Philip Roth: i suoi libri per me

Stamattina, come tutte le mattine, mentre aspettavo che il caffè uscisse, ho acceso la televisione per conoscere le notizie e ho letto immediatamente della morte di Philip Roth, uno dei miei scrittori preferiti. Una notizia che in pochi minuti è finita in tutte le prime pagine, addirittura riportata come prima notizia. Una morte che mi ha addolorato, certamente, sebbene il grande scrittore americano era già piuttosto avanti con gli anni e già da diverso tempo aveva annunciato il suo ritiro, per così dire, ovvero che non avrebbe più dato alle stampe nessun nuovo romanzo.

Lui che di romanzi ne aveva scritti una buona trentina, tutti di alto livello, tutti meritevoli quanto meno di essere letti, secondo la mia modestissima opinione. Di Philip Roth ho letto “Lasciar Andare” (1962, un po’ prolisso ma appassionante), “Lamento di Portnoy” (1969, forse il suo libro più conosciuto, incentrato sì sul sesso ma anche toccante, che mi piacerebbe rileggere prima o poi), “La mia vita di uomo” (1974, piuttosto crudo, non mi ha entusiasmato granché)”, “Lo Scrittore Fantasma” (1979, una lettura affascinante ma un po’ faticosa), “Zuckerman Scatenato” (1981, divertente e commovente a un tempo), “La Controvita” (1986, forse il suo libro che fa più riflettere), “Inganno” (1990, originale negli intenti ma forse sconclusionato nella pratica), “Pastorale Americana” (1997, il romanzone che gli valse il premio Pulitzer, davvero bello anche se forse un po’ prolisso), “La Macchia Umana” (2000, il suo libro che mi è piaciuto di più, soprattutto per le ambientazioni), “L’Animale Morente” (2001, romantico e crudo al contempo), “Il Complotto contro l’America” (2004, una trama avvincente tra fantastoria e fantapolitica – l’aviatore Charles Lindbergh che, eletto presidente degli Stati Uniti, conduce il paese a una sorta di nazismo dal volto buono – che sembra anticipare l’epoca di Donald Trump), e quindi “L’umiliazione” (2009, breve, crudo e senza speranza).

Mi mancano invece “Goodbye, Columbus” (1959, una raccolta di racconti, se non ricordo male), “Il Teatro di Sabbath” (1995, forse il prossimo che acquisterò) e “Nemesi” (2010, il suo ultimo romanzo, prima dell’annunciato ritiro), per dire degli altri titoli più celebri, oltre a “Quando lei era buona” (1967), “La nostra gang” (1971), “Il Grande Romanzo Americano” (1973), “Il Professore di Desiderio” (1977), “La Lezione di Anatomia” (1983), “Operazione Shylock” (1993), “Ho sposato un comunista” (1998), “Everyman” (2006), “Il fantasma esce di scena” (2007) e infine “Indignazione” (2008).

Dei diversi film che sono stati tratti dalle opere di Philip Roth, invece, ho visto soltanto “La Macchia Umana” (2003), diretto da Robert Benton e interpretato da Anthony Hopkins e Nicole Kidman, sebbene l’abbia visto molto tempo prima di aver letto il romanzo originale, per cui mi piacerebbe una nuova visione del film.

Insomma, cominciai quasi per caso, un tre o quattro anni fa, con “Pastorale Americana”, un titolo che continuavo (e continuo) a ritrovarmi dappertutto, e da lì in poi non mi sono più fermato. In pratica, quando avevo voglia di leggere qualcosa di nuovo ma non avevo nessuna ispirazione circa il titolo o l’autore, me ne andavo alla più vicina libreria, spulciavo tra i titoli rothiani disponibili e sceglievo quello che suscitava la mia curiosità del momento. Che cosa mi piace di più di tutta quest’opera di Philip Roth? La sua cervelloticità senza dubbio, quel continuo ruminare & rimuginare, e poi le tipiche situazioni paradossali raccontate dalla cultura ebraica, ma sempre ben ancorate alla realtà, una realtà nella quale può riconoscersi anche un italiano cattolico e di provincia come me. Credo, infine, che una parte del fascino suscitato in me dai libri di Roth sia dovuta alle ambientazioni: New York ovviamente, ma anche il Connecticut, il New England in generale, gli appartamenti in centro, le aule universitarie. Per ora, come ho scritto sopra, avrò da recuperare un bel po’ di pagine di pura narrativa rothiana che mi terranno impegnato per qualche annetto buono. Poi, lo so già, Philip Roth mi mancherà davvero. – Matteo Aceto

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