Bee Gees, “Odessa”, 1969

Bee Gees, Odessa, immagine pubblica blogRiascoltando “Odessa” dei Bee Gees, provavo a immaginare un post decente che potesse andar bene per questo modesto blog. Anche in questo caso, tuttavia, mi sono poi ricordato di averne già parlato: curiosando tra i miei vecchi scritti, infatti, scovo un post datato 24 febbraio 2009, apparso sulla prima versione di Immagine Pubblica un mese dopo l’uscita della riedizione deluxe di “Odessa” da parte della Warner Bros.

Originariamente pubblicato come doppio elleppì nel febbraio ’69, con tanto di sontuosa copertina in velluto rosso, “Odessa” è stato ristampato 40 anni dopo sotto forma di elegante cofanetto che include: un primo ciddì con la versione integrale stereofonica dell’album, un secondo ciddì con la stessa versione ma in mono, un terzo ciddì – chiamato “Sketches For Odessa” – contenente 22 inediti fra provini e versioni alternative, nonché un poster a due facce, un adesivo e un libretto con interessanti note tecnico-biografiche scritte da Andrew Sandoval. Il tutto avvolto nella stessa copertina di velluto rosso.

“Odessa” è probabilmente il disco migliore dei Bee Gees, e comunque resta il loro album più ambizioso. Elegante e sentimentale, è l’unico doppio (escludendo live e raccolte) della discografia dei fratelli Gibb. Suona ancora più grandioso se si tiene conto che, all’epoca, Barry aveva 23 anni, mentre i gemelli Robin e Maurice soltanto 20. Bisogna però riconoscere pure lo straordinario lavoro svolto da Bill Shepherd, arrangiatore e direttore d”orchestra che accompagnava spesso i nostri in quegli anni; a quanto pare, in “Odessa”, anche il buon Shepherd ha dato il meglio di sé.

L’album più ambizioso dei Bee Gees inizia con la loro canzone più ambiziosa, Odessa (City On The Black Sea), quanto di più vicino al progressive i Gibb abbiano mai pubblicato, un magnifico brano che sorpassa agilmente i 7 minuti. Il testo, cantato da Robin, narra il punto di vista d’un naufrago salvatosi dalla tragedia del Veronica, una nave inglese che nel 1899 fece perdere le sue tracce; alla deriva su un iceberg, il naufrago pensa all’amata che, molto probabilmente, s’è trasferita già con qualcun altro, tuttavia – spera il naufrago – un giorno rivedrà ancora il viso della sua bella. Musicalmente parlando, Odessa è semplicemente superlativa: canto, controcanti e coro sono adagiati su un’inedita base composta da chitarra in stile flamenco (suonata da Maurice) e violoncello (suonato da Paul Buckmaster, celebre per aver lavorato anche con Elton John, David Bowie e Miles Davis), mentre l’orchestrazione contribuisce a dare il tocco decisivo alla necessaria drammaticità della canzone. Secondo Robert Stigwood, il celebre manager/mentore dei Bee Gees, Odessa è una delle migliori canzoni pop mai realizzate, e io gli do pienamente ragione! Il Demo contenuto nel terzo ciddì ci presenta un’interessantissima versione precedente, non solo più scarna ma dal testo alquanto differente e introdotto da una sezione parlata ad opera di Barry.

Ben più convenzionale di Odessa ma ugualmente memorabile è You’ll Never See My Face Again, cantata da Barry; è un’ariosa ballata scandìta da due chitarre acustiche e abbellita dall’orchestra, dove si parla di amicizie tradite. La successiva Black Diamond è un’altra delle mie preferite, dove ritroviamo Robin alla voce solista; molto belle le variazioni melodiche fra versi, ritornelli e sequenze intermedie verso/ritornello, per una canzone di gran classe che, per quanto riguarda il testo, sembra accennare alla guerra che allora si combatteva in Vietnam. Il Demo che figura nel terzo ciddì non differisce soltanto dal punto di vista musicale (con piano e batteria più evidenti) ma anche da quello testuale.

Inciso in America durante l’estate del ’68, Marley Purt Drive è un rilassato brano country dal tempo medio-lento, cantato da Barry con grande disinvoltura e arricchito dalla più tipica strumentazione country/bluegrass (chitarra slide, fiddle e banjo). Spensierato omaggio all’inventore della lampadina, Edison è invece un’altra canzone dai tratti peculiari: il cantato è diviso fra Barry & Robin, la struttura melodica presenta un andamento più lento e sinfonico durante i versi e ben più movimentato nei ritornelli. Impeccabile per arrangiamento, Edison in realtà nacque come Barbara Came To Stay, una canzone in stile Beach Boys poco più che abbozzata (cantata dal solo Barry) e inserita anch’essa nel terzo ciddì.

Melody Fair è l’ennesima gemma nel canzoniere dei Bee Gees: una ballata vivace, calda ed enigmatica. Cantata da Barry col fondamentale supporto di Maurice e superbamente orchestrata da Shepherd, Melody Fair resta una delle canzoni più belle dei Gibb (un Demo dall’andamento più veloce e dall’atmosfera più scanzonata figura sul terzo ciddì). Con Suddenly troviamo proprio Maurice alla voce solista, alle prese con una canzone pop più vivace ma al contempo più accigliata delle precedenti, caratterizzata da un vago feeling medievale.

