L’anno dei grandi addii: muore Leonard Cohen

leonard-cohen-you-want-it-darker-muore-leonard-cohenTanti anni fa, quando mio fratello & io ci stavamo appassionando al gruppo inglese dei Sisters Of Mercy, scoprimmo che The Sisters Of Mercy era in realtà una canzone di Leonard Cohen, che era uno degli artisti preferiti di Andrew Eldritch, leader della band e possessore di una voce altrettando cupa e baritonale. A quel tempo avevo già qualcosina di Leonard Cohen: una copia in musicassetta dell’album “I’m Your Man”, comprata per poche lire in un cestone d’un centro commerciale, dato che avevo assoluto bisogno della canzone che ne apriva le danze, First We Take Manhattan. Interessandomi così ai Sisters Of Mercy, rimasi quindi compiaciuto nel notare, per l’ennesima volta, che le mie eclettiche passioni musicali andassero sempre a confluire, in un modo o nell’altro.

Finora ho comprato più dischi dei Sisters Of Mercy che di Leonard Cohen ma il repertorio del celebrato cantautore canadese me lo sono gustato col tempo, per così dire. E così, dopo averne acquistato un paio d’anni fa una doppia raccolta della Sony per la serie “The Essential”, avevo seriamente preso in considerazione l’acquisto del cofanetto contenente tutti gli album incisi da Cohen per le etichette affiliate alla Sony. Qualche giorno fa, inoltre, trovandomi per “puro caso” in un negozio di dischi, avevo messo gli occhi sull’ultimo album del nostro, “You Want It Darker”, edito qualche settimana fa. “Ma c’ha più di ottantanni”, mi sono detto fra me, forse un po’ crudelmente, “più che ascoltare questa suo ultimo lavoro farei meglio ad andarmi a procurare i suoi capolavori del passato”. E così ho riposto la copia di “You Want It Darker” (titolo che mi piace molto, a dire il vero) che avevo fra le mani e ho comprato altro.

Stamani, quindi, la brutta notizia. Leonard Cohen è morto. A ottantadue anni. Morto anche lui in questo tormentatissimo 2016, come tanti altri protagonisti della musica mondiale, da Natalie Cole fino a Pete Burns dei Dead Or Alive, passando per David Bowie, Glenn Frey degi Eagles, e anche Prince. Che dire? Che perdiamo un grande è la cosa più banale che io possa scrivere su Immagine Pubblica. E’ proprio così, però. Leonard Cohen era un vero grande, uno dei pochi personaggi del pop-rock che contasse davvero qualcosa anche al di fuori di quel mondo che – visto da qui – sembra così affascinante. Il difficile, come sempre, come per tutti noi in tutte le epoche, è abituarci all’idea che i nostri idoli siano anch’essi degli esseri umani, soggetti al crudele destino delle leggi di madre natura. – Matteo Aceto

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The Sisters Of Mercy, “First And Last And Always”, 1985

the-sisters-of-mercy-first-and-last-and-alwaysDei tre album da studio pubblicati dai Sisters Of Mercy, il primo, “First And Last And Always”, resta di gran lunga il mio preferito, probabilmente perché è quello dove più si sente la mano d’una vera band, mentre i due dischi successivi suonano più come opere soliste di Andrew Eldritch, cantante e leader del gruppo dark inglese.

In effetti in “First And Last And Always” si fondano magnificamente le creatività di tre talenti: quello di Gary Marx (chitarrista e fondatore con Eldtrich del gruppo), quello di Wayne Hussey (chitarrista noto per la sua tecnica alla dodici corde e fino a quel punto ultimo acquisto in seno al gruppo) e quello dello stesso Andrew Eldtrich, la cui voce cavernosa è più unica che rara. Anche il bassista Craig Adams collabora con alcune idee – e comunque il suo strumento è sempre molto prominente nelle dieci canzoni che formano “First And Last And Always” – ma la composizione di quest’album è stata (grossomodo) così ripartita: a Wayne la musica della facciata A, a Gary la musica della facciata B e ad Andrew la scrittura dei testi.

Tre talenti che si fondano magnificamente, dicevo, con tre stili diversi & peculiari ma al tempo stesso incredibilmente affini per sensibilità musicale: “First And Last And Always” ce ne offre dieci prove. Vediamole da vicino una dopo l’altra, in ordine d’apparizione sul disco.

1) La dolente Black Planet è la canzone d’apertura più bella in un album dei Sisters Of Mercy: epica, cupa, ottima da ascoltare mentre si è alla guida in una strada al tramonto, con l’inconfondibile chitarra di Wayne Hussey a scandirne il ritmo. Nonostante non sia stata inclusa nella bella antologia “A Slight Case Of Overbombing” (1993), Black Planet è una delle canzoni migliori mai pubblicate dai Sisters.

