Stripped, nuovo libro sui Depeche Mode

depeche-mode-libro-stripped-immagine-pubblicaE’ uscito da poco “Stripped”, un nuovo libro biografico sui Depeche Mode, scritto da Jonathan Miller. E’ un bel librone di oltre seicento pagine che ripercorre la storia di questo celebre gruppo inglese, dai primi anni fino al suo più recente capitolo discografico, l’album “Playing The Angel” (2005).

Ieri sera, mentre mi trovavo nel solito centro commerciale dalle mie parti, ho avuto modo di dargli un’occhiata ravvicinata e di leggermi qualcosina. Ci sono innanzitutto un sacco di belle foto, compresa una del 1969 dove, in una classe scolastica di bambini, si vedono sorridenti Vince Clarke e Andy Fletcher, futuri fondatori della band. Ma i dettagli biografici e musicali sono tantissimi: ad esempio, non sapevo che sul finire degli anni Ottanta, mentre i Depeche Mode completavano l’album “Violator”, Andy fu costretto a ricoverarsi alla Priory, una celebre clinica inglese che ha ospitato diverse rockstar, a causa di una profonda depressione. E lì ha incontrato un altro ospite illustre: ‘c’era anche quel tipo eccentrico dei Cure‘ ha detto Fletcher… chi, Robert Smith?

La cosa però che più mi ha colpito sono stati i dettagli musicali: ad esempio, non sapevo affatto che il breve interludio chitarristico che si ascolta in “Violator”, fra Enjoy The Silence e Policy Of Truth, sia stato suonato da Dave Gahan, il cantante del gruppo. Così come il fatto che la stessa Policy Of Truth abbia avuto una lunga evoluzione, col suo celebre riff aggiunto solo verso la fine.

Insomma, da bravo appassionato dei Depeche Mode, credo proprio che la lettura di questo “Stripped” sia per me necessaria. Sono stato tentato dal comprarmi il librone ma i suoi ventidue euro necessari per portarmelo a casa mi hanno un po’ fatto passare la voglia. Vedremo più in là, magari sotto Natale…

Che poi, perlamiseria, devo ancora comprarmi la benedetta enciclopedia su David Bowie scritta qualche anno fa da Nicholas Pegg! – Matteo Aceto

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Altre canzoni, altre citazioni musicali

Stevie Wonder Sir Duke immagine pubblicaDopo un post che riportava alcune autoreferenze musicali fra (ex) componenti d’una stessa band, ora vediamo quali brani si riferiscono – più o meno direttamente – a cantanti, gruppi o componenti di band esterne all’artista che canta e/o scrive la canzone.

Citazioni che esplicitano i Beatles si trovano in All The Young Dudes dei Mott The Hoople, Born In The 50’s dei Police, in Ready Steady Go dei Generation X e in Encore dei Red Hot Chili Peppers, mentre i Clash sfottono la beatlemania in un verso dell’ormai classica London Calling. In realtà, nel periodo in cui i Beatles erano attivi e famosi in tutto il mondo, comparvero diverse canzoni di artisti meteore che citavano i quattro per i motivi più disparati: ricordo, ad esempio, una canzone rivolta a Maureen Starkey, prima moglie di Ringo Starr, che doveva ‘trattare bene’ il batterista, ma anche una rivolta a John Lennon, che, secondo il suo autore, s’era spinto troppo oltre con la celebre sparata dei ‘Beatles più famosi di Cristo’. Anche noti artisti italiani hanno citato i Beatles, come Gianni Morandi in C’era Un Ragazzo Che Come Me… e gli Stadio in Chiedi Chi Erano i Beatles.

Alla prematura & sconvolgente morte di Lennon fanno invece riferimento Empty Garden di Elton John, Life Is Real (Song For Lennon) e Put Out The Fire dei Queen, Murder di David Gilmour, ma anche la famosa Moonlight Shadow di Mike Oldfield. John vivo & vegeto viene invece citato da David Bowie nella sua celebre Life On Mars? del 1971… Bowie che a sua volta viene citato – con Iggy Pop – in Trans Europe Express dai Kraftwerk. Esiste tuttavia una canzone chiamata proprio David Bowie, pubblicata dai Phish… che poi, a dire il vero, le citazioni riguardanti Bowie sono molte di più: uno dei più acclamati biografi di David, Nicholas Pegg, dedica alla questione un intero paragrafo nella sua notevole enciclopedia.

