affidati i due ritornelli mentre gli assolo della sua inconfondibile chitarra sono l’elemento di spicco di questo brano. Comfortably Numb… che altro dire, un brano da urlo che non mi stanco mai d’ascoltare!
20) Ci riprendiamo con l’interrogativa e corale The Show Must Go On: la voce del protagonista della storia è affidata a Gilmour, mentre il tutto ci introduce alla fase finale di “The Wall”, l’esibizione di un nuovo Pink e della sua ‘banda surrogata’.
21-24) I Pink Floyd sono diventati cattivi, sembrano dei divi fascisti e le canzoni apostrofano pesantemente il pubblico: si inizia con In The Flesh (stavolta senza punto interrogativo) che ovviamente è una ripresa del brano iniziale dell’album; poi è la volta della tosta Run Like Hell, altro brano famoso dei nostri, con un’urlante ed indimenticabile voce di Waters; segue Waiting For The Worms, un rock solenne e suddiviso in più tempi, dove si intrecciano magistralmente i cori e le voci soliste di Dave e Roger. Ormai quello che nel canale sinistro degli speaker era una folla urlante ‘Pink Floyd’ ora è diventato sul canale destro un incitamento a picchiare, ‘Hammer! Hammer!’ e Roger grida Stop!. Ormai Pink è disgustato da tutto e l’unica cosa che chiede (su un lieve accompagnamento pianistico) è di togliersi l’uniforme per poter tornare a casa.
25) Qui, ancora una volta da solo e alle prese coi suoi demoni, Pink si sottopone ad un processo mentale, The Trial, con tanto di avvocato, accusa (preside della scuola prima, e moglie dopo), difesa (la madre) e giudice inflessibile. Tutte le voci dei personaggi sono magistralmente cantate da Roger (con il ritornello in prima persona nel quale afferma di essere ormai pazzo e di aver perso di vista la porta che gli ha dato accesso al suo muro), mentre la partitura orchestrale arrangiata da Bob Ezrin regge uno dei pezzi più teatrali ed emotivi dei nostri. ‘Abbattete il muro’ è la sentenza finale, e così un liberatorio crollo di mattoni, cemento e calcinacci invade le nostre orecchie d’ascoltatori.
26) La consolazione finale ci viene da quello che, inevitabilmente, è il brano più disteso del disco, Outside The Wall, la cui lieve melodia (contrappuntata dal flauto dolce) ci era stata proposta per qualche secondo già nell’iniziale In The Flesh?. In effetti, come la frase tagliata a metà che conclude il secondo elleppì e che continua nel primo, tale conclusione suggerisce la ciclicità di questa complessa e affascinante opera discografica che è “The Wall”.
Che altro aggiungere… un po’ di crediti compositivi: tutte le musiche ed i testi sono opera di Roger Waters, tranne le musiche di Young Lust, Comfortably Numb e Run Like Hell che sono di Gilmour e la musica di The Trial che è di Ezrin. Da segnalare un grandissimo James Guthrie, il tecnico del suono principale di “The Wall”, nonché co-produttore associato di quest’opera. Il buon James continua tuttora a lavorare per i vari membri dei Pink Floyd… squadra che vince non si cambia!
Waters scrisse anche altro materiale, una parte del quale verrà anche pubblicata in diverse forme… ma questo lo vedremo nel prossimo e conclusivo post dedicato a “The Wall”. – Matteo Aceto