Pure la musica ha le sue leggende metropolitane

paul-is-dead-copertina-lifeSul mondo del pop-rock e sugli svariati protagonisti che lo compongono – vivi o morti che siano – se ne sono dette davvero di tutti i colori. Si contano così storie inventate, storie improbabili ma affascinanti, storie verosimili, storie verissime anche se difficili da credere, tutte accomunate comunque da quella voglia di rappresentare la musica e i suoi personaggi come un mondo mitico dove tutto è possibile.

Il più delle volte, a dire il vero, queste storie sono macabre o rasentano il macabro, come nel celebre caso ‘Paul is dead’. Si tratta di una delle leggende più note del rock: Paul McCartney sarebbe morto nel 1966 durante un terribile schianto automobilistico. Il resto dei Beatles avrebbe preso quindi un sostituto che, con una leggera ritoccatina chirurgica, avrebbe sostituito segretamente Paul. E’ una bufala pazzesca, ovviamente, anche se i numerosi ‘indizi’ relativi a questa morte sono suggestivi: riferimenti più o meno espliciti sull’ipotetica morte di Paul paiono trovarsi in numerosi brani beatlesiani, fra cui Yellow Submarine, Strawberry Fields Forever, With A Little Help From My Friends, Fixing A Hole, A Day In The Life, All You Need Is Love, Blue Jay Way, Don’t Pass Me By, I’m So Tired, While My Guitar Gently Weeps, Let It Be e di sicuro qualcun’altra che ora mi sfugge. Ulteriori riferimenti si trovano nelle copertine dei dischi e nelle foto riguardanti i Beatles nel periodo 1967-70: in particolare negli scatti fotografici riguardanti gli album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e “Abbey Road”. Per rendersene conto, basta cliccare su un qualsiasi motore di ricerca le parole ‘paul is dead’ e se ne vedranno delle belle. Tutte stronzate, ovviamente, Paul McCartney è ancora vivo & vegeto, ma soprattutto bisogna ricordare che tra il ’65 e il ’69 è stato il motore trainante dei Beatles durante la fase discografica più strepitosa dei Fab Four.

Un’altra leggenda riguarda la morte della rockstar per antonomasia, ovvero Elvis Presley, avvenuta nell’agosto 1977: pare però che nel 1981 l’FBI abbia intercettato e catalogato come autentica una telefonata fatta da Elvis a qualcuno. Pare inoltre che in pochissimi hanno visto il corpo di Elvis, anche se una schiera di fan è convinta che il proprio idolo sia stato rapito dagli alieni!

E che dire di Jim Morrison, l’istrionico leader dei Doors? Lui pure non sarebbe morto (o meglio, non sarebbe morto nel luglio 1971, nella sua vasca da bagno…), tanto che un giornalista parigino ha affermato d’averlo visto & intervistato più volte negli anni seguenti. Anche in questo caso, pare che siano in pochissimi ad aver visto il cadavere di Jim…

Un’altra leggenda narra d’una setta religiosa che ce l’ha a morte con le rockstar, in particolare odia, chissà poi perché, quelle che nel nome hanno una J: così, tra il 1969 e il 1971, vengono fatti fuori Brian Jones dei Rolling Stones, Janis Joplin, Jimi Hendrix, lo stesso Jim Morrison, più una tardiva parentesi nel 1980 con John Bonham dei Led Zeppelin e John Lennon. Che dire… suggestive coincidenze.

Altri miti circondano le morti violente dei rapper americani, tra i quali Notorius B.I.G., Tupac Shakur e Jam Master Jay dei Run DMC. E’ stata la mala? La casa discografica? Il produttore? Amanti gelose? Mariti traditi? Si è detto tutto e il contrario di tutto, con i mandanti ancora in giro mentre i dischi degli artisti scomparsi continuano a fruttare bei dollaroni ai loro eredi.

Anche la vita e la morte di quel gigante di Wolfgang Amadeus Mozart è attorniata da diverse leggende: in particolare, si dice che la sua morte, avvenuta nel dicembre 1791, sia stata architettata & commissionata dal compositore rivale Antonio Salieri, mentre Mozart era al lavoro sul suo celebre “Requiem”. Il bellissimo film di Milos Forman, “Amadeus” (consiglio di vederne il “Director’s Cut” del 2001) si fonda proprio su questa tesi. Facendo un salto di duecentotré anni e volando da Vienna a Seattle, scopriamo che pure la morte di Kurt Cobain è stata discussa con toni da chiacchiericcio complottistico. Si è detto che il suicidio del leader dei Nirvana altro non è che un omicidio bellebbuono… addirittura orchestrato dalla moglie, Courtney Love!