Anche i Rolling Stones sono stati oggetto di diverse citazioni, fra le quali le stesse C’era Un Ragazzo Che Come Me…, All The Young Dudes e Ready Steady Go viste sopra, ma anche I Go Crazy dei Queen e She’s Only 18 dei Red Hot Chili Peppers. Il solo Mick Jagger viene invece citato da David Bowie nella sua Drive In Saturday e ritratto in altre canzoni del suo “Aladdin Sane” (1973), mentre i Maroon 5 hanno addirittura creato una Moves Like Jagger.

Billy Squier ci ricorda Freddie Mercury con I Have Watched You Fly, così come ha fatto anche il nostro Peppino Di Capri in La Voce Delle Stelle, mentre a commemorare Kurt Cobain ci hanno pensato Patti Smith in About A Boy e i Cult con Sacred Life. Riferimenti a Elvis Presley si trovano in diverse canzoni di Nick Cave, così come in Angel degli Eurythmics, mentre i Dire Straits lo invocano in Calling Elvis. Nella sua God, John Lennon dice invece di non crederci più, in Elvis, così come in Bob Dylan. Dylan che viene esplicitamente citato in Song For Bob Dylan di Bowie e in Bob Dylan Blues di Syd Barrett ma che tuttavia viene sbeffeggiato in alcuni inediti lennoniani come Serve Yourself.

Citazione-omaggio per Brian Wilson dei Beach Boys da parte dei Tears For Fears in Brian Wilson Said, dove la band inglese rifà anche il verso ad alcuni tipici effetti corali dell’indimenticata surf band americana. Invece al celebre tenore Enrico Caruso hanno reso omaggio, oltre a Lucio Dalla con la struggente Caruso, anche gli inglesi Everything But The Girl con The Night I Heard Caruso Sing. Il grande Duke Ellington ci viene ricordato da Stevie Wonder con la famosa Sir Duke (nella foto in alto, la copertina del singolo), ma il pezzo più impressionante dedicato al duca è di Miles Davis che, con He Loved Him Madly, realizza uno straordinario requiem in stile fusion per il suo idolo musicale. Un altro grande artista nero, Marvin Gaye, ci viene invece malinconicamente ricordato in un successo dei Commodores, Nightshift, mentre trent’anni dopo il giovane Charlie Puth si è fatto notare con una canzone chiamata proprio Marvin Gaye.

A Jonathan Melvoin, tastierista degli Smashing Pumpkins morto d’overdose nel ’96, Prince ha dedicato la bellissima The Love We Make (Jonathan era amico di Prince, giacché questi era stato fidanzato a lungo con sua sorella, Susannah Melvoin). Invece il truce rapper The Notorius B.I.G. è stato omaggiato dalla fortunata I’ll Be Missing You, un duetto fra Puff Daddy e Faith Evans basato sulle note di Every Breath You Take dei Police.

Oltre ai ricordi dolorosi, però, ci sono anche sentimenti d’amicizia e di stima, simpatie, accuse e sfottò… ecco quindi i Police che si fanno beffe di Rod Stewart in Peanuts e i Sex Pistols che, in New York, deridono tutta la scena punk americana che sembra averli preceduti. La scena punk inglese viene invece omaggiata da Bob Marley in Punky Reggae Party, dove il grande artista giamaicano cita i Clash, i Jam e i Damned. I Pink Floyd rimpiangono invece Vera Lynn in Vera, tratta dal loro monumentale “The Wall”. In She’s Madonna, Robbie Williams, oltre a farsi accompagnare dai Pet Shop Boys (citati anch’essi in un altro pezzo di Robbie), esprime il suo apprezzamento per… Madonna. E se Wayne Hussey dei Mission canta la sua vicinanza a Ian Astbury dei Cult in Blood Brother, gli Exploited urlano l’innocenza di Sid Vicious in, appunto, Sid Vicious Was Innocent. Altri riferimenti alla parabola di Sid (e della compagna Nancy Spungen) li possiamo trovare in I Don’t Want To Live This Life dei Ramones e in Love Kills di Joe Strummer. I Sex Pistols in quanto tali sono invece citati in una canzone dei Tin Machine, così come in un’altra di quel gruppo capeggiato da David Bowie viene citata Madonna.

