Freddie Mercury, Montserrat Caballé, “Barcelona”, 1988

freddie-mercury-montserrat-caballe-barcelona-1988Vorrei concludere la mia serie di post dedicata al mai-dimenticato & sempre-più-rimpianto Freddie Mercury recuperando e ampliando un post che pubblicai il 24 novembre 2009, a proposito dell’album “Barcelona”. Famoso disco di duetti tra il nostro e la regina spagnola della lirica, Montserrat Caballé, “Barcelona” è un album tanto apprezzato dai fan dei Queen quanto ridicolizzato dai detrattori di Mercury & soci. Essendo io un fan duro & puro dei Queen, non posso che apprezzare un disco del genere, un disco che con gli anni, per giunta, ho finito con l’amare. Ora è chiaro che tutto si riduce a una questione di gusti: potremmo pontificare in eterno su quale sia l’album più bello del mondo, o se un artista valga più dell’altro, rafforzando magari le nostre ragioni coi pareri critici degli esperti musicali di turno. Per quanto mi riguarda, ciò che conta davvero è l’emozione: se un disco ci emoziona, e soprattutto se continua a farlo anche dopo decenni, ebbene quello è un gran disco. Non ci sarebbe altro da aggiungere. La maniera migliore per giudicare se un album (o una canzone, o anche un film o un libro) sia “bello” è se ci fa venire la pelle d’oca, se ci mette i brividi, se ci commuove. Insomma, se ci trasmette un’emozione. Nel mio personalissimo caso, “Barcelona” fa proprio questo, e quelle che seguono sono le mie personalissime impressioni. Chiunque, fra i commenti, può esternare le sue (e un blog serve anche a questo).

Spettacolare, raffinato e tuttora unico nel suo genere, “Barcelona” fonde con originalità l’universo sonoro di Freddie Mercury con gli stilemi della musica lirica, in una resa sonora che in fondo non lascia né sorpresi e né perplessi: la musica di Mercury è stata sempre melodrammatica, teatrale, epica e potente. Approntando un album come “Barcelona”, il nostro non deve aver fatto una gran fatica, o addirittura una violenza a sé stesso. Anzi, si è proprio divertito, si è appassionato e ci ha messo l’anima, come ha scritto in proposito Peter Freestone, assistente personale di Freddie, nel suo ormai noto libro di memorie: “Barcelona era la sua essenza. Siccome era un disco che voleva fare a tutti i costi, aveva deciso che avrebbe dovuto contenere il meglio che Freddie Mercury potesse offrire. Dopo tutto, avrebbe potuto essere il suo memoriale”. Freestone, nel rievocare la gestazione d’un disco tanto originale, non nasconde infatti la possibilità che Freddie già allora sapeva di essersi seriamente ammalato. Non bisogna dimenticare, tuttavia, il fondamentale contributo creativo e strumentale del pianista, tastierista e arrangiatore Mike Moran, coautore di tutte le canzoni di “Barcelona” e produttore, assieme a David Richards e allo stesso Mercury, di questo autentico capolavoro.

Freestone ricorda inoltre il primo incontro Mercury-Caballé, che si svolse al Ritz Hotel di Barcellona nel marzo ’87: “questa collaborazione iniziale con Mike [Moran, già al fianco del nostro per il singolo The Great Pretender / Exercises In Free Love edito a febbraio] produsse una cassetta di tre brani di base. Uno di questi diventò Exercises In Free Love che poi diventò Ensueno nell’album Barcelona. Gli altri due erano il formato di base di The Fallen Priest e Guide Me Home che Mike aveva messo insieme con Freddie usando una voce in falsetto per approssimare la parte di Montserrat”. E infatti possiamo ascoltare alcuni di questi provini fra le numerose rarità presenti in “The Solo Collection”, un monumentale cofanetto di 12 dischi dedicato a Mercury e pubblicato dalla EMI nel 2000. In quelle rivelatorie sedute di registrazione – provini casalinghi con la stessa Caballé e registrazioni di studio vere & proprie nelle quali ascoltiamo la voce del solo Freddie – possiamo così ammirare tutto il talento (e la passione) di Mercury alle prese con uno dei suoi dischi più significativi. Ma è un altro libro di memorie, scritto da Jim Hutton, l’ultimo compagno di vita di Freddie, ad offrirci un’interessante testimonianza di quelle sedute: “Qualche giorno più tardi, quella stessa settimana [della primavera ’87], quando Montsy arriviò in studio di registrazione per lavorare con Freddie, le cose non andarono precisamente come lei si aspettava. Lei pensava che per registrare con Freddie le sarebbe bastato arrivare, cantare qualche canzone seguendo lo spartito e andarsene; ma non aveva idea della singolarità del metodo di lavoro di Freddie. Lui non aveva preparato in anticipo nessuna musica per Montsy, ma invece intendeva chiederle di provare qualcosa di improvvisato e poi cominciare a lavorarci sopra fino a trovare insieme il miglior risultato. […] E così, lei accettò il suo particolare metodo di lavoro. Freddie si dimostrò un maestro esigente. In seguito, Montsy ammise che in quelle sedute di registrazione Freddie era riuscito a ottenere dalla sua voce più di quanto lei stessa riteneva di poter dare”.

Epica ed emozionante ballata pianistica dove la potenza delle due voci viene espressa ai massimi livelli, Barcelona, edita su singolo già nell’ottobre ’87, è di certo la canzone più famosa del disco. Il testo stesso della canzone narra delle emozioni scaturite in Freddie da questa sua agognata collaborazione. Barcelona è senza dubbio uno dei vertici artistici di Mercury, una delle canzoni più rappresentative del suo stile barocco e melodrammatico. La Japonaise è invece un brano più d’atmosfera, con Freddie che canta diverse parti in giapponese, mentre la musica – mescolando elementi della tradizione sacra con sonorità tipicamente orientali – ci accompagna in un viaggio suggestivo e suadente. Pezzo decisamente operistico, il successivo The Fallen Priest non sfigurerebbe affatto in una qualsiasi compilation di lirica: un brano di assoluta potenza e drammaticità che rappresenta uno dei duetti più riusciti della coppia Mercury-Caballé. La lenta e malinconica Ensueno (basata come sappiamo su Exercises In Free Love) è un incredibile duetto in spagnolo dove Freddie si esprime come mai si era espresso prima grazie all’uso del suo timbro naturale, ovvero un caldo baritono. Ensueno è l’unico numero in “Barcelona” dove Mercury e la Caballé hanno cantato fianco a fianco, dato che, per via dei numerosi impegni della soprano, Freddie si vide costretto ad operare da solo in studio e poi a far sovraincidere la voce alla sua partner.

