Miles Davis, “Kind Of Blue”, 1959

miles-davis-kind-of-blue-immagine-pubblicaOriginariamente pubblicato il 28 maggio 2009, questo post è più una goffa raccolta di considerazioni personali che una recensione vera e propria. Che poi, lasciatemelo dire: ma che cosa avrà da aggiungere un post su Immagine Pubblica, scritto da un emerito sconosciuto come il sottoscritto, a proposito di un’autentica pietra miliare della musica come “Kind Of Blue”, il classico fra i classici dell’immensa discografia di Miles Davis?

Su questo disco sono state scritte pagine e pagine dai più illustri critici musicali del mondo, se non dei veri e propri libri, come quello di Ashley Khan, uno di quei libroni sul jazz che prima o poi – continuo a ripetermi ormai da troppo tempo – dovrò comprare e quindi leggere & rileggere. Un disco, questo “Kind Of Blue”, che è stato ristampato innumerevoli volte negli ultimi cinquantotto anni (compreso un bel cofanettone, nel 2008, con tanto di vinile, ciddì & divuddì… ovviamente presente nella mia collezione) e che si può trovare praticamente dappertutto, non solo nei negozi di dischi, ma anche nei centri commerciali e nelle edicole, passando per le stazioni di servizio in autostrada.

Per questo e per tanti altri motivi, mi limiterò – ora come in quel post del 2009 – a delle semplici considerazioni sull’album originale del ’59, un vero disco coi controcazzi, come direbbe lo stesso Miles Davis in quel linguaggio colorito che gli era tanto caro, suonato da un gruppo coi controcazzi: i sassofonisti John Coltrane e Cannonball Adderley, i pianisti Bill Evans e Wynton Kelly, il bassista Paul Chambers e il batterista Jimmy Cobb. E poi in “Kind Of Blue” c’è ovviamente Miles, con la sua magica tromba ma anche con tutto il suo carisma di bandleader, qui alle prese con la massima espressione del jazz modale, vale a dire un tipo di jazz acustico (l’elettrico sarebbe arrivato per Davis solo sul finire degli anni Sessanta) che, in base a semplici schemi predefiniti sulla carta, lasciava grande spazio alla libera espressione e all’improvvisazione dei musicisti.

In effetti i cinque brani di “Kind Of Blue” – l’esaltante So What (contenente quella che forse resta l’introduzione più bella di sempre in un album jazz), il brioso Freddie Freeloader, il romantico Blue In Green, l’africaneggiante All Blues e il suggestivo Flamenco Sketches – mettono meravigliosamente in luce la sensibilità artistica & la bravura tecnica d’ogni singolo musicista, in un equilibrio di gruppo che definirei pressoché perfetto. E’ un miracolo questo “Kind Of Blue”, e concordo pienamente con chi disse e/o scrisse che dev’essere stato fatto in paradiso.

Registrato negli studi newyorkesi della Columbia in sole due sessioni fra il marzo & l’aprile 1959 e prodotto da Irving Townsend, “Kind Of Blue” è un’autentica pietra miliare non solo del jazz ma soprattutto della musica in generale. Per Miles Davis fu una sorta di fatidico spartiacque: la musica che incise prima di “Kind Of Blue” fu una cosa, la musica che incise dopo fu tutt’altro. Anche la mia esperienza di ascoltatore può essere riassunta in un prima e un dopo “Kind Of Blue”, lo credereste?

-Matteo Aceto

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John Coltrane, “A Love Supreme”, 1965

John Coltrane A Love SupremeOriginariamente apparso sul blog Parliamo di Musica il 25 aprile 2007, il post che segue è stato scritto  e riscritto più volte, ripensato, rimesso tra le bozze e infine ripubblicato nel 2009, quando il blog si chiamava già Immagine Pubblica. E anche questa nuova revisione… beh, l’ho iniziata lo scorso febbraio e mi sono deciso a pubblicarla soltanto adesso, dopo ulteriori aggiunte, limature e riconsiderazioni.

In verità vi dico: per recensire a dovere un capolavoro come “A Love Supreme”, il disco più famoso e celebrato di John Coltrane, non basterebbe un blog intero. Inoltre, critici e saggisti infinitamente migliori di me hanno dedicato ben più d’un articolo – per non dire un libro, come nel caso di Ashley Kahn – a questo che rappresenta non soltanto un caposaldo indiscusso della musica jazz ma anche della musica stessa. Un disco, per usare un solo aggettivo, davvero imprescindibile. A voler semplificare ai minimi termini la storia artistica di John Coltrane, di fatto, si potrebbe tranquillamente parlare di un prima e di un dopo questo album tanto ispirato (e ispirante).