Non è mai stato chiarito da Michael Jackson se la sua Dirty Diana si riferisca all’amica Diana Ross o meno, ma per completezza ci mettiamo anche questa, così come non è chiaro il destinatario di You’re So Vain, il più grande successo di Carly Simon (secondo i più è indirizzata a Mick Jagger che, in realtà, contribuisce ai cori della canzone stessa). Di certo una curiosa immagine di Yoko Ono ci viene invece offerta da Roger Waters nella sua The Pros And Cons Of Hitch Hiking.

Per quanto riguarda gli italiani, mi vengono in mente La Grande Assente di Renato Zero (un omaggio all’amica Mia Martini), No Vasco di Jovanotti (non so se il titolo è esatto, comunque il riferimento è Vasco Rossi) e quella buffa canzone di Simone Cristicchi che cita di continuo Biagio Antonacci.

Quali altri esempi conoscete? Di certo, oltre a quelli che non conosco io, ce ne sono molti altri che ho dimenticato di citare [ultimo aggiornamento, 7 aprile 2011]. – Matteo Aceto

Il Bowie più amato

David BowieFrequento spesso & volentieri un interessante sito dedicato a David Bowie da parte di una comunità di appassionati italiani, Velvet Goldmine.

Oltre a (ri)proporre ottime recensioni e le ultime novità sull’arte e la vita del grande cantante inglese, il sito propone quasi ogni settimana degli interessanti sondaggi sugli aspetti più disparati delle molteplici attività bowiane.

Gli esiti di alcuni di quei sondaggi sono illuminanti e, in qualche caso, pure sorprendenti. Ne riporto alcuni, proposti nel corso degli anni da Velvet Goldmine ai suoi lettori.

  • La copertina più amata è quella dell’album “Aladdin Sane” (totale voti: 244)
  • il miglior disco dal vivo è “Stage” (totale voti: 192)
  • la cover migliore è My Death di Jacques Brel (totale voti: 213)
  • il video migliore è quello girato per Ashes To Ashes (totale voti: 253)
  • la miglior collaborazione è quella che ha fruttato l’album “Transformer” di Lou Reed (totale voti: 195)
  • l’album ‘perfetto’, oltre che quello più amato, è “Ziggy Stardust” (totale voti: 251)
  • il miglior brano d’apertura d’un suo album è Station To Station (totale voti: 256)
  • il miglior brano di chiusura è invece Rock ‘n’ Roll Suicide (totale voti: 252)
  • il brano strumentale più amato è Speed Of Life (totale voti: 231)
  • il gesto più spettacolare della carriera di Bowie è l’addio alle scene di Ziggy (totale voti: 199)
  • il periodo bowiano preferito è l’ascesa e la caduta di Ziggy (totale voti: 280)
  • potendo viaggiare nel tempo, i fan vorrebbero (ri)vedere lo Ziggy Stardust Tour (totale voti: 217)
  • la canzone capolavoro è Heroes (totale voti: 254)
  • il disco irrinunciabile resta “Ziggy Stardust” (totale voti: 268)
  • il miglior produttore col quale Bowie abbia mai lavorato è Tony Visconti (totale voti: 188)
  • infine, Mick Ronson resta il chitarrista più amato fra quelli che hanno accompagnato Bowie nella sua lunga carriera (totale voti: 246).