The Golden Boy – pubblicata anche su singolo, in un’orrenda versione editata – figura un’interessante fusione di stili: lirica, pop e gospel, con Mercury sempre protagonista a discapito della Caballé, maggiormente a suo agio nella prima parte e nel finale della canzone, entrambe sezioni di vera musica lirica che testimoniano, inoltre, la grande versatilità della voce di Freddie. Delicata e commovente ballata sulla fragilità della condizione umana, Guide Me Home è una canzone semplicissima eppure molto emozionante, quieta e potente al tempo stesso; il finale è collegato alla successiva How Can I Go On?, il brano dall’arrangiamento più convenzionalmente pop di questo disco, tanto che al basso figura un altro componente dei Queen, John Deacon. Anche in questo caso siamo alle prese con uno dei vertici artistici di Freddie Mercury, con quell’intreccio tra la sua voce e quella della Caballé che, soprattutto nel finale, è davvero da pelle d’oca. La conclusiva Ouverture Piccante non è una canzone vera e propria, bensì un lungo mix fra alcuni degli altri brani presenti sul disco, anche se include una veloce sezione di piano del tutto inedita. Pur non memorabile, Ouverture Piccante resta se non altro un ascolto interessante: ci permette di apprezzare maggiormente l’elaborato uso delle voci sovrapposte da parte dello stesso Freddie, alcune delle quali scorrono al contrario.

“Ci furono un paio di altre idee – scrive ancora Peter Freestone nel suo libro – che a Freddie sarebbe piaciuto provare con Montserrat in quel periodo, una delle quali era l’incisione di La Barcarole tratta da The Tales Of Hoffman di Offenbach, ma a causa della limitata disponibilità di tempo di Montserrat, la cosa fu tralasciata, forse per una data successiva”. L’altra idea era invece Africa By Night, grande inedito mercuryano che non abbiamo ancora avuto il piacere d’ascoltare nella versione originaria, successivamente recuperata per quella All God’s People inserita in “Innuendo” (1991).

Aggiungo, per finire, che nel 2012, in occasione del venticinquennale della collaborazione Mercury-Caballé, la Universal ha distribuito una interessante (anche perché piuttosto economica) edizione deluxe dell’album “Barcelona” comprendente 4 dischi: accanto all’inevitabile divuddì contenente video e interviste, troviamo infatti un compendio delle “Barcelona Sessions” apparso nel 2000 nel ben più dispendioso “The Solo Collection” (il cofanettone monografico dedicato a Mercury che abbiamo già citato sopra) e un completo remix dell’album originale a base di vera orchestra curato da Stuart Morley (in uno dei tre ciddì se ne può ascoltare la sola versione strumentale).

Per quanto possa risultare affascinante, l’ascolto delle parti vocali che Freddie e Montserrat hanno messo su nastro tra l’87 e l’88, sovrapposte a un lavoro orchestrale del tutto nuovo ma che ricalca fedelmente la musica originale, non si traduce – almeno nel mio caso – in un valore aggiunto. E’ stato un esperimento lecito, che prima o poi andava anche fatto, ma che tuttavia non ha aggiunto niente di che al valore complessivo dell’opera, il cui vero spettacolo resta l’intreccio tra le bellissime voci dei due veri protagonisti del disco. – Matteo Aceto

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Queen, “Made In Heaven”, 1995

queen-made-in-heavenOriginariamente pubblicato il 27 novembre 2008, il post che segue è uno scritto rielaborato alla luce di quanto detto nel post precedente – a proposito delle canzoni inedite dei Queen – e soprattutto di quanto fatto ufficialmente pubblicare dai Queen stessi nel 2011, quando cioè vennero remasterizzati e ridistribuiti tutti i loro album con tanto di materiale inedito.

Sontuoso tributo a Freddie Mercury da parte dei suoi compagni di band, “Made In Heaven” – pubblicato dall’ormai defunta EMI nel novembre 1995 – viene ricordato come l’ultimo album dei Queen dell’era Mercury. Seppure, come vedremo, “Made In Heaven” è a volte pacchiano e perfino irritante è, tutto sommato, un disco apprezzabile. All’epoca il gruppo si procurò un sacco di critiche perché tacciato di voler sfruttare commercialmente il nome di Freddie e poi perché, a ben vedere, i brani contenuti in “Made In Heaven” non erano affatto tutti inediti. Sono stati infatti registrati in un periodo che va dal 1980 al 1991, per cui non si trattava del tanto strombazzato “ultimo disco di Freddie Mercury”. Ciò non impedì comunque a “Made In Heaven” di ottenere uno straordinario successo di vendite in tutto il mondo (ricordo che in Italia rimase per mesi in vetta alla classifica) e di essere addirittura acclamato come uno dei dischi migliori dei Queen.

Parliamoci chiaro: “Made In Heaven” non è affatto uno dei dischi migliori per rappresentare la musica dei Queen, né certamente IL miglior disco pubblicato dalla band, come il solito disinformato facilone disse all’epoca. Bisogna comunque dar atto a Roger Taylor, Brian MayJohn Deacon (i tre Queen superstiti) e David Richards (il produttore) di aver saputo cucire insieme canzoni & pezzi di canzoni che, tutto sommato, per noi orfani di Freddie Mercury rappresentarono un regalo più che gradito in quel Natale ’95.

L’album inizia con It’s A Beautiful Day che – come si evince dai contenuti bonus del remaster 2011 dell’album “The Game” (1980) – era una breve improvvisazione per piano & voce ad opera del solo Mercury, lunga appena un minuto & mezzo. Qui il resto del gruppo ha arricchito sontuosamente la scarna strumentazione originale, producendo addirittura tre versioni dello stesso pezzo: una lenta e meditabonda, vicina all’idea originale (posta ad apertura di “Made In Heaven”), una più veloce e rockeggiante (posta in chiusura) e quindi una terza che rappresenta una sorta di (brutta) fusione tra le altre due, edita come B-side del singolo Heaven For Everyone, nell’ottobre ’95.

Pubblicata su “Mr. Bad Guy“, il primo album solista di Freddie, Made In Heaven era in realtà avanzata dalle sedute dei Queen per l’album “The Works” (1984). May e compagni, si è detto, hanno qui recuperato il pomposo arrangiamento rock che la canzone avrebbe avuto se fosse stata pubblicata negli anni Ottanta su un disco dei Queen, a discapito della ben più delicata ballata che possiamo apprezzare su “Mr. Bad Guy”. Ebbene, ad oggi non abbiamo ancora avuto il privilegio di ascoltare una Made In Heaven suonata dai Queen tra il 1983 e il 1984, per cui quella che si sente in questo album del 1995 è nei fatti soltanto un notevole remix in chiave rock del pezzo solista di Freddie apparso dieci anni prima.

