Un ricordo, un punto della situazione e qualcos’altro

Lo so, oggi è il primo anniversario della morte di David Bowie, così come l’altro ieri è stato il settantesimo anniversario della sua nascita, e qualcosa in proposito dovrei pur scrivere su questo modesto blog. Stavo rimaneggiando un mio vecchio scritto a proposito di “Low”, uno degli album del nostro che più amo, tuttavia non sono ancora dell’umore giusto. Infatti, da un anno a questa parte si è scritto & detto molto su David Bowie, e la cosa non può che farmi piacere. Sono semplicemente colto da un leggerissimo sospetto: che non avrei molto altro da aggiungere.

Al pari dei Beatles, di Bob Dylan e di pochi altri ancora, David Bowie è oggetto di studi in ogni parte del mondo e di bei libri sulla sua vicenda artistica e/o umana ne sono usciti parecchi. Uno che mi attrae da molti anni ma che finora non ho ancora letto è “Bowie in Berlin: A New Career In A New Town”, scritto da Thomas Jerome Seabrook e pubblicato in Italia dalla Arcana col titolo ben più ruffiano di “La trilogia berlinese” (2014). Un libro che invece ho comprato molti anni fa e che mi sento di consigliare a qualsiasi appassionato del lavoro (più che della vita) di David è l’enciclopedico “The Complete Bowie” di Nicholas Pegg, un testo che reputo fondamentale per apprezzare a dovere le molte sfaccettature di una carriera fenomenale come poche.

La mia è un’edizione Arcana del 2005 ma, di recente, il buon Pegg ha ampliato ancora la volta il discorso, arrivando così a includere tutte le informazioni sugli album “The Next Day” (2013) e “Blackstar” (2016) che mancavano per ovvi motivi cronologici dalla precedente edizione. In questo caso, credo, dovrebbe aver scritto l’edizione definitiva del suo interessantissimo libro. Aspetterò, ad ogni modo, una traduzione italiana dell’opera – che dovrebbe comparire in libreria a breve – per valutarne il (ri)acquisto, anche se credo proprio che si trattino di soldi ben spesi.

Cosa posso dire, per il resto? Beh, che fu proprio la morte di David Bowie – per me davvero scioccante – a indurmi a tornare a scrivere come blogger. Pensa & ripensa, e meno di un mese dopo avevo fatto risorgere Immagine Pubblica, un blog che avevo cancellato al principio del 2012 senza alcuna lungimiranza. Non per il suo intrinseco valore, ci mancherebbe, ma perché quella di blogger è un’attività che tutto sommato mi piace e mi ha fatto incontrare (purtroppo soltanto virtualmente) persone decisamente interessanti, con le quali ho condiviso e discusso apertamente i miei interessi. Sono grato a quelli che da un annetto a questa parte mi hanno letto, si sono iscritti al blog, vi hanno lasciato un commento o anche soltanto un “mi piace”. Non ho sempre ricambiato, anzi, e di questo me ne dispiace. Ormai tengo famiglia e il tempo a mia disposizione è quello che è. Comunque, il poco tempo che passiamo “insieme” attraverso Immagine Pubblica è per me assai gradito. Spero che lo sia anche per voi. – Matteo Aceto

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Un post a ruota libera

Un post nuovo, più per la voglia di scrivere che per il bisogno di dire chissà che cosa. E poi è una così bella sensazione quella di cliccare l’opzione per creare un nuovo post e iniziare a digitare le prime, difficili righe, come in questo caso, del resto. Tanto per non tradire lo spirito originario di Immagine Pubblica, ecco una serie di associazioni (senza capo né coda, temo) su visioni, ascolti & letture. Passati, presenti & futuri.

La musica di Nina Simone è fantastica, nient’altro da aggiungere da pare mia. Non vedo l’ora di potermi vedere al cinema “Alice nel paese delle meraviglie” di Tim Burton, in lavorazione da oltre un anno ma programmato per la primavera del 2010. A proposito, come suona bene quest’anno, il 2010… speriamo che ci offra dodici mesi di gran lunga migliori di quelli proposti finora da quest’orribile 2009 (che spero passi al più presto, come vorrei che oggi fosse già la vigilia di Natale, tanto per dire). Sul comodino ho piazzato “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati, un libro che devo leggere da anni ma che – per motivo o per l’altro – ho sempre trascurato. In effetti al momento sto leggendo tutt’altro ma, come ho detto, il classico di Buzzati è in pole position sul mio comodino per cui non dovrebbe sfuggirmi ulteriormente. Se il libro dovesse piacermi, vedrò di procurarmi anche il film che ne è stato tratto: se non ricordo male uscì negli anni Settanta, con Vittorio Gassman come attore protagonista.