Whisper Whisper è la canzone di “Odessa” che apprezzo meno: l’introduzione orchestrale promette bene, ma l’andamento medio-veloce in stile cabaret poco sembra adattarsi alla grintosa prestazione vocale di Barry. La seconda parte della canzone (in effetti due registrazioni differenti che sono state unite in postproduzione), ben più veloce e tirata, è forse migliore ma non allontana il lieve senso di fastidio procurato dall’ascolto complessivo di Whisper Whisper. Anche la Alternate Version presente nel terzo ciddì non risulta più simpatica, sebbene sia interessante perché la musica ricorda l’andamento d’un carillon. Se non altro, in Whisper Whisper i Bee Gees hanno dimostrato una lodevole capacità di sperimentare con gli arrangiamenti.

Con l’arrembante ma dolce Lamplight ritroviamo Robin al microfono principale, impegnato con un testo allusivo (forse nei confronti della droga) cantato magnificamente, mentre la musica, melodica & maestosa, dona un tocco d’epicità al tutto. Tipica dello stile melodrammatico di Barry, Sound Of Love è invece una sofferta ballata scandìta dal piano, ben più ariosa e avvolgente durante i ritornelli (nel terzo ciddì possiamo apprezzarne una Alternate Mix dal testo alquanto differente).

Parente stretta della Marley Purt Drive che abbiamo già sentito, Give Your Best è un’altra piacevole escursione dei Bee Gees in territori country & western. Ancora con Barry alla voce solista, ancora con l’impiego del fiddle e del banjo, ma stavolta alle prese con un ritmo più veloce e dinamico (anche in questo caso, una Alternate Mix non troppo dissimile, caratterizzata però da un testo alquanto diverso, appare sul terzo ciddì).

Prima delle tre composizioni strumentali contenute in “Odessa”, la dolce e sognante Seven Seas Symphony è un’esecuzione per solo piano (suonato brillantemente da Maurice), orchestra e coro; il Demo, che presenta la sola esecuzione di piano, è stato quindi incluso nel terzo ciddì. E se Seven Seas Symphony rievoca in alcuni punti la musica composta dal grande Ennio Morricone per il cinema (ma ricorda anche Swan Song, una canzone degli stessi Bee Gees dell’anno prima), la successiva With All Nations (International Anthem) sembra basata sull’inno di God Save The Queen. Si tratta comunque d’un breve brano per orchestra & coro, piuttosto pomposo e solenne, tipico di certi inni nazionali (comunque si può ascoltarne nel terzo ciddì una versione con un breve testo cantato coralmente dai Bee Gees).

Seconda canzone di “Odessa” dove ascoltiamo Barry e Robin alternarsi al microfono principale, I Laugh In Your Face è un’altra ballata caratterizzata da un dolente andamento dei versi, mentre nei ritornelli la melodia abbraccia un’estensione più ampia e quasi consolatoria. Altra mia favorita, Never Say Never Again è una canzone ariosa e cantabilissima, con un testo leggermente accusatorio cantato a pieni polmoni da Barry. A proposito del testo, è interessante l’assurdo verso – ripetuto nei ritornelli – ‘tu dicesti addio, io dichiarai guerra alla Spagna’. L’Alternate Mix che figura nel terzo disco presenta un’ingombrante chitarra col fuzz-tone al posto dell’orchestra.

Unico singolo estratto da “Odessa”, First Of May non è solo la canzone più bella dell’album ma anche, secondo me, una delle canzoni più belle degli anni Sessanta, una perla di sentimentalismo, di anni che passano e di ricordi di un’infanzia vissuta troppo in fretta; al commosso canto di Barry fa da superbo supporto la sontuosa orchestra diretta dall’impeccabile Bill. Sul terzo ciddì troviamo due interessanti versioni alternative, fra cui un breve Demo piano & voce che ci presenta la prima idea della canzone.

Come suggerisce il titolo, il conclusivo The British Opera è un brano operistico, interamente eseguìto dall’orchestra e dal coro diretti da Shepherd; è l’unico brano che non viene proposto in una qualsiasi versione alternativa all’interno del cofanetto del 2009.

Infine, oltre ai diciassette brani e alle relative versioni demo e/o alternative che compongono questa riedizione di “Odessa”, sono incluse altre due canzoni inedite, la toccante Nobody’s Someone e la beatlesiana Pity, entrambe con Barry alla voce solista. Per Nobody’s Someone in particolare è un peccato che non abbia mai visto l’inclusione in un disco dei Gibb dell’epoca (anche se, a quel tempo, i Bee Gees – come i Beatles – erano tra i pochi a potersi concedere un tale lusso nello ‘sprecare’ le proprie canzoni).

La realizzazione di questo capolavoro presentò tuttavia un conto salato: “Odessa” non venne commercialmente accolto come ci si aspettava, mentre le tensioni interne al gruppo (che già durante l’estate ’68 perse il chitarrista Vince Melouney) portarono Robin Gibb a dichiararsi fuori dai Bee Gees (così come il batterista Colin Petersen) e pronto a debuttare come artista solista già nel corso di quel fatidico 1969. Un anno dopo la pubblicazione di “Odessa”, i Bee Gees come gruppo già non esistevano più, tuttavia, entro la fine del 1970 i tre fratelli erano tornati tutti sotto lo stesso tetto e in procinto d’intraprendere il loro decennio musicale più fortunato & famoso. – Matteo Aceto

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