Let Me Live, a quanto pare, nacque da un’idea che Freddie Mercury e Rod Stewart misero su nastro nel 1983. Non è chiaro, tuttavia, chi altri vi abbia partecipato: i Queen al gran completo o il solo Roger Taylor? C’era anche Jeff Beck, come ho letto non so più dove? Quel che è certo è che, nel 1995, il resto dei Queen ha mostrato un “manufatto” eccezionale, espandendo magnificamente l’idea originale, con tanto di parti solistiche cantate – in successione – da Freddie, Brian e Roger (e questa è un’autentica novità nel canzoniere dei Queen), mentre i ritornelli sono sempre ad opera di Mercury. Una Let Me Live così presentata è bella, tuttavia mi sono sempre detto che, senza la morte di Freddie, una canzone in tale forma non sarebbe mai apparsa in nessun album dei Queen. Incorpora anche elementi presi da Piece Of My Heart di Janis Joplin, e da una delle primissime registrazioni dei Queen, Goin’ Back. Non so, in definitiva, quanto Freddie avrebbe potuto gradire il tutto.

Assai più interessante resta Mother Love, a quanto pare l’ultimissima canzone cantata da Mercury ad essere stata immortalata su nastro, nel luglio ’91. Cantata fino ad un certo punto, perché gli ultimi versi sono ad opera di May. Ma che canto! Il tema di questo pezzo bluesy è la disillusione e il bisogno di protezione in vista della fine che si approssima inesorabilmente, con una passione da parte di Freddie davvero da antologia. In qualche modo, il finale del pezzo – un mix discutibile di canzoni che scorrono all’indietro e altri effetti (fra cui la nota esibizione a Wembley nell’86 ed i primi versi di Goin’ Back – ancora!) – rovina l’atmosfera ma probabilmente Mother Love resta tuttora la giustificazione principale per comprarsi “Made In Heaven”. Da segnalare, infine, il bell’assolo centrale di chitarra ad opera di Brian, perfettamente in sintonia con l’atmosfera mesta del brano.

My Life Has Been Saved, per quanto gradevole, è una di quelle canzoni che non vedo per quale motivo siano state incluse qui. Forse per dare qualche credito in più a John Deacon, l’autore iniziale di un pezzo che, come molti del periodo 1989-95, è però accreditato collettivamente come Queen. Originariamente pubblicata come lato B del singolo Scandal (ottobre ’89), questa orecchiabile ballata rock viene se non altro presentata in una forma più robusta e levigata rispetto alla versione precedente, che è anche possibile ascoltare come bonus nell’edizione 2011 Digital Remaster di “Made In Heaven”.

Da quel che ci è dato sapere tuttora, la successiva I Was Born To Love You ha seguìto lo stesso iter di Made In Heaven: entrambe pensate per i Queen ma infine pubblicate su “Mr. Bad Guy”, a entrambe sono state sovrapposte per questo progetto dei grintosi arrangiamenti rock eseguiti dal gruppo. Se il risultato su Made In Heaven è notevole, qui – secondo me – s’è realizzato un vero impiastro. Al di sotto della voce originale di Freddie versione solista 1985, infatti, si ascolta un raffazzonato rock da stadio che sembra includere pure elementi tratti dalla versione di A Kind Of Magic che si ascolta nel film “Highlander” e da Living On My Own, altro celebre pezzo solista tratto dal saccheggiatissimo “Mr. Bad Guy”. Sono passati oltre vent’anni dalla prima volta che ho ascoltato questa rivisitazione alla Queen di I Was Born To Love You e ancora non riesco a farmela piacere. Così come ancora non ascolto la presunta “versione originale” eseguita dai Queen in quei fatidici anni 1983-85. Esisterà?

Edita come singolo apripista di “Made In Heaven”, Heaven For Everyone è invece una delle migliori realizzazioni dei Queen. A questo punto ci si chiede perché questa ruggente ballata rock sia stata esclusa dall’album “A Kind Of Magic” (1986), anche se reimpiegata in seguito per un progetto solista di Roger Taylor (autore del brano) datato 1987, che vi ha fatto cantare lo stesso Freddie Mercury. Forse, anche in questo caso, non esiste una versione di Heaven For Everyone eseguita dai Queen in quanto tali negli anni Ottanta; è più probabile che esista un provino eseguito dal solo Roger, provino che poi ha fatto ascoltare agli altri al momento di scegliere quali pezzi utilizzare per “A Kind Of Magic” e quindi scartato. Ma un giorno non troppo lontano, sono fiducioso, sapremo la verità!

Altra gemma perduta di quella seconda metà degli Ottanta è la successiva Too Much Love Will Kill You, struggente ballata esclusa per un soffio dall’album “The Miracle” (1989): per anni mi sono chiesto perché i Queen hanno scelto brani decisamente più insipidi come The Invisible Man (che scopiazza il tema di Ghostbusters, a mio avviso) o Rain Must Fall a discapito di questa magnifica canzone, anche se oggi posso dire che con molta probabilità c’era un conflitto tra autori per quanto riguarda il copyright. Ad ogni modo, la passione con la quale Freddie affronta il testo è semplicemente da brividi, mentre molto emozionante risulta anche il bell’assolo di chitarra di Brian. Comunque sia, anche Too Much Love Will Kill You non restava completamente inedita a noi fan: reincisa dal solo May per il suo album solista “Back To The Light” (1992), la canzone è stata anche eseguita dal vivo dallo stesso chitarrista al Pavarotti International del ’93.

You Don’t Fool Me è invece un inedito tratto dalle sedute di “Innuendo” (1989-1990), o comunque inciso di lì a poco; lo si avverte benissimo dal cambiamento della voce di Freddie, purtroppo già minata dalla malattia. Partendo da quella che mi sembra un’idea di base minima e poco abbozzata (con uno schema ritmico che mi ha sempre un po’ ricordato Oh Pretty Woman di Roy Orbison), qui bisogna dar merito ai Queen superstiti d’aver dato vita ad un pezzo rock coi controcazzi. Un plauso particolare va a Brian May che, nella parte centrale della canzone, si sfoga in un lungo e superbo assolo, fra i migliori della sua intera carriera.

Così come Mother Love, anche A Winter’s Tale rappresenta una delle più alte vette toccate in “Made In Heaven”, così come entrambe – e mi piace sottolinearlo – sono idee nate dall’estro di Freddie Mercury. Commovente ballata, triste ma a suo modo consolatoria, A Winter’s Tale resta tuttora una delle canzoni più belle che io possa vantare nella mia collezione di dischi. A voler dar credito a Jim Hutton, l’uomo accanto al quale Freddie visse gli ultimi sette anni della sua vita, A Winter’s Tale risale al 1990 ed era stata pensata dal cantante come primo tassello d’un suo prossimo (e purtroppo mai realizzato) album solista, il cui titolo sarebbe stato “Time In May”.