Ecco, invece, le mie preferenze agli stessi quesiti…

  • la copertina che preferisco è quella di “Ziggy Stardust”
  • concordo sul fatto che “Stage” sia il miglior album live di Bowie
  • ammetto di non aver mai ascoltato My Death, ma se c’è una cover bowiana che mi fa impazzire è China Girl
  • corcordo sul fatto che il video migliore è quello di Ashes To Ashes
  • concordo pure sul fatto che la sua miglior collaborazione è “Transformer”, anche se trovo più interessante quella con Iggy Pop per l’album “The Idiot”
  • il suo album perfetto… uhm, davvero difficile a dirsi, forse concordo su “Ziggy Stardust” ma direi anche “Diamond Dogs”
  • il miglior brano d’apertura mi sembra Beauty And The Beast
  • miglior chiusura… direi The Secret Life Of Arabia, al termine di “Heroes”
  • lo strumentale che amo di più è Warszawa
  • il suo gesto più spettacolare… non saprei dirlo… forse l’aver pubblicato di seguito due dischi sperimentali & innovativi come “Low” e “Heroes”
  • il periodo bowiano che preferisco è quello berlinese (1976-1978)
  • potendo viaggiare nel tempo, andrei a vedermi il tour di “Heroes”
  • la canzone capolavoro è Ashes To Ashes
  • il disco irrinunciabile… ne prenderei uno a caso fra “Hunky Dory”, “Ziggy Stardust”, “Diamond Dogs”, “Station To Station”, “Low”, “Heroes”, “Lodger” e “Scary Monsters”
  • concordo che il miglior produttore sia stato Visconti
  • concordo anche che il miglior chitarrista sia stato Ronson.

– Matteo Aceto

Michael Jackson: storia e discografia

(FILES) US pop star and entertainer MichNon l’ho mai negato e non devo certo vergognarmene: a me Michael Jackson è sempre piaciuto. Voglio dire, la sua musica e il suo innegabile talento visionario. Per me, Michael rimane un personaggio legato all’infanzia, agli anni Ottanta, quando rimanevo incantato davanti alla tivù nel vedere i suoi celebri videoclip: Thriller, Beat It, Billie Jean, Dirty Diana, Bad, Smooth Criminal e altri. Però è stato nei Novanta che ho iniziato a comprare i suoi dischi, anche se in quel periodo m’è un po’ crollato il mito per via dei tanti scandali – veri o presunti – che hanno accompagnato il nostro fino alla fine.

Personaggio fra i più eccentrici, carismatici e controversi che la dorata industria del pop-rock abbia mai proposto al grande pubblico, Michael Jackson s’è conquistato nello spazio di pochi anni, e con una manciata di album, un posto di diritto nella storia della musica ma anche del costume e della cultura, influenzando e stregando più d’una generazione. Insomma, piaccia o meno, la presenza di Michael Jackson fa parte del nostro vissuto quotidiano, al pari di altri personaggi leggendari come Elvis Presley, John Lennon o Frank Sinatra.

La storia artistica di Michael Joseph Jackson, nato in Indiana (USA) nel 1958, parte veramente da lontano, quasi quanto la sua stessa vita biologica: infatti a cinque anni già canta nei Jackson 5, un gruppo perlopiù vocale composto da altri quattro fratelli, che entro pochi anni inizierà ad incidere per una major discografica, la celeberrima e prestigiosa Motown. Il nostro è un autentico bambino prodigio, canta, balla e dà spettacolo che è una meraviglia, e in breve tempo cresce anche la sua consapevolezza d’artista: sarà proprio lui, a metà anni Settanta, a volersi slegare dalla Motown perché sentiva il bisogno di svincolarsi dalle imposizioni di manager e produttori. E così, a parte il fratello Jermaine Jackson (sentimentalmente legato alla figlia di Berry Gordy, boss della Motown), i Jackson passano alla Columbia (in seguito acquistata dalla potente Sony), aggiungono un altro fratello, Randy, e l’avventura riparte sotto il nome di The Jacksons.

La vicenda discografica dei Jacksons proseguirà fra enormi successi fino al 1984, quando i sei figli maschi di casa Jackson (ve ne sono altri tre di figli, tre femmine, fra cui la famosa Janet) pubblicheranno l’album “Victory” e ne celebreranno i fasti con un imponente tour mondiale. Nel frattempo Michael ha avuto modo d’oscurare non solo i suoi fratelli ma anche ogni altra star musicale del tempo, grazie allo straordinario successo di “Thriller” (1982), tuttora l’album più venduto di sempre. Ma, a ben vedere, già nel 1979, con l’uscita del suo album solista “Off The Wall”, il nostro ottiene uno strepitoso successo di critica e pubblico (l’album vende dieci milioni di copie in tutto il mondo, mica noccioline…), imponendosi con due grandiosi singoli danzerecci, Rock With You e Don’t Stop ‘Til You Get Enough, e una toccante ballata, She’s Out Of My Life.

