Roger Waters, “Amused To Death”, 1992

roger-waters-amused-to-death-immagine-pubblica-blogTutte le recensioni che nel corso degli anni ho letto di “Amused To Death” concordano almeno su un punto: si tratta del miglior lavoro solista di Roger Waters. Anch’io la penso così, per quanto abbia un debole per il primo album in solitaria del bassista dei Pink Floyd, “The Pros And Cons Of Hitch Hiking” (1984).

“Amused To Death”, terzo album solo per Waters, è in realtà uno dei migliori dischi rock che siano mai stati distribuiti, un lavoro costato cinque anni tra concepimento e realizzazione che, nella sua critica sociale all’uso degenerato dei mass media e alla spettacolarizzazione della guerra resta tuttora attualissimo. Un album di grande lirismo, sorretto da una musica eccezionale e immerso – come tipico nei dischi floydiani – da tutta una serie di grandiosi effetti sonori, anche di raccordo fra un brano e l’altro. Per non parlare poi dei musicisti coinvolti, fra cui i chitarristi Jeff Beck, Tim Pierce, Steve Lukather e B.J. Cole, il bassista Randy Jackson, i batteristi Jeff Porcaro e Graham Broad, il percussionista Luis Conte, il tastierista Patrick Leonard (produttore con lo stesso Waters di questo disco) e la National Philarmonic Orchestra condotta da Michael Kamen.

Le prime canzoni di “Amused To Death” nacquero nelle pause del tour che Roger intraprese per promuovere l’album “Radio K.A.O.S.” (1987), poi fra il 1988 e l’89 pare che il nuovo album – già intitolato “Amused To Death” – fosse finalmente pronto per la pubblicazione. La copertina originale mostrava tre yuppie – dai tratti molto somiglianti a David Gilmour, Nick Mason e Richard Wright – che annegavano in un cocktail. Poi il progetto fu rimandato a causa d’un cambio d’etichetta discografica e poi ancora Waters fu impegnato con la riproposizione dal vivo dello spettacolo di “The Wall” a Berlino, per festeggiare la caduta del famigerato muro che aveva diviso la città per quasi 30 anni.

Finalmente nel ’91 Waters tornò ad occuparsi di “Amused To Death”: la prima guerra del Golfo che scoppiò fra l’Iraq e il Kuwait (supportato dagli USA) fornì ulteriore ispirazione creativa a Roger, tanto che l’album arrivò alla durata di oltre settanta minuti (un doppio elleppì, quindi, come non si vedeva proprio dai tempi di “The Wall”…). L’album, pubblicato infine nell’estate del 1992, si piazzò nella Top Ten inglese e fu salutato come un capolavoro dalla critica.
In definitiva, concordo con quel discografico della Sony che disse che se avessero potuto scrivere ‘pink floyd’ su quest’album, esso avrebbe venduto venti milioni di copie. Vediamolo un po’ più da vicino…

1) Un album magnifico, “Amused To Death”, che inizia in modo magnifico, con la grande atmosfera di The Ballad Of Bill Hubbard, vagamente reminiscente (nella parte iniziale) di Shine On You Crazy Diamond e superbamente arricchita dalla chitarra di Jeff Beck. Sostanzialmente si tratta d’un brano strumentale ma viene scandito dalla voce d’un reduce della Prima guerra mondiale, Alf Razzell, che parla d’un soldato morto in quel conflitto, Bill Hubbard, al quale questa canzone e tutto l’album sono dedicati.

2) Edita come primo singolo estratto dall’album, What God Wants, Part I è uno dei pezzi forti di “Amused To Death”, grazie al suo accattivante rock-blues. E’ in realtà una delle canzoni più coinvolgenti del Waters solista e parla di come tutte le cose che ci sono in questo mondo, buone o cattive che siano, sono sempre dovute al volere di Dio.

3-4) La musica e l’atmosfera complessiva di Perfect Sense, Part I sono assolutamente grandiose: un morbido tappeto percussivo, un sognante giro di piano, effetti d’ogni sorta e soprattutto un’emozionante staffetta vocale fra Roger Waters e P.P. Arnold, a lungo corista del nostro nei suoi tour. Segue la Part II della stessa canzone, un’epica ballata rock che si discosta molto dalla Part I ma che continua lo scambio vocale fra Waters e la Arnold.

5) The Bravery Of Being Out Of Range è un disteso ma a suo modo epico brano rock, fra le migliori canzoni mai proposte dal Waters solista; il testo è l’ennesima condanna del nostro alla stupidità della guerra.

6-7) Assolutamente magnifica la sequenza fra la Part I e la Part II di Late Home Tonight, un capolavoro dentro il capolavoro. Se la prima è un pezzo vivace che parte su toni country e conclude con un rocambolesco sound afro, la seconda è una dolente composizione dove la mesta voce di Roger si staglia sul solenne canto di una tromba.

8) Altro pezzo memorabile, Too Much Rope è in realtà uno dei brani più spettacolari che io abbia mai sentito! Pieno d’effetti sonori di grande atmosfera – i colpi di un taglialegna, una diligenza trainata tra gli scampanellii, l’ululato d’un lupo in lontananza, il rombo d’una Ferrari e altro ancora – Too Much Rope è una condanna all’umana avidità, con il tono che diventa più rabbioso mentre la canzone volge al termine.

9-10) Eccoci finalmente alla Part II di What God Wants, stilisticamente simile alla Part I ma meno rock e più meditabonda. Segue la Part III della stessa canzone, una stupenda ballata rock che musicalmente ha ben poco a che vedere le altre due parti: il canto di Waters alterna rabbia, cinismo, dolore e commozione, mentre a 1 minuto e 48 secondi dall’inizio parte un superbo assolo di Jeff Beck che contribuisce a rendere questa What God Wants, Part III una delle vette artistiche di Roger Waters, con o senza i Pink Floyd.

11) Cantata in duetto con Don Henley degli Eagles, Watching T.V. è una curiosa fusione fra il country e la musica orientale: l’impiego di strumenti tradizionali della musica cinese è più che appropriato in quanto il testo di questa canzone cita i tragici fatti di Tien An Men del 1989, tuttavia preferisco il country della parte iniziale, dove è un vero piacere sentire Don e Roger cantare nello stesso microfono.

12) Il cavernoso blues psichedelico di Three Wishes sembra rifarsi ad alcune sonorità di “Wish You Were Here” (1975) e “Animals” (1977). E’ un brano intenso, con un ritornello abbastanza orecchiabile, forse però tirato troppo per le lunghe… è stato comunque editato per la pubblicazione su singolo.

13) Anche la successiva It’s A Miracle pecca un po’ di prolissità ma la sua tetra atmosfera – a metà fra una processione e un epico brano ambient – la rende una delle canzoni più impressionanti di Roger Waters, anche grazie a Jeff Porcaro e Jeff Beck che sul finale scuotono i loro strumenti musicali con grande intensità.

14) La conclusiva Amused To Death è invece composta da due temi principali: dopo una prima parte più dolce – cantata in duetto fra Roger Waters e Rita Coolidge – segue a quasi 4 minuti e mezzo dall’inizio una sezione decisamente più rock. Il finale torna quindi alla placida atmosfera iniziale, con tanto di effetti sonori che concludono il disco su toni di malinconia e, forse, di rassegnazione. – Matteo Aceto

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