Inutile eppure paradossalmente necessaria nell’economia di “Made In Heaven”, ecco la versione rock di It’s A Beautiful Day, un brano ben più veloce che incorpora anch’esso elementi di una vecchia registrazione dei Queen, Seven Seas Of Rhye, un singolo datato 1974. Perché?

L’originale edizione in vinile di “Made In Heaven”, quella datata 1995, terminava così, mentre agli acquirenti del ciddì veniva “offerta” a conclusione del disco una lunga traccia ambient della durata di oltre venti minuti. Non si sa granché di questa insolita composizione, né di chi vi ha preso effettivamente parte (c’è Freddie Mercury o no? e John Deacon sarà presente?) e né quando/come sia stata registrata. L’avrò ascoltata quattro o cinque volte in vent’anni; oggi come come oggi mi sembra di sentirci del materiale scartato e/o rielaborato dalle sedute d’incisione per la colonna sonora di “Flash Gordon” (1980), ma potrei anche sbagliarmi.

In quel novembre del 1995 storsi il naso quando uscì “Made In Heaven”; con grande sorpresa degli amici, non mi fiondai al negozio per comprarmelo subito. Attesi qualche settimana e poi, titubante, mi portai anch’io a casa un disco che migliaia d’italiani erano andati a comprarsi per Natale, pure gente che dei Queen non aveva mai sentito una nota. Ovviamente gli inediti – e soprattutto, come detto, A Winter’s Tale e Mother Love – li trovai molto interessanti, tuttavia l’idea che tutto questo che abbiamo visto fosse stato spacciato come un nuovo album dei Queen non mi piacque affatto.

Avrei preferito, allora come oggi, una bella compilation d’inediti e versioni alternative tipo “Anthology” dei Beatles, il cui primo capitolo usciva proprio in concomitanza del “nuovo album dei Queen”. Se non altro, in anni recenti ho in parte eliminato le mie vecchie riserve su “Made In Heaven”: ascoltandolo per bene dalla prima all’ultima canzone, devo dar atto ai signori May, Taylor e Deacon di aver effettuato allora una lodevole attività di recupero artistico. – Matteo Aceto

Un post a ruota libera

Un post nuovo, più per la voglia di scrivere che per il bisogno di dire chissà che cosa. E poi è una così bella sensazione quella di cliccare l’opzione per creare un nuovo post e iniziare a digitare le prime, difficili righe, come in questo caso, del resto. Tanto per non tradire lo spirito originario di Immagine Pubblica, ecco una serie di associazioni (senza capo né coda, temo) su visioni, ascolti & letture. Passati, presenti & futuri.

La musica di Nina Simone è fantastica, nient’altro da aggiungere da pare mia. Non vedo l’ora di potermi vedere al cinema “Alice nel paese delle meraviglie” di Tim Burton, in lavorazione da oltre un anno ma programmato per la primavera del 2010. A proposito, come suona bene quest’anno, il 2010… speriamo che ci offra dodici mesi di gran lunga migliori di quelli proposti finora da quest’orribile 2009 (che spero passi al più presto, come vorrei che oggi fosse già la vigilia di Natale, tanto per dire). Sul comodino ho piazzato “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati, un libro che devo leggere da anni ma che – per motivo o per l’altro – ho sempre trascurato. In effetti al momento sto leggendo tutt’altro ma, come ho detto, il classico di Buzzati è in pole position sul mio comodino per cui non dovrebbe sfuggirmi ulteriormente. Se il libro dovesse piacermi, vedrò di procurarmi anche il film che ne è stato tratto: se non ricordo male uscì negli anni Settanta, con Vittorio Gassman come attore protagonista.

Sempre restando in tema di letture (ma anche di musica), ultimamente ho avuto il bisogno d’andarmi a rileggere due biografie che avevo comprato & letto diversi anni fa: si tratta della storia di Freddie Mercury raccontata dal suo amante Jim Hutton in “I miei anni con Freddie Mercury” (edito dalla Mondadori) e dal suo assistente personale Peter Freestone in “Freddie Mercury… adesso svela ogni segreto” (edito dalla Lo Vecchio ma di recente riedito dall’Arcana). Entrambe le storie – piuttosto intime, soprattutto quella di Hutton – partono negli anni Ottanta e si concludono con la triste morte del celeberrimo cantante dei Queen, nel novembre del 1991. Non so perché sono andato a rileggermi in sequenza questi due libri, non è che ultimamente ho ascoltato chissà quanto la musica di Mercury.

In fatto di ascolti, ultimamente ho invece sentito parecchio i Beatles, Miles Davis, i Depeche Mode e i Cure. Mi piacerebbe scrivere altri post su di loro in questo blog, così come di Nina Simone, citata sopra. Spesso mi manca però l’ispirazione. A proposito di Miles Davis, avrei voglia anche di rileggermi lo splendido “Lo sciamano elettrico” di Gianfranco Salvatore (edito da Stampa Alternativa), di sicuro fra i migliori libri dedicati all’arte & alla figura del leggendario trombettista americano. Uhm, mi sa che il buon Buzzati slitterà ulteriormente…

Tornando a parlare di film: ho un bisogno sfrenato di vedermi & rivedermi le opere di Federico Fellini [sopra, in un autoritratto], sembra che di questi tempi mi bastino solo quelle per soddisfare le mie curiosità cinematografiche. Avevo iniziato a scrivere un nuovo post sui film di Fellini, qualche giorno fa, ma l’ispirazione latitava in modo imbarazzante. In fondo, a volte, non c’è proprio niente da dire (e da scrivere): certi capolavori vanno forse soltanto ammirati per quelli che sono, in rigoroso silenzio da parte nostra. – Matteo Aceto

Fatti, smentite & opinioni personali sui Queen

Quei pochi che abitualmente leggono questo sito lo sanno: sono sempre stato un grande appassionato dei Queen. Il celeberrimo gruppo inglese è stato il primo verso il quale ho nutrito quella genuina manìa che ti porta a comprare in poco tempo tutti gli album e le raccolte fin lì realizzate. Per la verità ho ascoltato i Queen da sempre: anche se inconsapevolmente, mi ricordo benissimo di aver sentito – negli anni Ottanta, quand’ero bambino – brani come Another One Bites The Dust e Radio Ga Ga alla radio. Probabilmente conobbi il nome Queen sul finire di quel decennio, quando la Lancia (all’epoca vittoriosissimo marchio automobilistico impegnato nei rally con la mitica HF integrale) pubblicizzava i suoi successi con uno spot televisivo nel quale si sentiva l’originale We Are The Champions. E’ in quell’occasione che chiesi agli adulti ‘di chi è questa canzone?’. ‘Dei Queen’, mi rispose qualcuno.

