Cofanetti, cofanetti, cofanetti!!! Per me questi cofanetti antologici dedicati ad un singolo artista/gruppo sono una croce & una delizia a un tempo. Delizia perché con un colpo solo, e da un decennio a questa parte, anche a prezzi stracciati, posso portarmi a casa l’intera discografia d’una band o d’un cantante che m’incuriosivano da un po’. Croce perché ritrovandomi tutto insieme, con un colpo solo come detto, non ricordo mai dove comincia un album e dove ne finisce un altro, oppure, più semplicemente, non sempre riesco a ricollegare una canzone al suo album d’appartenenza.
Nel 2012, ad esempio, mentre mi trovavo a New York in occasione del mio viaggio di nozze, acquistai per poche decine di dollari l’unico cofanetto monografico tuttora disponibile dedicato agli Steely Dan, ovvero un quadruplo ciddì chiamato “Citizen 1972 1980”, comprendente tutti gli album realizzati dalla band americana tra “Can’t Buy A Thrill” (1972) e “Gaucho” (1980). Inizialmente pubblicato dalla MCA nel 1993, “Citizen” è stato successivamente ristampato (credo dalla Universal) in una confezione meno ingombrante ma sempre condensando i sette album storici degli Steely Dan in soli quattro dischi. E includendovi anche quei singoli originariamente pubblicati in quanto tali, tra un album e il successivo senza essere inclusi in nessuno dei due, o anche i brani originariamente apparsi in colonne sonore o altre compilation del tempo. Oltre, ovviamente, agli inediti di turno (pochi, comunque).
Insomma, nonostante tutta la curiosità e tutto l’entusiasmo che ho nutrito negli anni per gli Steely Dan, non ricordo mai quanti album hanno fatto, e se – ad esempio – “Kathy Lied” sia uscito prima o dopo “Pretzel Logic”. Ho le note informative, ovviamente consultate per scrivere questo post, contenute nell’indispensabile libretto presente nel cofanetto, che puntualmente mi ricordano che “Prezel Logic” è uscito prima di “Kathy Lied”: 1974 e 1975, rispettivamente, preceduti a loro volta dal già citato “Can’t Buy A Thrill” (che, detto tra noi, mi suona decisamente come uno degli album di debutto più belli di sempre) e da quel “Countdown To Ecstasy” del 1973 già così diverso, e quindi seguiti dal cupo “The Royal Scam” (1976), dallo splendido “Aja” (1977, ritenuto da molti il capolavoro degli Steely Dan) e dal superlativo “Gaucho” (che resta il mio preferito).
Titoli di album a parte, ciò che viene fuori da questo cofanetto è una sequenza strepitosa di canzoni sopraffine, molte delle quali includo senza dubbio tra le cose più belle che io abbia mai sentito. Canzoni – tanto per dirne un po’ – come Do It Again (forse la più nota), Only A Fool Would Say That, The Boston Rag, Show Biz Kids, My Old School, Rikki Don’t Lose That Number, Any Major Dude Will Tell You, Bad Sneakers, Any World (That I’m Welcome To), The Caves Of Altamira, Here At The Western World, Peg, Deacon Blues, Hey Nineteen o Third World Man (forse la più bella) sono tra le mie preferite, quelle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, anche perché si possono sentire benissimo in qualsiasi occasione e pressoché in ogni contesto. Canzoni che, inoltre, come i veri classici, risultano ancora fresche, ancora attuali, ancora godibilissime, sopratutto se ascoltate con un onesto impianto hi-fi domestico.
Mi rimane ancora un aspetto di “Citizen” che volevo affrontare prima di chiudere, quello della sua collocazione storico-temporale. Uscito come già sappiamo nel 1993, questo cofanetto celebrava il ritorno degli Steely Dan all’attività concertistica dopo quasi vent’anni d’assenza dalle scene. Questo perché a partire da un certo punto del 1974, i signori Donald Fagen e Walter Becker, rimasti i soli membri originari della band (oltre che, da sempre, le due menti creative) decisero di concentrarsi esclusivamente sull’attività di studio, assumendo di volta in volta i migliori musicisti turnisti sulla piazza, in una smania continua di perfezionismo che – di fatto – portò all’implosione stessa degli Steely Dan nel 1981 (oltre ai consueti problemi contrattuali e di droga, denominatori comuni di tutti gli scioglimenti del pop-rock).
E fu così che nel 1993 Fagen & Becker tornarono clamorosamente in tour, come più tardi documentato dal bell’album dal vivo “Alive In America” (1995). Fu l’inizio di una lenta ma sempre più consistente reunion che portò prima a quei due album mascherati da progetti solistici – “Kamakiriad” (1993) e “11 Tracks Of Whack” (1994) – e quindi al nuovo album d’inediti “Two Against Nature” (2000), finalmente accreditato al glorioso marchio Steely Dan. Ma questa è già un’altra storia. Ne parleremo un’altra volta. – Matteo Aceto