Nel corso degli Ottanta, dopo il successo planetario di “Thriller”, Michael Jackson diventa quel re del pop che tuttora molti ricordano come tale, pubblicando l’album “Bad” (1987) e singoli famosi come The Way You Make Me Feel, Man In The Mirror, Bad, Dirty Diana e Smooth Criminal. Inoltre, scrive con Lionel Richie la famosissima We Are The World per un imponente progetto benefico al quale prendono parte le maggior stelle del pop-rock americano del periodo.
Diversi videoclip di Michael figurano celebrità hollywoodiane quali John Landis, Martin Scorsese, Dan Aykroyd e Eddie Murphy, e lui stesso avrà modo di cimentarsi occasionalmente col cinema, in particolare col film musicale di “Moonwalker” (1988).
Impressionante anche la lista di chi, nel corso degli anni, ha suonato e cantato al suo fianco: Stevie Wonder, Paul McCartney, Freddie Mercury, Diana Ross, Barry Gibb, Mick Jagger, i Toto, Quincy Jones, Slash, Eddie Van Halen, Steve Stevens e altri ancora.

Arrivano gli anni Novanta e per Michael Jackson arrivano anche altri successi, come testimoniato dall’album “Dangerous” (1991) e dai suoi singoli estratti: Black Or White, Heal The World, Remember The Time, Jam e In The Closet sono tutti scalatori di classifiche internazionali. Tuttavia sarà proprio a cavallo degli Ottanta e dei Novanta che il grande pubblico prende più a chiacchierare della vita privata di Michael che della sua carriera artistica: il cantante, infatti, si è sottoposto a svariati interventi chirurgici ed estetici, che, di fatto, l’hanno trasformato in un altro. Il suo nome figurerà così più sui tabloid scandalistici che sulle riviste musicali, grazie ad una serie di manie, fobie e stranezze che Michael manifesterebbe in privato e talvolta anche in pubblico.

Nel 1993, infine, la botta finale: Jackson viene accusato e processato per molestie a minori. Processi che si ripeteranno altre volte, per almeno altri dieci anni, con grande attenzione mediatica in tutto il mondo. Qualcosa di vero deve pur esserci ma una colpevolezza effettivamente provata non s’è mai prodotta… per quanto mi riguarda, mi rifiuto di credere che uno come Michael Jackson – la stella della musica che più ha donato in beneficenza – abbia mai violentato un solo bambino.

Nel frattempo la sua musica va avanti, anche se la sua immagine, e quindi la sua credibilità, sono notevolmente compromesse: nel 1995, dopo un chiacchieratissimo matrimonio (durato poco più di un anno) con Lisa Marie Presley, la figlia del celeberrimo Elvis, Michael pubblica il doppio “HIStory“, metà raccolta antologica e metà nuovo album, che riscuote dappertutto un enorme successo. Non così potrà dirsi di “Invincible” (2001) che, dopo l’ottimo singolo You Rock My World, non farà più parlare di sé, divenendo quindi il primo vero flop di Jackson. Un flop da dieci milioni di copie, ovviamente. Seguirà quindi una marea imbarazzante di raccolte e ristampe curate dalla Sony che dura tuttora.

Eccoci infine al 2009: l’anno che avrebbe dovuto segnare il ritorno in grande stile di Michael Jackson – con una residency di concerti a Londra che aveva già fatto segnare il tutto esaurito mesi e mesi prima – che viene ricordato per sempre come quello della fine, il sogno di vedere nuovamente il re del pop senza più macchie né aloni che si traduce nell’incubo di una morte improvvisa che ha letteralmente commosso il mondo intero. Una morte che, se non altro, ci ha fatto capire una volta per tutte quanto è stato importante Michael Jackson per tutti noi. La storia della musica senza un personaggio così, noi non ce la possiamo proprio immaginare [ultimo aggiornamento: 18 settembre 2018].

DISCOGRAFIA SOLISTA 1971-2001: “Got To Be There” (1972), “Ben” (1972), “Music & Me” (1973), “Forever, Michael” (1975), “Off The Wall” (1979), “Thriller” (1982), “Bad” (1987), “Dangerous” (1991), “HIStory” (1995), “Blood On The Dancefloor” (1997), “Invincible” (2001).