Sempre restando in tema di letture (ma anche di musica), ultimamente ho avuto il bisogno d’andarmi a rileggere due biografie che avevo comprato & letto diversi anni fa: si tratta della storia di Freddie Mercury raccontata dal suo amante Jim Hutton in “I miei anni con Freddie Mercury” (edito dalla Mondadori) e dal suo assistente personale Peter Freestone in “Freddie Mercury… adesso svela ogni segreto” (edito dalla Lo Vecchio ma di recente riedito dall’Arcana). Entrambe le storie – piuttosto intime, soprattutto quella di Hutton – partono negli anni Ottanta e si concludono con la triste morte del celeberrimo cantante dei Queen, nel novembre del 1991. Non so perché sono andato a rileggermi in sequenza questi due libri, non è che ultimamente ho ascoltato chissà quanto la musica di Mercury.

In fatto di ascolti, ultimamente ho invece sentito parecchio i Beatles, Miles Davis, i Depeche Mode e i Cure. Mi piacerebbe scrivere altri post su di loro in questo blog, così come di Nina Simone, citata sopra. Spesso mi manca però l’ispirazione. A proposito di Miles Davis, avrei voglia anche di rileggermi lo splendido “Lo sciamano elettrico” di Gianfranco Salvatore (edito da Stampa Alternativa), di sicuro fra i migliori libri dedicati all’arte & alla figura del leggendario trombettista americano. Uhm, mi sa che il buon Buzzati slitterà ulteriormente…

Tornando a parlare di film: ho un bisogno sfrenato di vedermi & rivedermi le opere di Federico Fellini [sopra, in un autoritratto], sembra che di questi tempi mi bastino solo quelle per soddisfare le mie curiosità cinematografiche. Avevo iniziato a scrivere un nuovo post sui film di Fellini, qualche giorno fa, ma l’ispirazione latitava in modo imbarazzante. In fondo, a volte, non c’è proprio niente da dire (e da scrivere): certi capolavori vanno forse soltanto ammirati per quelli che sono, in rigoroso silenzio da parte nostra. – Matteo Aceto

Grande documentazione bowiana

libro-bowie-la-trilogia-berlineseFinalmente anche questo libro di Thomas Jerome Seabrook è stato tradotto per il mercato italiano: col titolo un po’ ruffiano ma indicativo di “La trilogia berlinese” [foto], sarà disponibile in libreria fra qualche giorno. La versione italiana è curata dalla Arcana, nota casa editrice che stampa molti libri essenziali sul pop-rock; come sempre, però, il prezzo non è popolarissimo, ben diciotto euro & cinquanta centesimi.

Se c’è qualcosa che all’Arcana lascia un po’ a desiderare sono i frequenti errori di battitura & alcuni imbarazzanti refusi… insomma, per quasi venti carte io mi aspetto un prodotto decisamente più curato. La cultura, la documentazione, comunque non sono in discussione e – appena potrò – darò la caccia spietata anche a questo libro, così come ho fatto per quest’altro.

Unica nota dolente, almeno per quanto riguarda il librone di Nicholas Pegg: è così ben documentato & scritto, pieno di storia bowiana & aneddoti & riflessioni & recensioni & interviste che mi è sembrato totalmente inutile continuare a parlare di David Bowie su Immagine Pubblica. – Matteo Aceto

La bowienciclopedia

nicholas-pegg-bowie-enciclopediaUn altro oggetto al quale davo la caccia da tempo è finalmente entrato in casa mia, ieri sera: si tratta di “The Complete Bowie”, il mitico librone del giornalista Nicholas Pegg che tratta – in forma enciclopedica – della carriera dell’immenso David Bowie. E così, nel corso di ben settecento pagine, il buon Pegg analizza l’arte del Bowie canzone per canzone, album dopo album, tour dopo tour, video dopo video, film dopo film e tanto altro ancora.

Insomma, un’opera mastodontica e documentatissima che ho iniziato a leggermi con grande avidità. Il libro – edito in Italia dalla Arcana – non è affatto economico, costa infatti ventinove carte, però è la versione aggiornata all’ultimo album da studio di Bowie, “Reality” (2003), ed è una lettura che volevo affrontare da tempo, visto il mio incrementato interesse per David Bowie da dieci anni a questa parte.

