The Beatles, “Abbey Road”, 1969

the-beatles-abbey-road-immagine-pubblica-blogForse, e voglio rimarcare per bene il forse, “Abbey Road” è l’album migliore dei Beatles… non so se possa valere qualcosa ma è comunque il loro disco che ascolto più spesso.

L’ultimo album inciso dal celeberrimo quartetto inglese (anche se l’ultimo ad essere stato pubblicato fu “Let It Be”) iniziò a prender corpo ai Trident Studios di Londra il 22 febbraio 1969. S’iniziò con una nuova canzone di John Lennon, I Want You, una delle più suggestive dei Beatles che, secondo me, anticipa di dieci anni quel genere dark tanto caro agli inglesi dopo la sbornia punk alla fine degli anni Settanta.

Per giungere al risultato finale, tuttavia, le sessioni per I Want You si protrassero fino ad agosto, col brano che aveva assunto il titolo definitivo di I Want You (She’s So Heavy) e che durava la bellezza di oltre sette minuti, con tanto di rumore bianco (generato dal primo sintetizzatore ad essere usato nelle sessioni dei Beatles) ad intrufolarsi nel tenebroso arpeggio finale ad opera di George Harrison e dello stesso Lennon. Incisive parti d’organo ad opera di Billy Preston contribuiscono ad arricchire il già notevole risultato complessivo.

Nel frattempo altre canzoni presero corpo: il 25 febbraio, giorno del suo compleanno, George mise su nastro tre bellissimi demo acustici, ovvero Old Brown Shoe, All Things Must Pass e Something (è possibile ascoltarli su “Anthology 3”): solo quest’ultima venne lavorata dai Beatles per l’album “Abbey Road”, mentre la prima finì come lato B del prossimo singolo della band e la seconda divenne la title track del primo album post-Beatles di Harrison.

Nei giorni successivi, i nostri si presero una pausa per tentare di riordinare le precedenti sedute, quelle di “Get Back”, poi edito come “Let It Be” (ad aprile uscì il primo singolo estratto da questo materiale, Get Back / Don’t Let Me Down, che volò al 1° posto della classifica) ma, ormai stressati, i Beatles si separano per un po’. Ringo Starr iniziò quindi le riprese del film “The Magic Christian”, George andò all’estero, John sposò Yoko Ono, e Paul McCartney produsse altri artisti.

Le sessioni ripresero finalmente il 14 aprile allo Studio 3 degli EMI Studios di Londra, in Abbey Road per l’appunto: erano però presenti i soli John e Paul, per incidere un’impellente canzone con cui Lennon voleva denunciare le invasioni dei mass media nella sua vita privata. Il brano, chiamato appropriatamente The Ballad Of John And Yoko, si avvale quindi dei soli Lennon e McCartney alle voci e alla strumentazione; un risultato davvero notevole, pensato appositamente come lato A del prossimo singolo dei Beatles. I quattro si ritrovano comunque due giorni dopo, sempre allo Studio 3, per incidere quindi il lato B del singolo, la già citata Old Brown Shoe di George.

Diligenti & professionali come sempre, i Beatles mandarono avanti pure il nuovo album (anche se a quel punto non era ancora identificato dal titolo “Abbey Road”), lavorando sulla bellissima Something, sempre di George. Considerata da molti appassionati come la canzone più bella firmata da Harrison, la dolce e romantica Something rappresenta di certo uno dei vertici artistici dei Beatles per arrangiamento complessivo (bellissime le parti di basso e quelle orchestrali) e sentimento espresso.

Il 20 aprile si cominciò con un nuovo brano, stavolta ad opera di Paul, Oh! Darling: una bella canzone in stile doo-wop caratterizzata da un’urlante voce di McCartney. Sei giorni dopo e Ringo pure presentò una sua canzone, la scanzonata e divertente Octopus’s Garden, una sorta di Yellow Submarine in chiave country, mentre a fine mese si sovraincisero alcune parti di quello che doveva essere il secondo singolo tratto dal materiale di “Get Back”, ovvero Let It Be / You Know My Name. Ma anche qui le cose non sembrarono andare per il verso giusto e i Beatles tornarono a dedicarsi ai nuovi brani.