The Beatles, una ghiotta notizia!

the-beatles-inedito-immagine-pubblica-blogHo appena letto sul Corriere della Sera che Paul McCartney sarebbe finalmente intenzionato a pubblicare A Carnival Of Light, non solo uno dei pezzi più strani dei Beatles ma anche uno dei più rari messi su nastro dal famigerato quartetto inglese.

Incisa il 5 gennaio 1967 allo Studio 2 di Abbey Road, mentre il gruppo lavorava su Penny Lane, A Carnival Of Light è una lunga registrazione d’avanguardia (dura la bellezza di 13 minuti e 48 secondi) intesa per l’omonimo spettacolo di musica psichedelica che si tenne al Roundhouse Theatre di Londra qualche tempo dopo.

A Carnival Of Light, originariamente registrata come Untitled, non è mai comparsa su disco, nemmeno fra gli innumerevoli bootleg beatlesiani. Qualche anno fa apparve un frammento in rete secondo cui si tratterebbe di uno spezzone di A Carnival Of Light. Certo è che il lungo brano è stato ripulito e/o remixato per la pubblicazione sul progetto “Anthology” (1996), salvo l’alt all’ultimo minuto da parte di George Harrison che riteneva quella creazione più un’opera di Lennon & McCartney che una dei Beatles. In effetti le voci di Paul e John (o meglio, le urla, le risate e i gorgheggi…) sono le uniche che si sentono in una composizione eseguita con batteria, tamburello, organo, chitarra elettrica e una miriade di effetti sonori più o meno distorti.

Non sarà forse un capolavoro perduto, questa A Carnival Of Light, ma sarebbe certamente un ascolto interessante, l’ennesima testimonianza della straordinaria versatilità creativa ed espressiva dei Beatles. Forza Paul, facci sapere! – Matteo Aceto

Autoreferenze musicali: accuse, rimorsi e nostalgia

George Harrison All Those Years AgoUn altro aspetto della musica che mi ha sempre affascinato riguarda i riferimenti – espliciti o meno – di un artista verso uno o più componenti della sua stessa band. La storia del pop-rock è piena d’esempi, con testi che, da semplici sentimenti di nostalgia per qualcuno che purtroppo non c’è più, vanno ad accuse al vetriolo verso chi non s’è comportato bene per i motivi più disparati. Di seguito riporto quelli che per primi mi sono venuti in mente, riservandomi il diritto d’aggiornare il post in seguito, magari anche col contributo dei lettori.

Partiamo come sempre dai Beatles: già con You Never Give Me Your Money, Paul McCartney si lamentava delle beghe finanziare dell’ultima fase del celebre quartetto. In Two Of Us, invece, Paul ripensa malinconicamente a John Lennon e alla tanta strada che i due hanno fatto insieme. McCartney riuscì comunque a trovare sollievo nella consolatoria Let It Be, dopo i suoi ‘times of trouble’. I riferimenti all’uno o all’altro Beatle sono aumentati dopo lo scioglimento del gruppo: e così abbiamo Ringo Starr che in Early 1970 commenta l’amara fine dei Beatles, George Harrison che sfoga un suo litigio con Paul in Wah Wah, mentre McCartney e Lennon si scambiano accuse, rispettivamente, con Dear Friend e How Do You Sleep?. Altre frecciate da parte di George, verso Paul ma anche John, si trovanon in Living In The Material World. Altre beghe contrattuali e giudiziare in Sue Me Sue You Blues, ancora con Harrison, che tuttavia è l’autore della prima canzone-omaggio a Lennon, All Those Years Ago (nella foto, la copertina del singolo), cosa che anche McCartney farà con la sua Here Today. Invece la morte prematura dello stesso George sarà ricordata da Ringo in Never Without You. Altri riferimenti espliciti ai Beatles in quanto tali si trovano in God di John, in I’m The Greatest di Ringo e in When We Was Fab di George.

