Roger Keith Barrett, ben più noto come Syd Barrett, è l’uomo attorno al quale è sorta la leggenda dei Pink Floyd, una band che ha cambiato il modo d’intendere la musica leggera e l’idea stessa di rockstar. Vediamo di ripercorrere l’affascinante storia di Syd intrecciandola a quella dei primi anni della band.
Syd nasce nel 1946 nei pressi di Cambridge ed inizia a suonare la chitarra all’età di quattordici anni: in questo periodo già compone le sue prime canzoni, alcune delle quali, come The Effervescing Elephant, vedranno la luce diversi anni dopo. Qualche esperienza musicale in giro qua & là e poi, ai tempi del college, Syd conosce Roger Waters, che lo invita a far parte del suo gruppo, gli Architectural Abdabs. Barrett ne diventa ben presto il cantante principale mentre, dopo l’abbandono del bassista Bob Klose, Waters passa dalla chitarra al basso. Gli altri due componenti del gruppo sono Richard Wright (tastiere, piano, organo) e Nick Mason (batteria), già compagni di studio di Waters. Lo stile di questa band è fondamentalmente blues, tanto che Syd pensa bene di ribattezzarla The Pink Floyd Sound, ovvero ‘il suono di Pink Anderson e Floyd Council‘, due bluesmen americani particolarmente apprezzati da Syd.
I Pink Floyd Sound iniziano a suonare in diversi club alternativi della swinging London: tra il ’66 e il ’67 sono i protagonisti assoluti in locali come l’Alexandra Palace o l’UFO. Anche Paul McCartney e John Lennon vanno a sentirli/vederli giacché il loro uso di luci e fondali applicato alla loro miscela di pop-blues psichedelico è qualcosa di totalmente innovativo per l’epoca. Il nome del gruppo cambia definitivamente in Pink Floyd e, nel corso del ’67, la band viene messa sotto contratto dalla EMI, la stessa etichetta dei Beatles (le due formazioni avranno anche modo di conoscersi personalmente negli Abbey Road Studios di Londra).
In quel fatidico 1967 escono così i primi due singoli dei Pink Floyd, Arnold Layne e See Emily Play, seguìti in estate dall’album “The Piper At The Gates Of Dawn”: tutto materiale scritto da Barrett, a parte una manciata di brani. Tra il ’67 e il ’68 escono altri singoli ma Syd non è più lo stesso: il suo consumo eccessivo di lsd, unito ad una fragilità psicologica incapace di reggere le pressioni dello show-business, lo conducono sulla soglia della follia. Il suo comportamento diventa sempre più irrazionale, soprattutto sul palco e nel corso delle interviste: se i Pink Floyd vogliono andare avanti devono ricorrere ad un sostituto, almeno per i concerti.
Il sostituto si chiama David Gilmour, classe 1946 anch’egli, amico di Syd da lungo tempo; i due iniziarono a strimpellare insieme la chitarra e in gioventù fecero un viaggio in Francia come musicisti di strada. Inizialmente il ruolo di Dave è quello di cantare e suonare la chitarra dal vivo mentre Syd è libero di scrivere nuove canzoni per il gruppo: Jugband Blues e Vegetable Man nascono in questo periodo, con la prima che figurerà come unico contributo autoriale di Barrett al secondo album dei Floyd, “A Saucerful Of Secrets” (1968), mentre la seconda resterà inedita. Ci sono alcune foto dei Pink Floyd come quintetto ma la cosa non dura a lungo: nel febbraio ’68, Barrett esce dal gruppo (con la benedizione del management che decide di seguirlo) e in primavera inizia ad incidere il suo primo materiale da solista.
Le sessioni si rivelano caotiche perché le condizioni psicologiche di Syd sembrano peggiorare giorno dopo giorno (in realtà, il musicista rivela commoventi lampi di lucidità che riversa in molte delle sue composizioni): dopo l’avvicendamento di due produttori, subentra proprio l’amico Dave Gilmour nel seguire Syd in studio. Il primo singolo solista di Barrett, Octopus, prodotto da Gilmour con Roger Waters, esce nel dicembre ’69, mentre il primo album, “The Madcap Laughs” vede la luce solo nel gennaio 1970. Il lavoro tuttavia continua, con Syd e David che tornano in studio per dare un seguito all’album: le sessioni sono ancora più confuse, con Gilmour che suona il basso e coinvolge i Soft Machine per riempire gli spazi lasciati vuoti da Barrett. Il lavoro che ne risulta, “Barrett”, pubblicato a fine anno, è comunque pregevole.
Poi Syd si ritira in un suo mondo, sempre più piccolo, sempre più lontano dalle luci della ribalta. Torna a casa della madre ed accetta di farsi curare in un istituto psichiatrico, mentre la carriera dei Pink Floyd prende il volo nel 1973, con lo straordinario album “Dark Side Of The Moon”. In quel periodo sono diversi gli artisti/produttori che cercano di convincere Barrett a tornare sulle scene: tra questi vi è David Bowie (che aveva già aiutato i Mott The Hoople, Lou Reed e gli Stooges di Iggy Pop) che però dovrà infine accontentarsi d’inserire una sua cover di See Emily Play nel suo album “Pinups”. In effetti, Barrett torna in studio nel 1974 ma non ne esce nulla di buono e così ripiomba nel suo isolamento.
Seguono anni d’anonimato durante i quali Syd si limiterà a ritirare le sue quote autoriali dalle vendite dei dischi suoi e dei Pink Floyd. Le sue interviste, sempre sopra le righe, sono rarissime così come le sue apparizioni pubbliche. Altri lo cercano: nel ’77 i Damned, in procinto d’incidere il loro secondo album, si rivolgono al management dei Pink Floyd per convincere Syd a produrre il disco. Anche loro, come Bowie, non ottengono nulla da Syd; sarà comunque Nick Mason a produrre l’album “Music For Pleasure” ma questa è un’altra storia.
La leggenda del quinto membro impazzito dei Pink Floyd cresce negli anni Ottanta, tanto che la EMI pubblica un’interessante collezione di brani più o meno inediti di Barrett, “Opel” (1988), contenente la bellissima Opel, una gemma perduta di Syd risalente al 1969. Intanto il talento del nostro si riversa – pur se privatamente – nella pittura di quadri firmati col suo vero nome, Roger Barrett, come se l’artista volesse dare un taglio definitivo al suo passato di musicista. Per il resto, la vita di Syd Barrett continua nell’ombra fino al luglio del 2007, quando muore fra le mura domestiche in seguito ad alcune complicazioni da diabete.
Gli altri componenti dei Pink Floyd, nessuno escluso, lo omaggiano (l’home page del sito di Waters era listata a lutto, subito dopo la triste notizia) e Dave Gilmour continua a proporre composizioni barrettiane nei suoi concerti.
( – Matteo Aceto