In tutti questi anni, però, devo tristemente ammettere che ho letto & sentito più cazzate sul conto dei Queen e di Freddie Mercury che di ogni altro gruppo del pianeta. Per dirne una, ricordo benissimo anche un orribile articolo su una rivista musicale per adolescenti che compravo quando andavo alle superiori, “Tutto – Musica e Spettacolo”: in un servizio su Mercury a pochi anni dalla morte, si leggeva in una didascalia accanto ad una foto che Freddie si trovava in un party fra travestiti… era un’immagine tratta dal videoclip di The Great Pretender, ma quale party fra travestiti?! Come ho detto, ne ho sentite & lette davvero tante, sia dai comuni appassionati e sia da chi scrive di musica per mestiere (nel senso che viene pagata per farlo). E allora, imbarcandomi in una titanica impresa, ecco una serie di fatti veri, falsi (e quindi smentiti) e una serie di opinioni del tutto personali su quello che sono & che hanno rappresentato i Queen.

  • E’ difficile ascoltare casualmente i Queen: di solito li si ama o li si odia. Non restano però indifferenti, è impossibile non accorgersi della loro musica.
  • I critici musicali, dal canto loro, non li hanno mai potuti soffrire. Ho letto parole veramente cattive sulla musica dei Queen, ma anche all’indomani della morte di Freddie.
  • Però i dischi dei Queen sono vendutissimi e molto collezionati, anche prima che il tragico destino di Mercury ingigantisse il mito: album come “A Night At The Opera” (1975), “A Day At The Races” (1976), “The Game” (1980), “The Works” (1984), “A Kind Of Magic” (1986), “The Miracle” (1989) e “Innuendo” (1991) sono finiti dritti dritti in testa alla classifica inglese dell’epoca (e nelle Top Ten di mezzo mondo). Il tutto in un periodo in cui la concorrenza non era certo quella di Leona Lewis o Robbie Williams, non so se m’intendo.
  • La prima raccolta ufficiale dei Queen, “Greatest Hits” (1981), è attualmente il disco più venduto nel Regno Unito, scavalcando perfino il mitico “Sgt. Pepper” dei Beatles.
  • Tutti e quattro i componenti dei Queen hanno scritto almeno un hit di fama mondiale: We Are The Champions per Freddie Mercury, We Will Rock You per Brian May, Another One Bites The Dust per John Deacon, Radio Ga Ga per Roger Taylor. Sono canzoni strafamose che conoscono anche i sassi. Quali altri gruppi possono vantare una tale distribuzione di successi autoriali individuali per ogni singolo componente? Credo nessuno, nemmeno i Beatles…
  • Per quanto i quattro componenti dei Queen avessero prolificità autoriali ben diverse (i più attivi sono stati May e Mercury), la struttura del gruppo è sempre stata molto democratica, con ognuno libero di scrivere le proprie canzoni, di suonarsele e di cantarsele perfino.
  • I primi due album del gruppo, “Queen” (1973) e “Queen II” (1974) s’ispiravano anche nei titoli ai primi dischi dei Led Zeppelin: di lì a poco, tuttavia, i Queen diedero vita alla loro personale concezione del rock, incorporando nel loro inconfondibile stile epico elementi tratti dalla lirica, dalla classica, dal funk, dalla disco e sperimentando con l’elettronica. Non è raro trovare negli album dei Queen delle innocue canzoncine pop accanto a travolgenti episodi hard rock.
  • Freddie Mercury ha innovato il modo di concepire il rock innestandovi elementi operistici: già con Bohemian Rhapsody dei Queen (1975) ottenne un risultato a dir poco notevole, ma diede il meglio di sè in tal senso con l’album “Barcelona” (1988), realizzato con la regina della lirica, Montserrat Caballé.
  • Anche se non è vero che il primo videoclip della storia sia Bohemian Rhapsody, i Queen hanno però pubblicato per primi una raccolta di videoclip: “Greatest Flix” (1981).
  • Nei dischi dei Queen sono accreditati come musicisti/cantanti aggiuntivi: Joan Armatrading, David Bowie, Steven Gregory, Steve Howe, Michael Kamen, Mack, Fred Mandel, Arif Mardin, Mike Moran. Non accreditato: Rod Stewart.
  • Secondo alcune fonti, esiste una versione inedita di Play The Game dei Queen dove canta anche Andy Gibb. Non sono riuscito a saperne di più, le stesse fonti sui Bee Gees non mi sono state utili finora in tal senso.
  • Negli archivi si trovano diversi brani inediti dei Queen, fra cui (in ordine cronologico): Silver Salmon, Hangman, la cover di New York New York (nella sua forma integrale), Dog With A Bone, A New Life Is Born, Self Made Man e My Secret Fantasy. Più altre tre o quattro improvvisazioni registrate con Bowie durante l’incisione di Under Pressure.
  • Se in futuro dovessero spuntar fuori collaborazioni d’annata fra componenti dei Queen e Elton John o Rod Stewart o componenti dei Guns N’ Roses prendetele per buone.
  • I Queen si sono esibiti nel corso dello storico Live Aid (1985) in un cartellone che, fra gli altri, figurava Paul McCartney, Sting, David Bowie, Tina Turner, Madonna, Phil Collins, Mick Jagger e i redivivi Led Zeppelin: a detta di tutti sono stati i più grandi (sembrava che lo stadio di Wembley fosse lì solo per loro) e, di fatto, hanno surclassato tutti gli altri partecipanti alla manifestazione.
  • Il noto concerto di Wembley del luglio 1986 (in realtà furono due concerti, la sera dell’11 e quella del 12) non fu l’ultima esibizione dei Queen. Fu l’ultima nella loro città, Londra.
  • I celebri Mountain Studios situati nell’incantevole cittadina svizzera di Motreux sono appartenuti per molti anni ai Queen. Una statua di Freddie Mercury è stata posta sulle rive del lago di Givevra.
  • I Queen non si sono mai schierati politicamente, forse anche per questo la critica li ha sempre bistrattati.
  • Sono una delle rock band più istruite culturalmente: due di loro sono laureati (John e Brian), gli altri due diplomati.
  • Sono il gruppo pop-rock occidentale più popolare in Giappone. Molto amati anche in Sudamerica, nei primi anni Ottanta i Queen riempivano tranquillamente stadi da oltre 100mila persone.