Per quanto mi riguarda, “A Love Supreme” è uno dei dischi più belli che io abbia mai avuto il piacere di ascoltare. E anche di collezionare, giacché ormai ho quasi perso il conto delle copie/versioni in mio possesso: l’anno scorso sono andato a comprarmi pure “A Love Supreme: The Complete Master”, ovvero una Super Deluxe Edition da tre ciddì pubblicata nel novembre 2015 in occasione del cinquantenario dell’opera originale. Riedizioni a parte, tuttavia, bisogna ammettere che “A Love Supreme” è un disco bello in quanto tale, per come suona e per le emozioni che suscita in chi l’ascolta, indipendentemente da ogni considerazione critica, culturale o storica che dir si voglia. Un vero e proprio oggetto d’arte che mi sento di consigliare spassionatamente a qualsiasi amante di musica: un disco così non può che arricchirgli la vita.

Pubblicato nel febbraio 1965 dalla Impulse!, “A Love Supreme” è un lavoro intriso di grande spiritualità, concepito dal suo autore come un omaggio a Dio, il quale gli ha fatto ritrovare la retta via dopo molti anni difficili, resi ancora più tormentati dalla dipendenza dall’eroina. L’album è in pratica una suite di quattro parti – Acknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm – eseguita da McCoy Tyner al pianoforte, Jimmy Garrison al basso, Elvin Jones alla batteria e ovviamente John Coltrane col suo inimitabile sax tenore. Un quartetto, quindi, radunatosi allo studio di registrazione di Rudy Van Gelder la sera del 9 dicembre 1964, per realizzare in una manciata di nastri quest’autentico capolavoro che è “A Love Supreme”.

Una manciata di nastri alla quale è stata aggiunta un’altra succulenta porzione il giorno dopo, il 10 dicembre, quando il quartetto è stato ampliato con due musicisti invitati dallo stesso Coltrane, per vedere che cosa un sestetto avrebbe potuto aggiungere al concept originale. Ma andiamo per ordine, ed iniziamo dai quatto movimenti della suite “ufficiale” suonati dal quartetto “ufficiale” in quello storico 9 dicembre 1964.

“A Love Supreme” comincia con un pezzo davvero splendido, Acknowledgement, dagli oltre sette minuti & mezzo di durata: gioia per le orecchie e ristoro per l’anima, grazie al caldo errare del sax, all’elegante performance pianistica e alla spumeggiante batteria, mentre il basso in bell’evidenza chiude il brano dopo il solo contributo vocale del disco, una sorta di mantra dove John ripete per un minuto la frase che dà il titolo al disco. Un jazz assai dinamico caratterizza invece il successivo Resolution, dove il piano si ritaglia uno spazio tutto suo, tanto brioso quanto delicato, mentre i fraseggi sassofonistici seguono uno schema sonoro d’assoluta libertà, caldo come sempre. La durata del brano s’aggira anch’essa sui sette minuti & mezzo.

Pursuance si avvia con un rocambolesco assolo ad opera del sempre ottimo Elvin Jones: dopo un minuto e mezzo, capitanato dall’inconfondibile sax del nostro, ecco che entra il resto della band al gran completo. Anche in questo caso il piano si ritaglia uno spazio tutto per sé, cimentandosi in una sequenza assolutamente deliziosa; il sax resta però il grande protagonista, con fraseggi veloci e coinvolgenti. Il finale del brano – che complessivamente oltrepassa i dieci minuti di durata – è affidato, in successione, ad un rutilante assolo di batteria e a un disteso assolo di basso. A sette minuti dalla fine ci troviamo in presenza dell’ultima parte di “A Love Supreme”, la riflessiva Psalm: padrone assoluto della scena è il mistico sax di Coltrane, ma Jones non si rende affatto comprimario, regalandoci un suggestivo supporto ritmico basato sui timpani.

Come già detto, la sera successiva a questa che resta comunque la registrazione definitiva di “A Love Supreme”, Coltrane aggiunse due musicisti al suo quartetto: il sassofonista Archie Shepp e il bassista Art Davis. Quest’inedito sestetto – comprendente quindi due sax tenori, due bassi, un piano e una batteria – incise delle versioni alternative di alcuni brani che vennero però scartate dalla prima edizione dell’album (ma già nelle note originali del disco, Coltrane ringraziava Shepp e Davis per il loro contributo, augurandosi di poter tornare a collaborare in un futuro prossimo).

Nonostante una qualità audio non proprio eccelsa, queste take alternative di Acknowledgement costituiscono una straordinaria testimonianza sonora che rende ancora più ammirevole il lavoro che Coltrane e i suoi collaboratori realizzarono complessivamente in quei due giorni al Van Gelder Studio. Le due take di Acknowledgement incise dal sestetto sono sensibilmente più lunghe (oltre i nove minuti di durata) e spiccano per l’inedito scambio frasistico fra i rispettivi tenori di Coltrane e Shepp, quest’ultimo soprattutto in funzione ritmica, facendo così da contrappunto agli svolazzi melodici del leader.