Non lamentatevi con me, quindi, se i post futuri saranno più monotematici del solito e torneranno in maniera più approfondita su argomenti già trattati in questo blog! – Matteo Aceto

The Clash: a Johnny Rotten non sono mai piaciuti

johnny-rotten-no-irish-no-blacks-no-dogsHo appena finito di leggermi questo librone di trecentocinquanta pagine buone, “No Irish, No Blacks, No Dogs”, l’autobiografia del leader dei Sex Pistols, il pittoresco John Lydon, alias Johnny Rotten.

Il libro, pubblicato nel 1994, è stato tradotto e stampato per il mercato italiano solo da poco, nel 2007, e questa la dice lunga sulla cultura rock nel nostro paese. Non posso lamentarmi se la maggior parte dei miei conterranei ritiene Ligabue o Piero Pelù delle icone del rock. A parte l’imbarazzante ritardo, comunque, ho trovato godibilissimo questo libro, anche quando Johnny racconta la sua infanzia e i suoi famigliari più prossimi, argomenti che ho sempre trovato un po’ noiosi nelle biografie dei miei idoli musicali.

C’è un passaggio in particolare che mi ha sorpreso, si trova a pagina 118: Johnny Rotten afferma chiaramente & senza alcun pelo sulla lingua che i Clash non gli sono mai piaciuti! Ma come?! Nelle interviste e nei libri riguardanti i Clash notavo sempre stima & rispetto per i Sex Pistols da parte della band di Joe Strummer, eppure John non li poteva soffrire, a quanto pare. Ecco la citazione, che riporto pari pari dall’edizione italiana dell’autobiografia, edita dall’Arcana e tradotta da Giuseppe Marano [le parentesi quadre sono mie per specificare il contesto]…

“Una volta facemmo un concerto il 4 luglio [1976] con i futuri Clash di spalla. Strummer e gli altri avevano un atteggiamento orribile in quel concerto. Keith Levene era nella band, ed era l’unico che riuscì a tenere una conversazione decente con noi. Bernie Rhodes, ex-socio di Malcolm [McLaren, manager dei Sex Pistols], gli faceva da manager ed era il loro primo concerto in pubblico. Malcolm e Bernie erano concorrenti, perciò Bernie stava aizzando la band a prendere una posizione molto anti-Pistols, come se fossero loro i veri re del punk. Non mi sono mai piaciuti i Clash. Come compositori non erano granché. A metà concerto erano già spompati perché all’inizio partivano in quarta. I Sex Pistols imparavano la dinamica sul palco. E di questo do merito a Paul [Cook, batterista del gruppo]. Sapeva spezzare il ritmo. Strummer prendeva il via e da quel momento in poi andava avanti a tutta velocità. Non va molto bene perché non basta essere veloci per comunicare qualcosa. Non puoi ballarci su, e riesci a malapena ad ascoltare. Dopo mezz’ora è sgradevole. Mi sembrava che i Clash, nell’aspetto e nel sound, urlassero contro se stessi dicendo niente in particolare: qualche slogan trendy preso qua e là da Karl Marx. I Clash introdussero l’elemento competitivo che trascinò giù un po’ tutto. Per noi non è mai stato così. Noi eravamo i Pistols e basta. Non ci siamo mai considerati parte di un movimento punk”.

Insomma, ci sono rimasto un po’ male: uno dei miei idoli punk, Johnny Rotten, che fa praticamente a pezzi una delle mie band preferite, The Clash, che s’è professata sempre ammiratrice & amica dei Pistols. Hai capito Johnny, non le risparmia per nessuno, nemmeno per i suoi colleghi… figuriamoci per gente come Mick Jagger (e gliene dice quattro nel corso del libro)!

“No Irish, No Blacks, No Dogs” è uno spasso, a tratti esilarante, spesso rabbioso, imprevedibilmente umano & anche toccante. Credo che sia il punto di vista privilegiato d’un esponente musicale che nel bene o nel male ha cambiato la faccia della musica pop-rock e della sua fruizione da parte del pubblico. E’ un libro che dovrebbe leggere ogni vero appassionato di punk music, anche se dice poco a proposito del dopo-Pistols. Pare che quello sarà il tema della seconda autobiografia che Johnny dovrebbe dare alle stampe in futuro. Prenderò senz’altro anche quel libro, sperando che la versione italiana non giunga ancora una volta con tredici anni di ritardo. – Matteo Aceto