Originariamente apparso sul blog Parliamo di Musica il 25 aprile 2007, il post che segue è stato scritto e riscritto più volte, ripensato, rimesso tra le bozze e infine ripubblicato nel 2009, quando il blog si chiamava già Immagine Pubblica. E anche questa nuova revisione… beh, l’ho iniziata lo scorso febbraio e mi sono deciso a pubblicarla soltanto adesso, dopo ulteriori aggiunte, limature e riconsiderazioni.
In verità vi dico: per recensire a dovere un capolavoro come “A Love Supreme”, il disco più famoso e celebrato di John Coltrane, non basterebbe un blog intero. Inoltre, critici e saggisti infinitamente migliori di me hanno dedicato ben più d’un articolo – per non dire un libro, come nel caso di Ashley Kahn – a questo che rappresenta non soltanto un caposaldo indiscusso della musica jazz ma anche della musica stessa. Un disco, per usare un solo aggettivo, davvero imprescindibile. A voler semplificare ai minimi termini la storia artistica di John Coltrane, di fatto, si potrebbe tranquillamente parlare di un prima e di un dopo questo album tanto ispirato (e ispirante).
Per quanto mi riguarda, “A Love Supreme” è uno dei dischi più belli che io abbia mai avuto il piacere di ascoltare. E anche di collezionare, giacché ormai ho quasi perso il conto delle copie/versioni in mio possesso: l’anno scorso sono andato a comprarmi pure “A Love Supreme: The Complete Master”, ovvero una Super Deluxe Edition da tre ciddì pubblicata nel novembre 2015 in occasione del cinquantenario dell’opera originale. Riedizioni a parte, tuttavia, bisogna ammettere che “A Love Supreme” è un disco bello in quanto tale, per come suona e per le emozioni che suscita in chi l’ascolta, indipendentemente da ogni considerazione critica, culturale o storica che dir si voglia. Un vero e proprio oggetto d’arte che mi sento di consigliare spassionatamente a qualsiasi amante di musica: un disco così non può che arricchirgli la vita.
Pubblicato nel febbraio 1965 dalla Impulse!, “A Love Supreme” è un lavoro intriso di grande spiritualità, concepito dal suo autore come un omaggio a Dio, il quale gli ha fatto ritrovare la retta via dopo molti anni difficili, resi ancora più tormentati dalla dipendenza dall’eroina. L’album è in pratica una suite di quattro parti – Acknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm – eseguita da McCoy Tyner al pianoforte, Jimmy Garrison al basso, Elvin Jones alla batteria e ovviamente John Coltrane col suo inimitabile sax tenore. Un quartetto, quindi, radunatosi allo studio di registrazione di Rudy Van Gelder la sera del 9 dicembre 1964, per realizzare in una manciata di nastri quest’autentico capolavoro che è “A Love Supreme”.
Una manciata di nastri alla quale è stata aggiunta un’altra succulenta porzione il giorno dopo, il 10 dicembre, quando il quartetto è stato ampliato con due musicisti invitati dallo stesso Coltrane, per vedere che cosa un sestetto avrebbe potuto aggiungere al concept originale. Ma andiamo per ordine, ed iniziamo dai quatto movimenti della suite “ufficiale” suonati dal quartetto “ufficiale” in quello storico 9 dicembre 1964.
“A Love Supreme” comincia con un pezzo davvero splendido, Acknowledgement, dagli oltre sette minuti & mezzo di durata: gioia per le orecchie e ristoro per l’anima, grazie al caldo errare del sax, all’elegante performance pianistica e alla spumeggiante batteria, mentre il basso in bell’evidenza chiude il brano dopo il solo contributo vocale del disco, una sorta di mantra dove John ripete per un minuto la frase che dà il titolo al disco. Un jazz assai dinamico caratterizza invece il successivo Resolution, dove il piano si ritaglia uno spazio tutto suo, tanto brioso quanto delicato, mentre i fraseggi sassofonistici seguono uno schema sonoro d’assoluta libertà, caldo come sempre. La durata del brano s’aggira anch’essa sui sette minuti & mezzo.
Pursuance si avvia con un rocambolesco assolo ad opera del sempre ottimo Elvin Jones: dopo un minuto e mezzo, capitanato dall’inconfondibile sax del nostro, ecco che entra il resto della band al gran completo. Anche in questo caso il piano si ritaglia uno spazio tutto per sé, cimentandosi in una sequenza assolutamente deliziosa; il sax resta però il grande protagonista, con fraseggi veloci e coinvolgenti. Il finale del brano – che complessivamente oltrepassa i dieci minuti di durata – è affidato, in successione, ad un rutilante assolo di batteria e a un disteso assolo di basso. A sette minuti dalla fine ci troviamo in presenza dell’ultima parte di “A Love Supreme”, la riflessiva Psalm: padrone assoluto della scena è il mistico sax di Coltrane, ma Jones non si rende affatto comprimario, regalandoci un suggestivo supporto ritmico basato sui timpani.
Come già detto, la sera successiva a questa che resta comunque la registrazione definitiva di “A Love Supreme”, Coltrane aggiunse due musicisti al suo quartetto: il sassofonista Archie Shepp e il bassista Art Davis. Quest’inedito sestetto – comprendente quindi due sax tenori, due bassi, un piano e una batteria – incise delle versioni alternative di alcuni brani che vennero però scartate dalla prima edizione dell’album (ma già nelle note originali del disco, Coltrane ringraziava Shepp e Davis per il loro contributo, augurandosi di poter tornare a collaborare in un futuro prossimo).
Nonostante una qualità audio non proprio eccelsa, queste take alternative di Acknowledgement costituiscono una straordinaria testimonianza sonora che rende ancora più ammirevole il lavoro che Coltrane e i suoi collaboratori realizzarono complessivamente in quei due giorni al Van Gelder Studio. Le due take di Acknowledgement incise dal sestetto sono sensibilmente più lunghe (oltre i nove minuti di durata) e spiccano per l’inedito scambio frasistico fra i rispettivi tenori di Coltrane e Shepp, quest’ultimo soprattutto in funzione ritmica, facendo così da contrappunto agli svolazzi melodici del leader.
Per quanto riguarda l’attività dal vivo, “A Love Supreme” è stata eseguita nella sua interezza soltanto una volta, durante la partecipazione (per due serate) del John Coltrane Quartet al noto festival jazz di Antibes, sulla Costa azzurra. Datata 25 luglio 1965, l’esibizione è stata remasterizzata, restaurata della sua introduzione parlata da parte del conduttore del festival e quindi ufficializzata per la prima volta nel catalogo coltraniano con la bella riedizione Deluxe di “A Love Supreme” del 2002 (che è l’edizione che consiglio a chiunque). Se il quartetto è lo stesso che aveva già inciso “A Love Supreme” in studio, in questo concerto l’improvvisazione dei quattro musicisti si concede ancora più libertà, con un Coltrane già proiettato verso quella dimensione free che caratterizzerà la seconda e purtroppo brevissima parte della sua vita. Il grande musicista morì infatti nel luglio ’67, quando non aveva ancora compiuto il suo quarantunesimo anno d’età. – Matteo Aceto