  • Si sono esibiti in Italia solo in quattro occasioni: due appuntamenti al Festival di Sanremo e due concerti a Milano, tutti nel 1984.
  • Il singolo Radio Ga Ga venne pubblicato in anteprima in Italia, iniziando a circolare già nel dicembre 1983; curiosamente il copyright del quarantacinque giri era datato 1984.
  • Freddie Mercury è stato il più grande cantante rock e uno dei più carismatici e vitali front-men.
  • Brian May è uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. Un gigante fin troppo sottovalutato (che diavolo c’avrà trovato l’umanità in Eric Clapton e Mark Knopfler la scienza me lo deve ancora spiegare…).
  • All’album “Mr. Bad Guy” di Freddie Mercury prendono parte, in un modo o nell’altro, tutti gli altri Queen: in particolare Man Made Paradise è un’esibizione di gruppo.
  • Brian May e Roger Taylor hanno partecipato, assieme a Giorgio Moroder, a Love Kills, successo solista di Freddie datato 1984.
  • May ha collaborato con numerosi altri celebri artisti, fra cui: Black Sabbath, Guns N’ Roses, Eddie Van Halen, Steve Hackett e Dave Gilmour.
  • Freddie Mercury ha registrato due canzoni (tuttora inedite) con Michael Jackson, There Must Be More To Life Than This e State Of Shock. Pare anche una terza, Victory, ma ci credo poco.
  • I Queen hanno registrato le musiche e le canzoni per due noti film: “Flash Gordon” (1980) e “Highlander” (1986).
  • Il vero nome di Freddie Mercury è Farroukh Bulsara, nato sull’isola di Zanzibar il 5 settembre 1946 da genitori di origine iraniana.
  • Freddie non è mai stato sposato, né ha mai messo al mondo dei figli. Era gay, dal 1985 al 1991 ha convissuto con Jim Hutton, tuttavia il suo più grande amore è stato Mary Austin, cui è stato fidanzato per gran parte degli anni Settanta. Mary è sempre rimasta amica di Freddie e ha ereditato la splendida villa vittoriana acquistata dal cantante nei primi anni Ottanta.
  • Freddie ha vissuto anche a New York e Monaco Di Baviera, in gioventù ha trascorso diversi anni in India.
  • Freddie non aveva la patente… però si faceva scarrozzare in giro con la sua Rolls Royce.
  • Freddie è morto la sera del 24 novembre 1991, quando mancavano pochi minuti alle diciannove (la notizia è trapelata verso la mezzanotte).
  • Parte dei proventi delle canzoni firmate da Freddie Mercury va ad un fondo per la ricerca contro l’aids, il Mercury Phoenix Trust.
  • L’idea originale del brano The Show Must Go On è di Brian May (quindi che nessuno mi venga più a rompere col fatto che Freddie abbia implicitamente autorizzato la band ad andare avanti senza di lui).
  • Un’altra canzone che molti attribuiscono a Mercury, These Are The Days Of Our Live, è stata invece composta da Taylor.
  • Il Roger Taylor che viene ringraziato nelle note di copertina dell’album “Blah-Blah-Blah” (1986) di Iggy Pop non è un componente dei Duran Duran, ma proprio il batterista dei Queen.
  • I Depeche Mode non hanno mai fatto da supporto nei concerti dei Queen.
  • “Made In Heaven” (1995) non è il fantomatico ultimo album dei Queen, bensì una compilation rimaneggiata dai tre Queen superstiti e comprendente brani più o meno inediti del periodo 1980-1991.
  • Non ho mai desiderato di comprare la cassetta (o il dvd) del “Freddie Mercury Tribute” dell’aprile 1992. Di fatto non ce l’ho.
  • Sul finire degli anni Novanta, John Deacon ha avuto il buon gusto di tirarsi fuori dalla vicenda dei Queen perché pensava che, in seguito alla morte di Freddie e dopo i necessari ‘tributi & omaggi’, la band avrebbe dovuto piantarla lì.
  • Brian May e Roger Taylor, che potrebbero tranquillamente far campare di rendita non solo essi stessi ma anche i propri nipoti, hanno avuto la genialata di resuscitare il marchio Queen. Per quanto niente possa importargliene, io non ho mai approvato quella decisione.
  • Non ho mai visto il musical “We Will Rock You” – basato sulle canzoni dei Queen – né ho intenzione di farlo in futuro.
  • Mi sono rifiutato di comprare due fra le più inutili compilation mai apparse sul mercato discografico: “Queen Rocks” (1997) e “Greatest Hits III” (1999).
  • In anni recenti è stata messa sul mercato una serie di orribili gioielli a nome di Freddie Mercury. Lo stesso sito ufficiale dei Queen pubblicizzava l’ignobile iniziativa.
  • Quel tale, Paul Rodgers, non c’entra un cazzo con la storia dei Queen. Per quanto mi riguarda non ho mai ascoltato i Free o i Bad Company e – considerando come stanno le cose – ora me ne vanto pure.
  • “The Cosmos Rocks” (2008) è un album che non entrerà mai in casa mia.
  • I signori May e Taylor (o chi per loro alla EMI) hanno svenduto la musica dei Queen alle aziende pubblicitarie.
  • Troppa gente continua a scrivere Freddie con la Y (…Freddy). Da parte sua, il cantante non ha mai gradito che lo si chiamasse Fred.
  • Nel 2007 s’è parlato molto d’un prossimo film biografico sulla vita di Freddie Mercury: fra gli attori contattati per interpretare la parte del cantante vi sarebbero il grande Johnny Depp e l’istrionico Sacha Baron Cohen (quello di “Borat”): pare che un tale onore spetterà a quest’ultimo.
  • Nel corso del 2009 tutti gli album da studio e dal vivo dei Queen sono stati pubblicati ad uscite periodiche in edicola, abbinati a “TV Sorrisi e Canzoni”: un’operazione che dimostra come i Queen siano molto popolari e amati dal pubblico più eterogeneo.
  • Poche chiacchiere: il 90% della musica dei Queen suona potente & attuale anche oggi.

Ovviamente non posso aver risposto coi fatti a tutte le stronzate che ho letto & sentito negli ultimi vent’anni; se mi verrà da aggiungere qualcosa aggiornerò questo post [ultimo aggiornamento: 23 ottobre 2010]. – Matteo Aceto

Freddie Mercury vivo!

freddie-mercury-vivo-immagine-pubblicaSe c’è una rockstar che vorremmo ancora viva & vegeta fra noi, quella è Freddie Mercury, non c’è dubbio! Lo rivela il mio modesto sondaggino, dove a fronte di 163 preferenze, ben 95 sono andate all’indimenticabile (e chi se lo scorda?!) cantante (e che cantante!) dei Queen.