Un’altra nuova canzone venne introdotta da Paul il 6 maggio, la commovente You Never Give Me Your Money: un pezzo a dir poco superbo, senza dubbio fra i migliori dei Beatles, la testimonianza palese che McCartney vedeva il futuro più chiaramente degli altri, tanto che alle stesse conclusioni John sarebbe arrivato soltanto un anno dopo, nel suo “John Lennon/Plastic Ono Band”. Seguono quindi altri lavori infruttuosi per “Get Back” e più concretamente la pubblicazione del singolo The Ballad Of John And Yoko / Old Brown Shoe, il quale volò anch’esso al 1° posto della classifica inglese.

Altra grande prova di Paul, che il 2 luglio incise col gruppo la sua Golden Slumbers/Carry That Weight, un’altra stupenda e memorabile canzone che il bassista ha regalato ai Beatles (sia Golden Slumbers che You Never Give Me Your Money condividono lo stesso tema – la fine di quell’avventura straordinaria chiamata Beatles – e parte della musica, tanto commovente quanto maestosa). Poi, quasi per scherzo, Paul registrò in solitaria l’acustica Her Majesty che sarà collocata casualmente in chiusura di “Abbey Road”.

Il 7 luglio George presentò la gentile e ottimistica Here Comes The Sun, mentre due giorni dopo Paul introdusse la grottesca Maxwell’s Silver Hammer: se la prima è un’altra delle opere più memorabili di Harrison, tanto spensierata quanto deliziosa, la seconda è una delle canzoni meno amate (anche da Lennon) composte da McCartney, soprattutto per via del suo testo disturbante.

In quel periodo John Lennon ebbe un incidente automobilistico, avvenuto mentre scorrazzava in famiglia per la Scozia, che lo costrinse al ricovero: tornò in studio il giorno 21 con un classico dei Beatles, Come Together. Il brano, che comunque è una scopiazzatura di You Can’t Catch Me del grande Chuck Berry, è molto potente – anche se decisamente tenebroso – e verrà scelto come canzone d’apertura dell’album. Se si pensa a ciò che è accaduto a John l’8 dicembre 1980, è ancora inquietante sentirlo sussurrare ‘shoot me’ in alcuni punti di Come Together… è anche vero, d’altra parte, che il verbo ‘to shoot’ in slang inglese è un riferimento alla droga e in quel periodo John stava sperimentando l’eroina.

Terminata questa prima fase d’incisioni, Paul ebbe una (ennesima) idea: creare un medley che potesse riempire l’intera facciata B dell’album. Ciò diede l’opportunità ai Beatles di liberarsi di alcuni frammenti di vecchie canzoni che non erano state completate e di legarli fra di essi: da qui i brani Sun King (disteso e sonnacchioso), Mean Mr. Mustard (memore delle sonorità di “Sgt. Pepper”), Polythene Pam (nervoso e sarcastico), She Came In Through The Bathroom Window (disteso e sicuro di sè) e, come gran chiusura, l’apposita The End (brano decisamente progressivo, perlopiù strumentale, con tanto di unico assolo batteristico di Ringo in tutta la sua carriera beatlesiana) ad opera del solito Paul. Il 1° agosto, tuttavia, John introdusse una nuova canzone, la corale ma tetra Because, dopo la quale i Beatles tornarono a perfezionare e raffinare i lavori per l’album, avvalendosi per la prima volta anche del sintetizzatore al quale ho accennato sopra. Suonato alternativamente da George, John e Paul, quest’ultimo e innovativo strumento elettronico compare sempre in modo calibrato e funzionale tra le canzoni, senza mai stravolgere l’autenticità delle stesse.

Il produttore storico dei Beatles, George Martin, si occupava nel frattempo delle dovute partiture orchestrali, anche queste sempre ben mirate e mai invasive sugli arrangiamenti originali. Insomma, con “Abbey Road”, stiamo parlando pur sempre d’un capolavoro.

Il tutto, fra incisioni vere e proprie, ritocchi & ripensamenti, tagli e missaggi, terminò il 25 agosto, dopodiché i Beatles andarono a farsi la storica passeggiata sulle strisce pedonali davanti agli Abbey Road Studios per la copertina del disco. Disco che venne pubblicato il 26 settembre 1969 dalla Apple/EMI, che riscosse il solito enorme successo mondiale e che, giustamente, viene oggi considerato una pietra miliare nella storia del rock. Forse, e ripeto il forse, l’album migliore dei Beatles.

Il giorno 9/9/09 è stato ristampato tutto il catalogo beatlesiano, fra cui ovviamente anche “Abbey Road”, in una versione Digital Remaster notevolmente più nitida e pulita per quanto riguarda l’audio [

– Matteo Aceto

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