2) La successiva Walk Away, pubblicata come singolo già nel corso del 1984, è un altro pezzo forte tanto di quest’album quanto dell’intera discografia dei nostri: se la musica tradisce una certa appartenenza alla new-wave, e l’uso della chitarra in funzione sia ritmica che melodica è semplicemente da manuale, lo scambio vocale fra parti soliste e cori è grandioso. Detto in poche parole, con Walk Away abbiamo un’altra perla dark.

3) Anche No Time To Cry è stata pubblicata su singolo e anche in questo caso il risultato è eccellente: altro stile new-wave, altro pezzo buono per guidare, altra prova vocale indimenticabile da parte di Eldtrich, per un brano più teatrale e assolutamente memorabile. Mi piace particolarmente la sequenza del bridge – dove Andrew canta ‘everything will be alright, everything will turn out fine…’ – e la successiva ripresa col ritornello finale.

4) A Rock And A Hard Place è quello che fino a pochi mesi fa consideravo un brano minore: i suoi pezzi forti sono il ritmo pulsante, il più tipico degli stili chitarristici di Hussey e la voce appassionata di Eldtrich. Di recente ho imparato ad apprezzare maggiormente A Rock And A Hard Place, anche se non è certamente ai livelli delle tre canzoni che la precedono in questa scaletta.

5) Le nostre avide orecchie dark si rifanno però con Marian, altro picco artistico nella pur breve discografia sisteriana. Un brano dalla melodia dolente – caratterizzata da una dimessa & impassibile prestazione vocale di Eldtrich – ma sorretto da un coinvolgente ritmo medio-veloce e dalla chitarra di Wayne che ci porta alla deriva. E’ interessante notare come ad un certo punto Eldtrich inizia a cantare in tedesco… per poi tornare all’inglese. Come già detto per Black Planet, anche Marian non avrebbe sfigurato nella bella antologia del 1993.

6) Cambiamo lato al nostro elleppì ed eccoci alla parte musicale composta da Gary Marx: non potrebbe iniziare meglio, grazie all’epica First And Last And Always, cantabilissima & appassionata, per quella che resta un’altra delle migliori canzoni dei Sisters Of Mercy.

7) Tuttavia, dopo il brano omonimo che abbiamo appena visto, “First And Last And Always” inizia ad assumere un tono più cupo e meditabondo, ben rappresentato da Possession, altro brano ben sorretto dal basso di Adams. Bello anche il contrappunto della chitarra di Marx in certe sezioni del cantato di Eldtrich.

8) Nine While Nine è un po’ come A Rock And A Hard Place: un buon dark se contestualizzato nell’economia sonora dell’album, più irrilevante se preso da solo per quello che è. In seguito, Eldtrich avrà comunque modo di migliorare il risultato, dando così vita a Driven Like The Snow per l’album dei Sisters datato 1987, “Floodland”.

9) Ben più interessante è invece la seguente Amphetamine Logic, canzone più viscerale e teatrale, dall’andamento medio-veloce sempre adatto alla guida in auto. La parte finale della canzone, con quelle voci sovrapposte e la musica che diventa più essenziale proprio per mettere in risalto la voce urlante di Eldtrich è davvero un momento d’alta drammaticità dark. Da notare come nella prima stampa su elleppì, la casa discografica, la Warner Bros, censurò la parola ‘amphetamine’ dal titolo, per cui la canzone è accreditata semplicemente come Logic.

10) Oltre ad essere la canzone più lunga del disco (dura sette minuti emmezzo), Some Kind Of Stranger è anche quella più atmosferica, una sorta di lungo addio che ben s’addice alla conclusione d’un album magnifico e dai tratti notevolmente peculiari. E’ molto difficile ascoltare altrove della musica come quella contenuta in “First And Last And Always”.

Come forse sarà noto ai fan dei Sisters Of Mercy, questo “First And Last And Always” uscì con diversi mesi di ritardo rispetto alla pubblicazione originaria, quando ormai il gruppo s’era frantumato: di lì a poco Gary Marx fondò i Ghost Dance, mentre Wayne Hussey e Craig Adams unirono invece le forze per dar vita ai Mission. I Sisters Of Mercy divennero quindi un affare privato del solo Eldtrich e il successivo “Floodland” lo dimostra alla grande. Ma quello è un album che merita un post tutto per sè.