In realtà i riferimenti all’uno o all’altro Beatle sono molti di più: ricordo la tesi d’uno studente australiano che affermava come la maggior parte delle canzoni dei Beatles scritte da John e Paul fosse un continuo botta & risposta fra i due: e così, per esempio, se John sceglieva di cimentarsi con la cover di Money (That’s What I Want), Paul rispondeva con la sua Can’t Buy Me Love. Altri riferimenti a McCartney si trovano in You Can’t Do That e Glass Onion, mentre pare che il bassista fosse anche il destinatario di Back Off Boogaloo, uno dei primi pezzi solisti di Ringo, e nella conciliatoria I Know (I Know) di John. E’ un aspetto molto interessante nel canzoniere dei Beatles che meriterebbe un post tutto per sé… per ora andiamo avanti, con esempi presi da altre discografie.

Passando ai Pink Floyd, abbiamo l’arcinota Shine On You Crazy Diamond che ci ricorda Syd Barrett con struggente nostalgia, così come Wish You Were Here e Nobody Home. Ma è dopo la dolorosa defezione di Roger Waters che i componenti dei Floyd iniziano a battersi con le canzoni: e così per un David Gilmour che, rivolgendosi al burbero bassista, canta You Know I’m Right, abbiamo un Waters che replica in Towers Of Faith… ‘questa band è la mia band’. In seguito Gilmour cercherà di essere più conciliante ma Waters seppe solo mandarlo affanculo… è quanto sembra emergere fra le righe di Lost For Words. Altri riferimenti a Barrett e allo stesso Waters si ritrovano in Signs Of Life, brano d’apertura di “A Momentary Lapse Of Reason”.

Risentimenti vari anche in casa Rolling Stones: Mick Jagger e Keith Richards se li sono scambiati a vicenda negli anni Ottanta con, rispettivamente, Shoot Off Your Mouth e You Don’t Move Me. Rabbia verso altri (ex) partner musicali si trovano anche in F.F.F. dei PiL (indirizzata a Keith Levene, solo pochi anni prima affettuosamente ritratto in Bad Baby), in This Corrosion dei Sisters Of Mercy (l’indirizzo è quello di Wayne Hussey), in Fish Out Of Water dei Tears For Fears di Roland Orzabal (il destinatario è ovviamente Curt Smith) e sopratutto in Liar dei Megadeth, ovvero una scarica di pesanti insulti verso l’ex chitarrista Chris Poland.

In casa Queen siamo invece addolorati per la morte di Freddie Mercury: ce lo cantano Brian May con la sua Nothin’ But Blue (alla quale partecipa pure John Deacon) e Roger Taylor con Old Frieds. Ma trasudano tristezza anche Wish You Were Here dei Bee Gees e Knock Me Down dei Red Hot Chili Peppers: nella prima si piange la morte prematura di Andy Gibb, fratello più giovane di Barry, Robin e Maurice, nella seconda si piange invece quella del chitarrista Hillel Slovak. Ancora in casa Chili Peppers, fra l’altro, in Around The World del 1999 viene citato anche il sostituto di Slovak, il più noto John Frusciante.

Sentimenti di rivalsa invece con Don’t Forget To Remember dei Bee Gees, Solsbury Hill di Peter Gabriel, We Are The Clash dei Clash, Why? di Annie Lennox e No Regrets di Robbie Williams: la prima è un monito a Robin Gibb (in quel momento fuori dai Bee Gees), la seconda parla del perché Peter ha deciso di mollare i Genesis, la terza è rivolta da Joe Strummer contro Mick Jones, la quarta è indirizzata a Dave Stewart, partner della Lennox negli Eurythmics, mentre la quinta è rivolta al resto dei Take That, per i quali Robbie non prova ‘nessun rimorso’.

Altri riferimenti più o meno velati ai propri (ex) compagni di gruppo si trovano in Dum Dum Boys di Iggy Pop, Public Image dei PiL, The Winner Takes It All degli Abba, Should I Stay Or Should I Go? dei Clash, The Bitterest Pill dei Jam, In My Darkest Hour dei Megadeth. Ne conoscete degli altri? Sono sicuro che ce ne sono molti ma molti di più! – Matteo Aceto

(ultimo aggiornamento il 2 marzo 2009)

Curt Smith, “Halfway, Pleased”, 2007

curt-smith-halfway-pleased-tears-for-fearsFinalmente ho una copia originale di “Halfway, Pleased”, il secondo album solista di Curt Smith! Sono un fan dei Tears For Fears da sempre e nel corso degli anni non mi sono mai fatto scappare un titolo, di gruppo o solista che sia. Questo è appunto il secondo album realizzato dal bassista dei Tears For Fears a suo nome.

