Parliamoci chiaro: un disco bello dall’inizio alla fine, con canzoni tutte memorabili, i Police non lo hanno mai fatto. Dal primo “Outlandos D’Amour” fino all’ultimo “Synchronicity”, infatti, non mancano degli evidenti riempitivi, canzonette messe lì per far numero, forse incise più per scherzo che per altro, nate da improvvisazioni in studio mentre si era alle prese con le varie Roxanne, Walking On The Moon, Message In A Bottle, Don’t Stand So Close To Me, Invisible Sun e Every Breath You Take. Eppure ogni disco dei Police s’è rivelato un fenomenale successo, eppure in ogni disco dei Police si può trovare un pezzo del meglio che il rock inglese abbia mai prodotto, eppure dei Police non ci siamo ancora stancati, eppure i Police sono da sempre uno dei miei gruppi preferiti.
Volendo inserire in questo modesto blog alcune delle cose migliori (si fa per dire) che ho scritto in passato, ecco la mia recensione del 23 gennaio 2008 – opportunamente rivista – sull’ultimo album dei nostri. Non necessariamente il migliore, “Synchronicity” resta il disco poliziesco che ascolto più spesso, forse perché suona più come un album del mio amato Sting, eseguito con gli impareggiabili Stewart Copeland e Andy Summers come comprimari di lusso.
Inciso fra il 1982 e l’83 col produttore Hugh Padgham (all’epoca anche assiduo collaboratore dei Genesis), “Synchronicity” segnò la consacrazione definitiva dei Police, grazie al simultaneo 1° posto in classifica nei due mercati discografici più importanti, quelli statunitense e britannico. Probabilmente perché “Synchronicity” contiene la canzone più famosa dei Police, l’ormai classicissima Every Breath You Take, anch’essa al 1° posto d’un sacco di classifiche mondiali, nel corso di quel glorioso 1983, ma offre pure due gemme preziosissime quali King Of Pain e Wrapped Around Your Finger.
L’album, del resto, inizia già col botto: Synchronicity I, serrata canzone che resta fra le mie preferite del catalogo poliziesco, vede Sting & compagni recuperare la velocità punk degli esordi, irrobustendo il tutto con un serrato arrangiamento pop-rock e impreziosendo il testo con citazioni tratte dalle teorie di Carl Gustav Jung sulla sincronicità (tema psicosociale assai interessante che influenza il titolo stesso del disco e i temi di altre canzoni in esso contenute). Apprezzo tantissimo, in Synchronicity I, gli incroci fra la voce solista di Sting e i suoi stessi cori, per non dire dello sfavillante lavoro batteristico di Copeland.
Suggestiva e alquanto inusuale nel repertorio dei Police, la tribale Walking In Your Footsteps è tutta giocata sulle percussioni in una sorta di bossa nova rock, dove Sting grida un monito sul pericolo nucleare confrontando il cammino dell’uomo al destino dei dinosauri. Nell’album “The Police Live!” (1995) si ascolta una Walking In Your Footsteps con un testo piuttosto ampliato; non so se esiste un’analoga versione da studio, che magari è stata poi editata nella versione che conosciamo per ragioni di spazio.
O My God è un pezzo che mi piace molto ma la storia dei Police rivela che forse si tratta d’un riempitivo: ripescata dal materiale (allora inedito) inciso nel 1977 quando la band confluì nel progetto degli Strontium 90, questa versione ci regala grandi linee di basso & grande prova canora di Sting, il quale si diletta anche col sax nello spettacolare finale, dove la batteria di Stewart è irresistibilmente dinamica.
Unico contributo autoriale del chitarrista Andy Summers al disco, Mother è il pezzo più delirante mai inciso dai Police. Di certo suona come una brutta canzone, uno stridio imbarazzante nell’audio levigato di “Synchronicity”, e forse non è un caso che a cantarla non sia Sting ma lo stesso Andy. Successivi ascolti da veri appassionati, tuttavia, dovrebbero farci accettare Mother per quella che è, una canzone sarcastica sulle cattive relazioni sentimentali che sfociano nel morboso. Disturbante sì, ma almeno divertente!
Segue il solo contributo autoriale del grandioso Stewart Copeland, che con la sua Miss Gradenko ci regala un’innocua canzoncina vagamente spruzzata da influenze caraibiche, annoverabile tra quei riempitivi che inevitabilmente abitano in ogni album poliziesco. Il resto dell’album viene tutto dalla penna di Sting, subito alle prese con Synchronicity II, uno dei brani più magnificamente rock dei Police, dai tratti quasi heavy. Solidissima l’amalgama batteria-basso-chitarra, in un brano tirato dove Sting ci offre un’infuocata prestazione vocale a proposito d’un inquietante sincronismo fra l’esplosione della rabbia repressa d’un impiegato e l’emergere del mostro di Loch Ness dagli abissi del suo torbido lago. Uno spettacolo, non c’è che dire.
E finalmente arriva Every Breath You Take, inconfondibile ed emozionante fin dai primi secondi; scritta da Sting mentre rifletteva sulla separazione dalla prima moglie, l’attrice Frances Tomelty, questa appassionata canzone è una delle più belle di tutti i tempi, un autentico classico della musica. Le fa seguito King Of Pain, una delle canzoni che più amo, altro grande classico dei Police: liriche sofferte cantate con grande intensità, bei cori, arrangiamento raffinato, ritornello cantabilissimo, bridge (a 2′ e 43” dall’inizio) di grande impatto, bell’assolo di chitarra (forse troppo breve). Cos’altro dire d’un tale capolavoro?
Proseguendo in un orgasmo sonoro per le orecchie, ecco la superba Wrapped Around Your Finger… indovinate un po’? Una delle canzoni che più amo! Base malinconicamente saltellante, come un estremo saluto a quel reggae bianco che la band proponeva nei primi album, e uno dei migliori testi di Sting, dove canta la rivalsa d’un uomo un tempo succube che finalmente prende coscienza di sé: e così l’iniziale “I’ll be wrapped around YOUR finger” diventa “YOU’ll be wrapped around MY finger” nell’emozionante ritornello conclusivo.
Ed eccoci giunti all’ultimo brano in programma, l’atmosferico Tea In The Sahara, sorta di reggae pensoso e desolato, dove Sting – traendo ispirazione dal libro “The Sheltering Sky” di Paul Bowles – canta di promesse disattese attraverso il suo registro vocale più basso.
Menzione a parte per due B-side che avrebbero dovuto meritare spazio sul disco (al posto di Miss Gradenko e Mother, ad esempio): Murder By Numbers, una canzone rock-fusion firmata Sting/Summers, in seguito inserita come bonus nell’edizione in ciddì di “Synchronicity”, e quindi Someone To Talk To, caratteristico ibrido reggae-rock di marca poliziesca, cantato però dal suo autore, Andy Summers. – Matteo Aceto