Ultime note, più tecniche: le canzoni che si ascoltano sulla prima stampa in ciddì di “First And Last And Always” presentano un mix molto diverso dalla stampa originale dell’elleppì. E’ possibile ascoltare su ciddì quella prima versione nella recente ristampa di “First And Last And Always” (Rhino, 2006), arricchita da un inedito a dai lati B dei singoli originali, fra i quali la notevole Poison Door. – Matteo Aceto

The Sisters Of Mercy, dischi e storia

the-sisters-of-mercy-logoI Sisters Of Mercy nascono a Leeds, nota città industriale della Gran Bretagna, nel 1980. Inizialmente la formazione è composta da due amici, Gary Marx (chitarra, batteria elettronica) e Andrew Eldritch (voce, batteria elettronica) che prendono il nome per il loro gruppo dalla canzone omonima di Leonard Cohen. I due creano anche dal nulla una piccola etichetta indipendente, la Merciful Records, e pubblicano così il loro debutto discografico, il singolo The Damage Done.

Nessuno sembra accorgersi della novità, il suono è troppo grezzo e la voce di Eldritch è troppo cupa per vantare una facile presa sonora. I due ragazzi comunque non demordono: credono fortemente nella loro miscela di rock, dark e tecnologia (la loro batteria elettronica, che distinguerà da qui in avanti lo stile dei Sisters, figura anche come membro del gruppo, tale Doktor Avalanche) e, in breve tempo, il loro stile giunge ad una prima maturazione. Nel 1982 pubblicano un singolo straordinario, Alice, e iniziano a suscitare l’interesse delle case discografiche, che fiutano l’affare del post-punk.

Intanto la formazione s’è allargata e ha assunto dei ruoli ben precisi: ci sono un secondo chitarrista, Ben Gunn, e un bassista, Craig Adams, mentre Marx compone la maggior parte della musica e Eldtrich si concentra sulla scrittura dei testi. Dopo un’altra manciata di singoli e il mini “The Reptile House E.P.” (1983), arriva finalmente l’interessamento d’una major, la Warner Bros. La band, che beneficia dell’ingresso in formazione di Wayne Hussey dei Dead Or Alive (Gunn va via per sparire nel nulla), pubblica il primo lavoro per la Warner, il singolo Body And Soul nel 1984. Di lì a poco usciranno altri due singoli, favolosi entrambi, No Time To Cry e Walk Away, ma l’album vero e proprio non è ancora pronto: manie di perfezionismo da parte di Eldritch, un suo smodato consumo di amfetamine e la frustrazione crescente di Gary Marx posticipano il disco al 1985.

L’attesa non è però vana: l’album “First And Last And Always” è un’autentica pietra miliare, uno di quei dischi che segnano il cammino della storia del rock e, molto probabilmente, la migliore realizzazione per i nostri. Ascoltare Black Planet, Marian, Some Kind Of Stranger e i due singoli per credere. Ma i troppi galli nel pollaio iniziano a starvi stretti: Eldritch è quasi intrattabile, si riserva il diritto di cantare solo le sue parole, mentre il talento autoriale di Marx subisce la concorrenza diretta di quello di Hussey. Nel corso del 1985, Marx se ne va – più in là darà vita ai Ghost Dance con Anne Marie Hurst degli Skeletal Family – mentre gli altri procedono come trio: provano brani nuovi composti da Hussey, come Garden Of Delight, ma le cose non vanno avanti. Wayne Hussey decide quindi di uscire dai Sisters per fondare un nuovo gruppo: Craig Adams lo segue e Eldritch prende inizialmente la cosa senza rancore.

Gli umori cambiano quando Hussey e Adams chiamano The Sisterhood la nuova formazione, che si avvale anche dei nuovi acquisti Simon Hinkler e Mick Brown. Scoppia una guerra legale: viene stabilito che la prima delle due parti che pubblica un nuovo lavoro avrà il diritto di chiamarsi The Sisterhood e potrà vantare un credito autoriale di 25mila sterline. Eldritch recluta così la bassista Patricia Morrison (già coi Gun Club), il cantante Alan Vega (già coi Suicide) e altri collaboratori: batte sul tempo Hussey e Adams pubblicando “Gift” nel 1986, il primo (e unico) disco dei Sisterhood. Il nome è quindi suo (gli altri adotteranno il nome The Mission), i soldi pure, la collaborazione con la Morrison si rivela proficua, e così Eldritch s’impegna per il nuovo album, stavolta di nuovo a nome Sisters Of Mercy.