Una certa mole di chiacchiericcio riguarda la vita privata del compianto Freddie Mercury: era gay, si è sposato, ha avuto dei figli…? Quante storie: Freddie ha frequentato per anni Mary Austin, alla quale è stato sempre legatissimo, al punto da lasciarle la sua splendida villona al momento della morte e parte dell’eredità. Freddie era gay, questo sì, non si è mai sposato e non ha mai avuto dei bambini. Sempre a proposito di Mercury, negli anni Novanta si vociferava una sua presunta love story col celebre ballerino russo Rudolf Nureyev. Questi avrebbe dichiarato, all’indomani della scomparsa del leader dei Queen: ‘pioveva e io piangevo la morte del grande Freddie Mercury’. Pare che Nureyev scrivesse Eddie invece di Freddie nelle sue lettere indirizzate al cantante; qualcuno, ancora con gusto macabro, ha fatto notare che i due artisti sono morti a pochi anni di distanza l’uno dall’altro a causa della stessa malattia, l’AIDS.

Altre leggende sono invece decisamente più ingenue o addirittura comiche: lo sapevate che nel 1987, nel pieno d’una guerra legale per il nome Pink Floyd, Roger Waters si fece confezionare ben cento rotoli di carta igienica con la faccia di David Gilmour stampata su ogni strappo?! Chi può dirlo, potrebbe anche essere vero. E che dire della soffiata che Yoko Ono avrebbe fatto alla polizia giapponese per far arrestare Paul McCartney (ancora lui, poveraccio…) all’aeroporto di Tokyo nel 1980? Sembrano decisamente fondate, al contrario, queste altre dicerie: in alcuni dischi di Den Harrow e di Corona la voce che ascoltiamo non è quella dei due nomi in questione (ad esempio, in The Rhythm Of The Night, il celebre hit di Corona degli anni Novanta, era in realtà cantato da Jenny B.); Andrew Ridgley non facesse un benemerito ‘c’ durante l’incisione delle canzoni dei Wham!George Michael stava in studio mentre Andrew se ne andava a spasso sulle Ferrari!

Per quanto mi riguarda, le leggende che più mi appassionano sono le presunte collaborazioni musicali fra gli artisti più disparati e la genesi stessa di certi dischi e/o canzoni. Vediamo qualche caso: non è vero che Syd Barrett dei Pink Floyd partecipi a What’s The New Mary Jane dei Beatles ma non è infondato che a duettare con Michael Jackson (il quale, secondo un’altra nota leggenda, dormirebbe in una camera iperbarica per mantenersi giovane) in In The Closet vi sia Madonna (accreditata sull’album “Dangerous” come Mystery Girl… se ci fosse stato scritto Material Girl forse non avremmo avuto dubbi!). Pare che i brani più rappresentativi di Led Zeppelin e Queen, rispettivamente Stairway To Heaven e Bohemian Rhapsody, siano delle messe nere suonate al contrario. Premesso che non mi va di rovinare il mio giradischi, la mia puntina ma soprattuttto i miei amati elleppì, non potrei fregarmene di meno se quelle due fantastiche canzoni contengano dei messaggi inneggianti al demonio. Belle come sono, quelle due canzoni potrebbero anche contenere degli insulti verso di me… sarebbero belle lo stesso!! C’è chi sostiene, invece, che il testo di Angie dei Rolling Stones sia un inno d’amore verso Angela, all’epoca (il 1973) moglie di David Bowie: Mick Jagger e Keith Richards, gli autori, hanno smentito dicendo che si tratta della figlia di uno dei due, ora non ricordo di chi.

Ci sono di sicuro altre leggende & dicerie sul conto di molte rockstar e compositori classici: se ne conoscete delle altre potete aggiungerle fra i commenti.

(riadattamento d’un post del

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Rolling Stones

Non ricordo esattamente la prima volta che ho sentito parlare dei Rolling Stones, di sicuro però la prima volta che li ho sentiti nominare era perché venivano contrapposti ai Beatles. In effetti credo che si sia parlato degli Stones più a proposito della loro presunta rivalità coi Fab Four che per i loro reali meriti artistici.

Anche il più profano degli ignorantoni musicali saprebbe nominare il titolo d’una qualche canzone dei Beatles o addirittura d’un loro album, ma non sono sicuro che la stessa cosa possa dirsi per gli Stones.

Ho avuto modo d’apprezzare relativamente tardi i Rolling Stones, in particolare nel 2002, quando mi sono fiondato in negozio per comprare la loro doppia raccolta “Forty Licks”. E così mi sono interessato un po’ di più a quella che consideravo una band di dinosauri ma che invece era & resta una grande band. Forse la rock band per antonomasia.

L’anno scorso, infine, sono andato anche a comprarmi “According To Rolling Stones”, la storia del gruppo raccontata in prima persona dai componenti della band – Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts e Ron Wood – e dalle persone che più sono state in contatto con loro in tutti questi anni che la band ha calcato le scene (un libro che vorrei rileggermi, a dire la verità).

