Lucio Battisti, “Don Giovanni”, 1986

lucio-battisti-don-giovanni-immagine-pubblica-blogLa prima volta che ho ascoltato “Don Giovanni”, il primo disco realizzato da Lucio Battisti in collaborazione col paroliere Pasquale Panella, sono rimasto davvero di stucco. Perché le uniche canzoni di battisti che conoscevo erano quelle scritte con Mogol, un paroliere molto celebrato che non ha certamente bisogno di presentazioni, mentre le canzoni scritte da Battisti con Panella erano davvero misconosciute, almeno per me, quando le scoprii con grande interesse tre-quattro di anni fa. Di stucco perché i pezzi Battisti-Panella non sono affatto inferiori ai pezzi Battisti-Mogol, eppure continuano a restare relegati a mo’ di appendice alla favolosa storia artistica di Lucio.

Dei cinque album scritti con Pasquale Panella e pubblicati tra il 1986 e il 1994, il “Don Giovanni” di Lucio Battisti è quello che ho apprezzato di più, tanto da averlo comprato non solo su ciddì ma anche, qualche tempo dopo, su vinile. Se, musicalmente parlando, “Don Giovanni” è un disco inconfondibilmente anni Ottanta, è pur vero che quel sound era davvero in linea con i tempi, e francamente non saprei dire quanti altri album italiani del periodo suonassero come quello. Composto da soli otto pezzi – stabilendo così uno standard per ogni altro album Battisti-Panella che sarebbe venuto in seguito – “Don Giovanni” è un disco irresistibilmente pop non soltanto per la produzione, l’arrangiamento e l’esecuzione dei pezzi ma anche per quei controversi testi scritti appunto da Panella. Testi che dicono tutto e niente, testi che sono arguti e demenziali, testi canticchiabilissimi eppure difficili da memorizzare, perché chiari e oscuri a un tempo.

Ed è una fonte di grande stupore, almeno per me, ascoltare Battisti che canta frasi come “la prima volta che ti vidi non guardai”, “tu dici ancora che non parlo d’amore, batte in me un limone giallo, basta spremerlo”, oppure “l’artista non sono io, sono il suo fuochista”, oppure ancora “se poi è realtà quel che in realtà sognò a metà”. E’ tutto senza senso o c’è un senso nascosto in ogni canzone, per non dire in ogni frase? L’impressione è che il tutto cambi ascolto dopo ascolto, rendendo la fruizione del disco un’esperienza unica ad ogni ascolto.

Testi a parte, quel che mi piace di “Don Giovanni” sono comunque le canzoni in quanto tali, con tutto quel mix di parole e musiche così peculiare: davvero splendida l’iniziale Le Cose Che Pensano, molto coinvolgente la successiva Fatti Un Pianto, così come Il Doppio Del Gioco, forse meno entusiasmante Madre Pennuta ma ben più divertente Equivoci Amici, a dir poco sublime Don Giovanni, sempre di grande suggestione Che Vita Ha Fatto, e quindi consolatoria la conclusiva Il Diluvio.

Inciso e prodotto in Inghilterra, con una schiera di musicisti esclusivamente locali (tra i quali ricordo il produttore Greg Walsh alla batteria, Robin Smith al piano, Guy Barker alla tromba, Phil Todd al sax e Gavyn Wright al violino), “Don Giovanni” resta probabilmente l’opera più compiuta del Battisti dopo Mogol. E forse l’ultimo vero capolavoro del nostro più acclamato cantautore. – Matteo Aceto

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Lucio Battisti, “Una Donna Per Amico”, 1978

lucio battisti una donna per amicoPuò una sola canzone giustificare l’acquisto d’un intero disco? Certamente. E può l’introduzione di quella sola canzone assolvere tutta un’opera d’arte? Ma sicuramente, se quella canzone si chiama Prendila Così e l’artista è Lucio Battisti. Una perla di canzone prossima agli otto minuti, impreziosita dagli assoli di sassofono di Derek Grossmith, pubblicata nel 1978 ma già proiettata stilisticamente negli anni Ottanta e forte d’una introduzione avvolgente, crepuscolare, pulsante, epica e drammatica. Quando dopo quarantasei secondi entra la voce di Lucio Battisti, sembra di entrare in un’altra dimensione, nella quale si viene spinti ancora più in là a venti secondi dal primo minuto, quando entrano pure gli archi sintetizzati. Ecco, basta questo minuto & mezzo d’un pezzo come Prendila Così per inserire l’album “Una Donna Per Amico” tra i più belli dell’intera produzione battistiana.

Ma un album è un album, e di belle canzoni ce ne sono anche altre, in questo “Una Donna Per Amico” che sto cercando di descrivere mentre le sue note in cuffia mi distraggono e mi confonde piacevolmente il corso dei pensieri. C’è Una Donna Per Amico, ovviamente, una delle canzoni italiane più famose di sempre, che unisce un ritmo disco a un testo nel quale ogni ascoltatore di sesso maschile potrebbe benissimo riconoscersi; c’è Donna Selvaggia Donna, dall’atmosfera morbidamente soffusa eppure vibrante come un carillon; c’è la deliziosa scenetta sentimentalquotidiana di Perché No; c’è Aver Paura d’Innamorarsi Troppo, a metà strada tra la classica melodia all’italiana e la musica caraibica, con tutta una parte corale che resta davvero da antologia.

C’è quindi un altro pezzo molto famoso chiamato Nessun Dolore, vagamente disco ma più elaborata rispetto a Una Donna Per Amico, c’è l’interessante pop-rock di Maledetto Gatto con tanto di talk-box applicato alla chitarra (un effetto utilizzato con efficacia anche dagli Eagles in Those Shoes del ’79, oltre che dai Pink Floyd in Keep Talking del ’94, ma ci sono anche altri esempi che ora non mi sovvengono… forse un pezzo di Bon Jovi?) e infine Al Cinema, il brano di chiusura dell’album – un po’ truce, a dire il vero – dove alcune situazioni cinematografiche sono messe a confronto con gli alti e i bassi d’una relazione sentimentale.

Registrato in Inghilterra col supporto di musicisti inglesi, d’un produttore inglese (Geoff Westley), d’un tecnico del suono inglese (quel Greg Walsh a sua volta promosso a produttore nei successivi progetti battistiani), un lavoro come “Una Donna Per Amico” rientra nella grossolana definizione di “album di musica italiana” soltanto perché i testi di Mogol, ovviamente scritti in italiano, sono cantati da Lucio Battisti in italiano. Perfino la foto di copertina – che a me è sempre piaciuta molto – è stata scattata in terra inglese. – Matteo Aceto