Sting, “Songs From The Labyrinth”, 2006

sting-songs-from-the-labyrinthUn abbondante anno fa, con l’influenza che mi tormentava, pubblicai questo post con l’intenzione d’integrarlo a breve con un secondo post. Ebbene, forse perché sono influenzato pure in questi giorni, mi sono tardivamente ricordato di queste righe, che riporto fedelmente & che integro alla fine con un breve poscritto.

L’influenza non mi dà tregua, stamani mi sono svegliato tremendamente. Però non avevo la febbre, per cui dopo un bel bagno caldo, un’imbottitura di caffé & medicinali, sono andato al vicino centro commerciale con una missione ben chiara: riportare a casa l’ultimo disco di Sting, “Songs From The Labyrinth”.
Il tempo di andare, prenderne una copia, spulciare brevemente nella discografia di Miles Davis, pagare il mio ciddì, prendere un caffé macchiato e tornarmene casa.
Ho scartato il disco come se fosse una reliquia sacra: la copertina cartonata è semplice ma bella, col marchio giallo della Deutsche Grammophon (la casa discografica di proprietà della Universal, la stessa che pubblica i dischi rock di Sting con l’etichetta A&M) in bell’evidenza, in quanto si tratta di un lavoro ‘classico’. E’ infatti una collezione di canzoni composte dal musico medievale John Dowland (1563-1626), inglese come il nostro. Le canzoni sono intervallate da brevi letture da parte di Sting di una lettera datata 1595 che Dowland stesso scrisse a Sir Cecil, ministro della regina Elisabetta, con l’intento – poi fallito – di farsi promuovere a musicista di corte. Parte di questa lettera è riproposta all’interno del corposo e bellissimo libretto interno che accompagna il CD. Ci sono inoltre i testi delle canzoni e le citazioni dalla lettera, le nuove foto che ritraggono Sting e il musicista di Sarajevo che lo accompagna al liuto, l’abilissimo Edin Karamazov, più una lunga spiegazione da parte del nostro sulla genesi di questo disco. C’è anche una canzone, la quinta della scaletta, composta dal figlio di un musico ‘rivale’ di Dowland, Robert Johnson (1583-1633), da non confondere con l’omonimo bluesman americano, scomparso nel 1938.
Il riferimento al labirinto del titolo proviene dall’artigianale geometria esterna del liuto di Sting (il buco della cassa che viene attraversato dalle corde dello strumento), riprodotto anche sulla copertina del libretto. Questo labirinto è anche riprodotto nel giardino della villa inglese di Sting, che è anche il luogo nel quale lui e Karamazov hanno deciso di attuare questa collaborazione, dopo che per oltre ventanni lo stesso Sting si chiedesse come reinterpretare queste antiche canzoni che tanto lo ammaliavano.
Le incisioni si sono intervallate tra l’Inghilterra e l’Italia nel corso di quest’anno e hanno prodotto un lavoro di gran pregio: voglio però ascoltarmelo meglio questo “Songs From The Labyrinth”, prima di scrivere una recensione decente su questo blog. Comunque, quello che finora posso dire è che i 15 euro e i 90 centesimi che ho tirato fuori stamani sono soldi ben spesi. Sting non m’ha mai sbagliato un colpo… lo compro sempre a scatola chiusa da anni!

A distanza di oltre un anno confermo quanto ho scritto sul vecchio blog, e aggiungo che questo è uno dei migliori lavori mai proposti da Sting. Soltanto che, c’è da dire, risulta un po’ noioso ad un ascolto distratto o semplicemente più rilassato. Insomma, questo “Songs From The Labyrinth” non è un facile dischetto che mettiamo nel nostro lettore ciddì tanto per farci compagnia; è bensì un lavoro che richiede attenzione, un’atmosfera intima, possibilmente un bel tramonto & un bel caminetto accesso. Ecco, a tali condizioni ambientali, forse questo album così tanto minimale quanto raffinato rende al massimo… altrimenti siamo liberissimi d’ascoltarci tutt’altro, ci mancherebbe altro! – Matteo Aceto

Pubblicità