Nel 1987 vede quindi la luce lo strabiliante “Floodland”, il secondo album della band, ora ufficialmente un duo composto da Andrew Eldtrich e Patricia Morrison. Che dire d’un disco che contiene due brani immaginifici e potenti come Lucretia My Reflection e This Corrosion? Sono davvero unici, non ho mai sentito niente di simile: un mix tra rock, dark e sinfonia… ascoltare il tutto quando siete in macchina e poi mi direte. Se vogliamo, l’unico neo di “Floodland” è che suona un po’ troppo come il prodotto d’una mente sola, quella di Eldtrich ovviamente, mentre il precedente “First And Last And Always” suona più come il prodotto d’un gruppo.

Evidentemente se ne accorge anche lo stesso Eldtrich che nel 1989, dopo che la Morrison se ne va per poi unirsi ai Damned, inizia a contattare musicisti per creare una band vera e propria. Tra questi, risponde alla chiamata Tony James (già bassista dei Generation X e poi coi Sigue Sigue Sputnik) e così la nuova band (un quartetto più Doktor Avalanche) inizia ad incidere il nuovo album in Danimarca. I lavori durano quasi un anno, Eldtrich è un perfezionista e agli altri la cosa pesa non poco, e quindi il terzo album dei Sisters Of Mercy esce solo nel 1990. Si chiama “Vision Thing” e, seppur contenga grandi canzoni, appare di un livello inferiore ai primi due album, che si dimostrano quindi come vette inarrivabili per stile ed unicità.

Nel 1991 la nuova formazione dei Sisters è già dispersa ma l’anno seguente esce una fondamentale raccolta: “Some Girls Wander By Mistake” include infatti tutto il materiale inciso dalla band nel suo periodo indipendente, ovvero gli anni 1980-83. Intanto Eldtrich reincide un brano del 1983, Temple Of Love, e si fa accompagnare da una vocalist d’eccezione, Ofra Haza. Il singolo con Temple Of Love 1992 giunge al 3° posto della classifica inglese e sprona la Warner a pubblicare una seconda raccolta, “A Slight Case Of Overbombing”, nel 1993.y La compilation contiene tutti i singoli usciti tra l’84 e il ’92, più una nuova canzone, la stupenda Under The Gun, una ballata struggente e potente al tempo stesso, dove Eldritch duetta con un’altra bella voce femminile, quella di Terri Nunn dei Berlin. Anche “A Slight Case” si rivela un successo e la Warner spinge per un nuovo album di inediti. Eldritch, tuttavia, è giunto ai ferri corti con la casa discografica, sia perché non si sente un artista a comando (figuriamoci, proprio lui!) e sia perché non ha dimenticato lo scarso appoggio che la Warner ha dato al tour dei Sisters nel ’91 coi Public Enemy.

Per liberarsi dalla Warner, Eldritch sottopone quindi ai suoi dirigenti un pesante album techno: il disco viene respinto ed Eldritch è legalmente libero da ulteriori vincoli contrattuali con la Warner. Da questo punto in poi la storia dei Sisters Of Mercy entra in un limbo fatto di concerti, di nuovi brani presentati dal vivo ma mai ufficialmente pubblicati, di un fantasmagorico nuovo album in lavorazione che non vede mai la luce. Il tutto mentre Gary Marx, riavvicinatosi al suo ex collega e amico, gli propone delle nuove basi strumentali per un ipotetico prossimo album a nome Sisters Of Mercy.

Nell’aprile del 2006 ho avuto comunque la fortuna di vedere i Sisters dal vivo, a Roma: Eldtrich non rinnega nulla del suo passato, va da Alice a Vision Thing, passando per i brani incisi come Sisterhood e presentando nuove canzoni (sconosciute ma belle, devo dire). Tuttavia tutto si può dire tranne che Eldtrich (classe 1959) sia un animale da palcoscenico, dato che lo spettacolo è freddino e mi ha fatto sorgere una domanda spontanea: perché non mi pubblica un nuovo disco visto che dal vivo non si scompone più di tanto?! Ma Eldritch è Eldritch, ormai avrete capito di che razza di personaggio si tratti. – Matteo Aceto

Wayne Hussey

Wayne HusseyMi sembra sia giunto finalmente il momento di parlare di uno degli artisti che più apprezzo, il cantante-chitarrista Wayne Hussey. A molti il suo nome potrà non dire molto, ma io dirò subito che ha fatto parte degli incredibili Sisters Of Mercy, dei grandiosi Mission e, addirittura, dei Dead Or Alive…dài, quelli che negli anni Ottanta cantavano You Spin Me Roud (Like A Record)! Vediamo però di procedere con ordine…

Wayne Hussey, originario di Liverpool, esordisce discograficamente con varie formazioni fra gli ultimi anni Settanta e i primi Ottanta, ma è coi Dead Or Alive che debutta in una band sotto contratto con una major. E così Wayne suona la chitarra (sia 6 che 12 corde) e canta nell’album “Sophisticated Boom Boom” (1983), il primo per i Dead Or Alive. Bellissimi i duetti con Pete Burns (il vero leader del gruppo) in Misty Circles e la cover di That’s The Way (I Like It). Ma le ambizioni di Wayne sono differenti e così, dopo aver lasciato amichevolmente i Dead Or Alive, coglie l’opportunità di entrare nei Sisters Of Mercy, in procinto d’incidere il loro primo album per la Warner Bros.