Freddie se l’è dovuta vedere con altri quattro mostri sacri della musica contemporanea, vale a dire John Lennon (secondo in classifica con 31 preferenze), Jim Morrison (terzo con 21 preferenze), Bob Marley ed Elvis Presley (questi ultimi a pari merito, con 8 preferenze ciascuno), tuttavia è stato in testa praticamente da subito, per cui la sua è una vittoria strameritata.

Personalmente ho votato Lennon (l’avevo scritto anche qui, che se potessi esprimere un solo desiderio musicale vorrei John ancora vivo), ma sono felicissimo per la vittoria di Mercury, che è sempre stato uno dei miei massimi miti musicali.

In effetti la figura di Freddie Mercury è in forte rivalutazione negli ultimi tempi: ricordo il cinismo e la cattiveria gratuita di tanti cronisti che all’indomani della sua morte, avvenuta il 24 novembre 1991, non risparmiarono critiche maliziose sulla sfrenata vita di Freddie, sui suoi eccessi e quindi sul fatto che, in fondo in fondo, se l’era proprio cercata. Non l’ho mai pensata così. Inoltre, se Freddie fosse sopravvissuto agli anni Novanta la musica avrebbe avuto solo da guadagnarci… e poi, fino a prova contraria, Mercury non ha mai fatto del male a nessuno per cui nel privato poteva fare & dire quel che voleva. E in effetti così è stato.

Ma ve l’immaginate Freddie Mercury vivo oggi? Ci pensate? Avrebbe sessantunanni (sessantadue il prossimo 5 settembre), forse sarebbe pelato e anche un po’ cicciottello (come Peter Gabriel, forse), oppure avrebbe continuato a tenere una forma smagliante (un po’ come Mick Jagger, del resto). Magari al principio dei Novanta avrebbe lasciato momentaneamente i Queen per dedicarsi a progetti solisti & ad altri tipi di opere che probabilmente avrebbero avuto sfogo nella recitazione, nel musical o nella collaborazione con altri artisti. Forse avrebbe potuto dare un seguito all’album “Barcelona”, magari in duetto con Luciano Pavarotti (comunque avrebbe partecipato di certo ad almeno una delle edizioni del Pavarotti International, con la sempreverde bellezza di Milly Carlucci ad introdurcelo sul palco affianco al gioviale tenore). Di sicuro si sarebbe cimentato in almeno un album solista, forse proprio quel “Time In May” accennato da Jim Hutton (l’amante ufficiale di Freddie negli ultimi sette anni della sua vita) nel suo libro. E poi tre o quattro album coi compagni di sempre, ovvero Brian May, Roger Taylor e John Deacon, ovvero ancora i mitici Queen, che oggi come oggi sarebbero gli indiscussi numeri uno al mondo, alla facciaccia dei finti idoli brit-pop, dei gruppi irlandesi onnipresenti e dei fenomeni passeggeri creati dalle mode del momento & dalla tivù spazzatura.

Sicuramente i Queen avrebbero preso parte al Live 8 organizzato da Bob Geldof nel 2005, di certo però non sarebbero uscite quelle vergognose antologie curate dalla EMI quali “Queen Rocks” (1997) o “Greatest Hits III” (1999). O meglio, quest’ultima sarebbe uscita nel 2001 (dato che il primo “Greatest Hits” venne pubblicato nel 1981 e il secondo nel 1991) e avrebbe contenuto tutti i più grandi successi della band inglese (sarebbero strati strabilianti, m’immagino) dal 1992 in poi, magari con qualche chicca inedita.

Forse Freddie Mercury avrebbe ripreso una collaborazione con Michael Jackson abortita nel 1983, molto più probabilmente avrebbe pubblicato almeno un duetto con l’amico di sempre, Elton John. Anzi, forse seguendo l’esempio di Elton, Freddie avrebbe sposato Jim Hutton o chi dopo di lui. Chissà. E il suo rapporto con Mary Austin, la donna che gli fu sempre accanto da quando divenne uno dei Queen fino alla morte? Forse Freddie avrebbe preferito mettere a tacere tutte le dicerie sul suo conto pubblicando finalmente la sua autobiografia. Chissà. Solo il cielo lo sa, del resto le mie sono soltanto stupide ipotesi create dalla mia fantasia di fan.

La storia non si fa con i se, ovvio, ma tentare non costa nulla, soprattutto in questo mio piccolo spazio virtuale dove ho il piacere d’incontrarmi con voi, cari lettori che avete preso parte al mio sondaggino. La parola a voi, nei commenti, ogni volta che vorrete. – Matteo Aceto

Freddie Mercury

freddie-mercury-immagine-pubblica-blogOggi 5 settembre, Farouk Bulsara avrebbe compiuto sessantanni. Avrebbe, se una terribile malattia chiamata AIDS non l’avesse strappato a quella vita che tanto amava, il 24 novembre 1991. Farouk Bulsara è conosciuto come Freddie Mercury, il carismatico & inimitabile & fantasioso leader dei Queen, una delle più eccitanti rock band mai apparse sul pianeta.

Nato nel 1946 sull’isola africana di Zanzibar, Freddie è il primogenito di Bomi e Jer Bulsara, impiegati di origine iraniana al servizio dell’impero britannico. Qualche anno dopo gli nasce una sorella, Kashmira, ma a causa della rivolta anticoloniale in Zanzibar, la famiglia Bulsara ripara in India e poi a Londra nella seconda metà degli anni Sessanta. E’ qui che grazie all’amico Tim Staffel, cantante e bassista degli Smile, Freddie conosce gli altri due componenti del gruppo, il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor. Nel frattempo, il giovane Bulsara canta e suona il piano in diverse formazioni, tra le quali Ibex e Wreckage, anche se lega sempre più con May e Taylor. Infatti, quando Staffel decide di cambiare aria, i due si rivolgono proprio a Mercury (che adotta questo nome d’arte in onore al messaggero degli dei, Mercurio) per fargli assumere il ruolo di cantante.

La band, su proposta di Freddie, cambia quindi nome in Queen e nel corso del 1970 inizia a suonare un po’ in giro con vari bassisti. La formazione diventa finalmente stabile nel 1971 con l’arrivo di John Deacon, anche se il primo album della band, l’omonimo “Queen“, vede la luce solo nel ’73. Nel frattempo, Freddie accetta di partecipare come cantante e pianista a un singolo accreditato ad un tale Larry Lurex (parodia di Gary Glitter, allora in voga come emulatore di David Bowie e dei lustrini del glam): i brani sono due, I Can Hear Music (cover dei Beach Boys) e Goin’ Back (cover di Carole King), e si avvalgono della collaborazione degli stessi Brian e Roger.