La storia dei Rolling Stones è stata davvero straordinaria, fin dagli inizi, fin da quando la band era un quintetto composto da Jagger, Richards e Watts con Brian Jones e Bill Wyman. C’era anche un sesto componente fra gli Stones, Ian Stewart, ma partecipava solo alle sedute di registrazione e poco si vedeva nei concerti e pochissimo nelle foto della band. Era brutto Ian, così si diceva, probabilmente chiudendo più d’un occhio sui connotati facciali di Charlie e Bill.

I Rolling Stones debuttarono professionalmente su disco con la Decca (l’etichetta che aveva rifiutato i Beatles a tutto vantaggio della EMI) nel 1963 ma non ricordo mai con quale singolo e con quale album… si trattava comunque di cover di altri artisti. Un giorno John Lennon e Paul McCartney scrissero un pezzo per gli Stones, I Wanna Be Your Man, spronando gli stessi Mick Jagger e Keith Richards a stringere un sodalizio autoriale che, di fatto, divenne il principale rivale delle canzoni beatlesiane nelle classifiche britanniche e statunitensi per tutto il corso degli anni Sessanta.

E così, sull’onda dell’inaudito succeso dei Beatles, la musica inglese conquistò il mondo e i Rolling Stones ebbero tutte le capacità di ritagliarsi uno spazio tutto loro in un panorama assai variegato che comprendeva nomi del calibro di Bob Dylan, The Who, Cream, The Jimi Hendrix Experience, The Doors, The Beach Boys, Monkees, Simon & Garfunkel, Bee Gees e Pink Floyd. Insomma, un panorama pop-rock di tutto rispetto che contribuì a definire quello che molto probabilmente verrà ricordato come il decennio musicale che ha prodotto la musica migliore.

Scioltisi i Beatles, perso Brian Jones per una morte misteriosa & discussa, finita l’era hippy conseguente all’escalation dell’impegno statunitense in Vietnam, gli anni Settanta rappresentarono fin dall’inizio un cambio di scenario repentino. Gli Stones seppero reagirvi producendo una stringa di album che molti critici ritengono le pietre miliari dell’arte stoniana, da “Beggars Banquet” del 1968 al doppio “Exile On Main Street” del 1972.

Sul finire degli anni Settanta, i Rolling Stones erano ritenuti un’istituzione ma dovettero fare i conti con la nascente scena punk che li bollava come esponenti d’un rock milionario lontano dalla gente e dalla loro dura quotidianità. La band reagì bene, nonostante un importante cambio di formazione avvenuto a metà anni Settanta, quando Ron Wood dei Faces sostituì il dimissionario Mick Taylor, a sua volta sostituto dello sfortunato Brian Jones.

I Rolling Stones mantennero la rotta del successo anche durante gli anni Ottanta, sebbene ci fu un periodo in cui Keith Richards e soprattutto Mick Jagger sembravano seriamente intenzionati a procedere da soli. Fortuna per loro, nessun progetto solista riguardante i componenti degli Stones – Charlie Watts diede addirittura vita ad un gruppo jazz – riuscì ad oscurare il celebre marchio, per cui la band passò indenne anche gli anni Novanta, seppur perdendo un componente originale, Bill Wyman, che mollò il gruppo tra infinite polemiche nel ’93.

Oggi come oggi i Rolling Stones rappresentano non solo un’istituzione musicale vera e propria, ma un marchio noto in tutto il mondo che fattura milioni di dollari. Sono vecchi, a volte possono anche far ridere eppure penso che abbiano più grinta loro di tante giovani band messe insieme. O quantomeno hanno un carisma unico al mondo, che nessun’altra band potrà mai eguagliare da qui a ventanni.

Per quanto mi riguarda, ascolto gli Stones a periodi: ci sono delle settimane in cui li sento quasi di continuo, suonando un po’ dappertutto le loro canzoni storiche (quelle che più amo sono Gimme Shelter, Sympathy For The Devil, Miss You, Beast Of Burden, Satisfaction, Start Me Up, It’s Only Rock ‘n’ Roll, Angie, Fool To Cry, She’s A Rainbow, Shattered, You Can’t Always Get What You Want, Anybody Seen My Baby?), poi magari non li ascolto più per mesi quasi dimenticandomi di loro. In questo momento, infatti, non li sto ascoltando e forse questo post ne subirà le conseguenze, ma sul serio non m’importa.

In fondo non sono mai stati niente di speciale gli Stones, da un punto di vista prettamente tecnico-musicale, eppure è impossibile ignorarli per ogni serio appassionato di musica rock. Credo che questa sia la vera forza dei Rolling Stones: piacciano o no, se apprezziamo la musica & siamo consumatori abituali di dischi non possiamo proprio far finta che non ci siano.