Il lavoro di Hussey nei Sisters si rivela piuttosto complesso, soprattutto a causa della tensione crescente tra i due membri fondatori, Andrew Eldritch (cantante e principale autore dei testi) e Gary Marx (chitarrista e principale autore delle musiche), tuttavia l’attesa vale il risultato. Nel 1985 esce finalmente “First And Last And Always“, l’album dei Sisters Of Mercy che amo di più: il contributo di Wayne Hussey è piuttosto evidente, addirittura compone le musiche dell’intero lato A (mentre il lato B è affidato a Marx), canta i cori (ma non più di tanto perché Eldritch è Eldtrich e ne parlerò in altra sede) e suona la sua inconfondibile dodici corde. Un esempio? Walk Away oppure la magnifica Black Planet… da lasciare senza fiato.

Purtroppo le relazioni interne ai Sisters peggiorano nel corso del tour promozionale per l’album: Marx se ne va per fondare i Ghost Dance e per un breve periodo la band prova ad andare avanti come trio, iniziando anche a comporre nuovi brani. Le cose però non funzionano e Wayne Hussey, portando con sé il bassista Craig Adams, molla il gruppo per fondare una nuova band, The Sisterhood. Scoppia una guerra legale con Eldtrich, che non gradisce la similitudine dei nomi fra le due band: Eldtrich vince la causa (ma ne riparlerò in altra sede), mentre Hussey e Adams (con il batterista Mick Brown e il chitarrista Simon Hinkler) fondano i Mission.

La nuova band inizia già a pubblicare una serie di straordinari singoli nel circuito delle etichette indipendenti finché, nel corso del 1986, viene messa sotto contratto dalla Phonogram. All fine dell’anno esce quindi il primo album dei Mission, l’avvincente e immaginifico “Gods Own Medicine”: la voce di Wayne è incredibile (è un peccato se si pensa che per tanti anni sia stata nell’ombra dei pur validissimi Burns e Eldtrich), la sua chitarra a 12 corde è fantastica, l’album è uno dei migliori degli anni Ottanta. Non aggiungo altro. La carriera di Wayne Hussey coi Mission giunge all’anno cruciale 1991: dopo aver pubblicato gli strepitosi album “The First Chapter” (1987), “Children” (1988 – sentite la straordinaria Heaven On Earth, con la voce e la chitarra di Hussey in primissimo piano… ho i brividi solo a pensarci!), “Carved In Sand” (1990) e “Grains Of Sand” (1990), Simon Hinkler molla la band e il nostro medita l’incisione d’un album solista. La cosa non si concretizza, il materiale viene lavorato daccapo con Adams e Brown più alcuni turnisti e ne esce fuori un nuovo album dei Mission, il controverso “Masque” (1992). Metà dell’album è eccezionale, basta la sola Never Again a giustificare l’acquisto dellalbum, tuttavia l’altra metà del disco si rivela ben al di sotto delle aspettative, anche per chi come me adora questo sound.

Ulteriori defezioni e ritorni faranno in modo che la carriera dei Mission prosegua ben oltre l’anno 2000, passando per imbarazzanti periodi bassi – vedi l’album “Blue” del 1996 – e splendidi ritorni di forma – vedi l’album “Aura” del 2001 – con Wayne Hussey calato perfettamente nel ruolo di leader indiscusso della band. Nell’ottobre 2005 l’ho vista dal vivo a Roma, c’era solo Wayne a rappresentare i ‘vecchi’ membri del gruppo ma che concerto, gente!

I Mission si sono dimostrati più in forma che mai in quell’occasione, trasferendo il momento di grazia anche su disco, grazie al loro ultimo album, “God Is A Bullet” (2007), nel quale tornava a figurare in alcuni pezzi anche la chitarra di Simon Hinkler. Tuttavia quello che è seguito all’uscita dell’album è stato annunciato come il tour d’addio dei Mission, con Wayne in procinto di lanciarsi definitivamente nella carriera solista. Un suo primo album, “Bare”, è già pronto e ora si attendono interessanti sviluppi. (ultimo aggiornamento: 3 ottobre 2008) – Matteo Aceto