Nel marzo del 1974 esce il secondo album dei Queen, “Queen II“, che rappresenta già una pietra miliare nella loro discografia: il suono è già quello, l’incisione è tecnicamente perfetta, la voce di Freddie è già la più bella del mondo, canzoni come The March Of The Black Queen, Ogre Battle, Father And Son, White Queen e il singolo Seven Seas Of Rhye sono già mature e indimenticabili. Ma la band non riposa sugli allori: a novembre esce “Sheer Heart Attack” che si piazza al 5° posto della classifica inglese, mentre il singolo Killer Queen raggiunge il 2° posto.

La scalata è inarrestabile: nell’ottobre 1975 esce Bohemian Rhapsody, uno dei singoli più strepitosi della storia del rock (scritto da Freddie come gran parte dei singoli precedenti dei Queen), che vola al 1° posto della classifica inglese, trascinando con sé il successivo album “A Night At The Opera“. L’anno dopo esce “A Day At The Races”, che per la seconda volta consecutiva consegna il 1° posto per gli album ai Queen: le canzoni più belle, manco a dirlo, sono di Freddie, ovvero Somebody To Love e You Take My Breath Away.

In quegli anni esplode il punk e i Queen, assieme a Genesis, Pink Floyd, Led Zeppelin e Yes sono visti come dinosauri ormai surclassati: i Queen se ne fregano e pubblicano la loro risposta nel 1977, “News Of The World”, contenente il pezzo più popolare di Freddie, We Are The Champions, che è tutto dire. In seguito i Queen pubblicano l’album “Jazz” (1978), il doppio dal vivo “Live Killers” (1979), l’album “The Game” (1980), la colonna sonora di “Flash Gordon” (1980) e la stupenda raccolta “Greatest Hits” (1981), tutti grossi successi internazionali che proiettano i Queen nell’olimpo del rock e fanno di Freddie Mercury una vera icona.

Dopo la sbornia rock che culmina col fantastico singolo Under Pressure (ottobre ’81), una collaborazione tra i Queen e David Bowie, Freddie decide di cambiare strada. S’innamora della disco music, delle grandi regine del soul e diventa amico di Michael Jackson. Sempre più intensa è la frequentazione di Freddie dei club e dei locali omosessuali disseminati tra Londra, New York e Monaco di Baviera. La sfrenata vita mondana e notturna di Mercury si riflette nel nuovo album dei Queen, “Hot Space” (1982), che tuttavia genera disaffezione tra i fan storici e metallari del gruppo. Nel 1983 Freddie inizia a concepire il suo primo album solista: nascono collaborazioni importanti con Giorgio Moroder (i due realizzeranno la bellissima Love Kills), con Rod Stewart – anche se i due preferiscono andare a fare casino in giro con Elton John piuttosto che collaborare in studio – e con Michael Jackson (ma i due brani incisi in forma di demo, State Of Shock e There Must Be More To Life Than This sono ancora ufficialmente inediti in quella forma).

Intanto, a Los Angeles, prendono avvio i preparativi del prossimo album dei Queen, il potente “The Works”, che vede la luce al principio del 1984 dopo essere stato preceduto dall’immenso singolo Radio Ga Ga (dicembre ’83). Nell’album è inclusa anche It’s A Hard Life, uno dei brani più belli e appassionati di Freddie. Il primo album solista di Mercury, invece, “Mr. Bad Guy“, vede la luce nel maggio ’85, anticipato dalla stupenda I Was Born To Love You. L’album contiene altre perle come Made In Heaven, Man Made Paradise (suonata dai Queen, così come la loro presenza è evidente in altri brani ‘solisti’), Living On My Own e Love Me Like There’s No Tomorrow.

Freddie torna comunque all’ovile in luglio, quando i Queen la fanno da padroni assoluti all’ormai storico concerto del Live Aid: una performance di fuoco che ravviva i Queen e li porta ad incidere del nuovo materiale, primo del quale sotto forma di singolo a novembre, One Vision. Seguono i preparativi per la colonna sonora del film “Highander“, che genera lo straordinario album “A Kind Of Magic” (giugno 1986). Dopo il Magic Tour che porta l’assoluta potenza dal vivo dei Queen in giro per il mondo, Freddie decide di concedersi una seconda parentesi solista. Prima collabora al musical “Time” dell’amico Dave Clark, incidendo le superbe e struggenti Time e In My Defence, poi pensa ad un nuovo album. Le sessioni iniziano così nel gennaio ’87 e generano il singolo The Great Pretender: l’incredibile voce di Mercury porta ad un livello stellare la celebre cover dei Platters. Il resto del lavoro è discontinuo ma poi riceve la spinta giusta dalla diva spagnola Montserrat Caballé. Freddie resta folgorato dalla voce e dalla presenza scenica del celebre soprano ed i due realizzano prima un singolo e poi un album, entrambi indimenticabili ed entrambi chiamati “Barcelona“.

Tuttavia, col volgere degli anni Ottanta, la vita di Freddie diventa sempre più ritirata: ormai convive col compagno Jim Hutton in una grandiosa villa vittoriana nel quartiere londinese di Kensington, circondato da domestici, dai suoi amati gatti e dalla sua vasta collezione di oggetti d’arte. Iniziano a circolare voci insistenti secondo cui Freddie avrebbe contratto l’AIDS ma il diretto interessato, con grandissima dignità, preferisce buttarsi a capofitto nella registrazione in studio con i Queen. Escono quindi gli album “The Miracle” (maggio 1989) e “Innuendo” (febbraio 1991), dischi che volano entrambi al 1° posto della classifica inglese, accompagnati da singoli potenti e formidabili quali I Want It All, Breakthru, The Miracle, Innuendo, Headlong, I’m Going Slighty Mad e The Show Must Go On.

Freddie ha in mente anche una terza prova solista, “Time In May”, ma sarà soltanto il tempo ad impedirgli di realizzarla: ormai la sua villa è diventata una clinica privata, le sue apparizioni pubbliche sono rarissime, il suo volto è sempre più smunto, anche se la sua incredibile vitalità rimane intatta. Nel corso del ’91 torna in studio con i Queen ma, dopo aver inciso una manciata di nuove canzoni (tra le quali la sofferta e portentosa Mother Love), in settembre fa ritorno a Londra dal suo ‘rifugio’ di Montreaux, in Svizzera: ormai ha capito d’aver perso la sua battaglia con l’AIDS e rinuncia alle dolorose cure alle quali si sottoponeva da due anni.

La verità arriva il 23 novembre, quando Freddie fa diramare un comunicato ufficiale in cui ammette di aver contratto il virus dell’HIV. La morte lo coglie nella sua casa il giorno dopo, alle sette di sera. Il cordoglio è grandissimo in tutto il mondo, mentre con gli anni la fama di Freddie Mercury assurge alla statura di mito assoluto nell’olimpo rock. – Matteo Aceto