“Halfway, Pleased” è uscito l’anno scorso ma ha avuto una gestazione lunga e complessa, un po’ come avvenuto per “Everybody Loves A Happy Ending”, l’album che segnò la reunion dei Tears For Fears nel 2004. Curt ha infatti registrato i demo delle undici canzoni contenute in “Halfway, Pleased” nel 2002 e due anni dopo li ha resi disponibili in download gratuito sul suo sito. Però i suoi impegni musicali e promozionali coi redivivi Tears For Fears hanno fatto sì che questo suo bel disco solista venisse ulteriormente posticipato, almeno finché Tim Palmer – noto produttore già in passato al lavoro coi nostri – non gli avesse dato il mixing definitivo.

Poi, per quanto mi riguarda, è passato un altro anno giacché “Halfway, Pleased” è stato stampato per il mercato europeo dalla XIII Bis, una piccola etichetta francese, e qui da noi non l’ho mai visto. E non avevo voglia di pagare un sacco di soldi per aggiudicarmi un import. Anche perché m’ero avidamente scaricato i demo gentilmente concessi da Curt sul suo sito e, tutto sommato, mi stava bene così. Ora però il ciddì originale è stato accolto con tutti gli onori a casa mia, dopo averlo preso per corrispondenza al prezzo ben più ragionevole degli 11 euro.

E adesso veniamo alla musica: la versione su disco mixata da Tim Palmer è ricca di sovraincisioni che non hanno fatto altro che migliorare i già ottimi demo del 2002. Insomma, le undici canzoni sono qui più rifinite ma tutto sommato sono quelle. E mi piacciono moltissimo! E’ un album melodico, caldo e sentimentale questo “Halfway, Pleased”, pacato e semplice, amabile direi, che scorre via che è una meraviglia. Non è l’ascolto più appropriato se si cerca una botta d’energia – anzi questo è l’album più rilassato dell’intera discografia tearsforfearsiana – ma “Halfway, Pleased” non deluderà di certo i fan.
Fra le undici canzoni non se ne trova una sola mediocre, con le migliori che secondo me sono l’iniziale Perfect Day (con reminiscenze alla “Pet Sounds”), le avvolgenti melodie di Seven Of Sundays e di Greatest Divide, la delicata Who You Are (presente anche in “Everybody Loves A Happy Ending”, seppure in una versione più movimentata), la perla acustica di Cover Us e la dolente Where Do I Go?. Il resto dell’album propone raffinato pop d’autore (Halfway Pleased e Aeroplane), ballate dalle suggestioni elettroniche (Coming Out e Two) e psichedelia (Addict).

Quest’edizione europea di “Halfway, Pleased” contiene inoltre tre brani aggiuntivi: una versione dal vivo di Snow Hill (in realtà suonata dagli stessi Tears For Fears), brano che compariva nell’album che Curt realizzò nel 1997 sotto lo pseudonimo di Mayfield, una versione in duetto di Seven Of Sundays con la cantante francese So, e la cover d’un brano francese, On Ira Tous Au Paradis. – Matteo Aceto

David Bowie, “Absolute Beginners”, 1986

david-bowie-absolute-beginners-singoloAdoro Absolute Beginners, uno degli hit single del David Bowie anni Ottanta. Amo la malinconia struggente di questa canzone, peraltro movimentata e assai dinamica, fra le cose pop più belle & raffinate mai incise da David.

‘Non ho molto da offrire, non c’è molto da prendere’ esordisce il nostro in questa canzone, che sa di rassegnazione ma anche di voglia d’innamorarsi per lasciarsi finalmente tutti i tormenti alle spalle. Insomma, l’amore come cura alla disillusione.

Un brano straordinario come Absolute Beginners dovrebbe bastare a quei pessimi critici (molto disinformati e superficiali) che ritengono il Bowie degli anni Ottanta come un artista ormai senza più ispirazione.

Tratta dalla colonna sonora del film omonimo, Absolute Beginners resta secondo me una delle creazioni bowiane più riuscite, mature e melodicamente indimenticabili. – Matteo Aceto