Per quanto riguarda l’attività dal vivo, “A Love Supreme” è stata eseguita nella sua interezza soltanto una volta, durante la partecipazione (per due serate) del John Coltrane Quartet al noto festival jazz di Antibes, sulla Costa azzurra. Datata 25 luglio 1965, l’esibizione è stata remasterizzata, restaurata della sua introduzione parlata da parte del conduttore del festival e quindi ufficializzata per la prima volta nel catalogo coltraniano con la bella riedizione Deluxe di “A Love Supreme” del 2002 (che è l’edizione che consiglio a chiunque). Se il quartetto è lo stesso che aveva già inciso “A Love Supreme” in studio, in questo concerto l’improvvisazione dei quattro musicisti si concede ancora più libertà, con un Coltrane già proiettato verso quella dimensione free che caratterizzerà la seconda e purtroppo brevissima parte della sua vita. Il grande musicista morì infatti nel luglio ’67, quando non aveva ancora compiuto il suo quarantunesimo anno d’età. – Matteo Aceto

John Coltrane, “A Love Supreme – Deluxe Edition” (1965, 2002)

john coltrane a love supreme deluxe edition 2002Se è vero che di questi tempi la musica non ha più niente di nuovo da dire, è altrettanto vero che mai come in questo decennio s’era vista una tale fioritura di ristampe di album storici. Spesso impreziositi da brani aggiuntivi e/o inediti, presentati in lussuose confezioni, per non parlare della resa sonora, di solito migliorata o curata dai difetti delle edizioni precedenti.

Fra le tante, succose ristampe che sono andato a comprarmi negli ultimi anni, la più recente è quella di “A Love Supreme”, il classico di John Coltrane, del quale mi sono già occupato in un post precedente. Questa Deluxe Edition, edita dalla Verve nel 2002, è formata da due ciddì: l’uno con l’album originale del ’65 e l’altro con l’unica esibizione integrale dal vivo di “A Love Supreme” più ghiotte take alternative.

Come sappiamo, l’album originale è stato eseguito dal quartetto storico di Coltrane, ovvero McCoy Tyner (pianoforte), Jimmy Garrison (basso), Elvin Jones (batteria) e, ovviamente, lo stesso John col suo inimitabile sax tenore. “A Love Supreme” così come lo conosciamo è stato registrato nello studio di Van Gelder la sera del 9 dicembre 1964, in poche ma ispiratissime take. In realtà, la sera successiva, Coltrane aggiunse due musicisti al suo quartetto che a quel punto divenne un sestetto: il noto sassofonista Archie Shepp (un allievo di John) e il bassista Art Davis. Quest’inedita formazione – comprendente quindi due sax tenori, un piano, una batteria e due bassi – incise versioni alternative di alcuni brani che vennero però scartate dalla prima edizione dell’album (comunque, già nelle note originali del disco, Coltrane ringraziava Shepp e Davis per il loro contributo).

Ciò che rende davvero allettante la Deluxe Edition è proprio l’inclusione di due take alternative – entrambe per Acknowledgement – registrate in quel 10 dicembre 1964 in cui John Coltrane aveva sperimentato col sestetto. Si tratta quindi di una performance che è rimasta ufficialmente inedita per ben trentasette anni e che, nonostante una qualità audio non eccelsa, costituisce una straordinaria testimonianza sonora che rende ancora più ammirevole il lavoro che Coltrane e i suoi collaboratori realizzarono in quei giorni al Van Gelder Recording Studio. Le due take di Acknowledgement incise dal sestetto sono sensibilmente più lunghe (oltre i nove minuti di durata) e spiccano per l’inedito scambio frasistico fra i rispettivi sax tenori di Coltrane e Shepp (quest’ultimo soprattutto in funzione ritmica, contrappuntando gli svolazzi melodici del leader).

La Deluxe Edition comprende inoltre anche una take alternativa di Resolution (leggermente più lunga) e un’altra sfumata – forse per qualche errore – a poco più di due minuti dall’inizio di quello stesso titolo. Entrambe sono state incise dal quartetto la sera del 9 dicembre ’64.

Infine, qualche parola sull’esibizione dal vivo: “A Love Supreme” è stata eseguita nella sua interezza in una sola occasione, durante la partecipazione (per due serate) del John Coltrane Quartet al noto festival jazz di Antibes, sulla Costa azzurra. L’esibizione – datata 25 luglio 1965 – è stata rimasterizzata, restaurata della sua introduzione parlata da parte del conduttore francese del festival e quindi ufficializzata nel catalogo coltraniano proprio con questa bella riedizione. Se il quartetto è lo stesso che aveva già inciso “A Love Supreme” in studio, in questo concerto l’improvvisazione dei musicisti si concede ancora più spazio, con un Coltrane già proiettato verso quella dimensione free che caratterizzerà la seconda (e purtroppo ultima) parte della sua carriera.

Segnalo, per chiudere, un libro che penso proprio sia il caso di comprare, la storia di “A Love Supreme” curata da Ashley Kahn, dalla quale sono stati tratti preziosi contributi per il libretto della Deluxe Edition. – Matteo Aceto