Comprato venerdì 17, nel giorno della sua uscita, “Spirit”, il nuovo album dei Depeche Mode, si è già rivelato per me una delusione. Un disco brutto non direi, anche perché, di dischi letteralmente brutti, i nostri non ne hanno mai fatto, ma un disco superfluo, che non aggiunge niente alla storia gloriosa di questa band che tiene botta dal 1981 è un qualcosa che posso dire pacificamente, nonostante il grande amore che da sempre provo per i Depeche Mode. Già il singolo apripista, il ben poco esaltante Where’s The Revolution, aveva ridimensionato le mie aspettative, ma i tre quattro ascolti che finora ho dedicato a “Spirit”, sia con lo stereo a palla, che con le cuffie e sia in autoradio hanno confermato le mie impressioni iniziali: un disco del quale si potrebbe anche fare a meno.
“Spirit” è sostanzialmente un disco dark, come probabilmente non se ne fanno più, o almeno non farebbe più una band del calibro e con la storia dei Depeche Mode, e la cosa di per sé sarebbe pure un merito. Tuttavia, in fatto di atmosfere tenebrose, notturne, crepuscolari & simili, i nostri hanno già dato prove decisamente superiori. Qui mancano melodie riconoscibili, ritornelli cantabili, passaggi musicali memorabili; è tutto un po’ dimesso, con un’elettronica più minimale rispetto a quanto sentito negli ultimi tre album ma anche decisamente meno coinvolgente. Mi viene da rimpiangere “Delta Machine“, ecco il punto.
In alcuni brani, inoltre, la voce di Dave Gahan – una delle più belle di sempre in ambito pop-rock, una voce che per giunta è letteralmente sbocciata da almeno quindici anni a questa parte, arricchendo essa stessa da sola ogni puntuale uscita dei nostri – è stata anche fastidiosamente ritoccata con effetti da studio. Magari la cosa resta funzionale al sound che si voleva dare alla canzone in questione, tuttavia ritoccare una voce così bella al naturale è per me un peccato gravissimo.
Inizio già a provare profonda antipatia per quel tale, James Ford, un signor nessuno per quanto mi riguarda, che è subentrato a Ben Hillier in qualità di produttore. Il signor Ford, stando a quanto riferito dalle mie orecchie, non sembra avere una sua personalità; se ce l’ha, le mie povere orecchie non l’hanno proprio avvertita dall’ascolto di “Spirit”. Un ascolto complessivo che, per giunta, mi ha portato alla noia all’approssimarsi puntuale della nona decima canzone (sulle dodici totali).
In definitiva, è tutto da buttare? Diciamo che si può salvare il primo brano in programma, Going Backwards, decisamente il meglio che “Spirit” abbia da offrire: tetro, pulsante, amaro, disilluso, con quel finale in cui le voci di Dave Gahan e Martin L. Gore, intrecciandosi, affermano che noi – uomini moderni alle prese con una vera e propria involuzione (è questo un po’, se vogliamo, il manifesto del disco, o il suo spirito, per restare sul pezzo) – non sentiamo più niente dentro perché in fondo non abbiamo più niente dentro. Posso anche essere d’accordo. Se però in questo “noi” includiamo gli stessi Depeche Mode, ovviamente. – Matteo Aceto