Altre canzoni, altre citazioni musicali

Stevie Wonder Sir Duke immagine pubblicaDopo un post che riportava alcune autoreferenze musicali fra (ex) componenti d’una stessa band, ora vediamo quali brani si riferiscono – più o meno direttamente – a cantanti, gruppi o componenti di band esterne all’artista che canta e/o scrive la canzone.

Citazioni che esplicitano i Beatles si trovano in All The Young Dudes dei Mott The Hoople, Born In The 50’s dei Police, in Ready Steady Go dei Generation X e in Encore dei Red Hot Chili Peppers, mentre i Clash sfottono la beatlemania in un verso dell’ormai classica London Calling. In realtà, nel periodo in cui i Beatles erano attivi e famosi in tutto il mondo, comparvero diverse canzoni di artisti meteore che citavano i quattro per i motivi più disparati: ricordo, ad esempio, una canzone rivolta a Maureen Starkey, prima moglie di Ringo Starr, che doveva ‘trattare bene’ il batterista, ma anche una rivolta a John Lennon, che, secondo il suo autore, s’era spinto troppo oltre con la celebre sparata dei ‘Beatles più famosi di Cristo’. Anche noti artisti italiani hanno citato i Beatles, come Gianni Morandi in C’era Un Ragazzo Che Come Me… e gli Stadio in Chiedi Chi Erano i Beatles.

Alla prematura & sconvolgente morte di Lennon fanno invece riferimento Empty Garden di Elton John, Life Is Real (Song For Lennon) e Put Out The Fire dei Queen, Murder di David Gilmour, ma anche la famosa Moonlight Shadow di Mike Oldfield. John vivo & vegeto viene invece citato da David Bowie nella sua celebre Life On Mars? del 1971… Bowie che a sua volta viene citato – con Iggy Pop – in Trans Europe Express dai Kraftwerk. Esiste tuttavia una canzone chiamata proprio David Bowie, pubblicata dai Phish… che poi, a dire il vero, le citazioni riguardanti Bowie sono molte di più: uno dei più acclamati biografi di David, Nicholas Pegg, dedica alla questione un intero paragrafo nella sua notevole enciclopedia.

Anche i Rolling Stones sono stati oggetto di diverse citazioni, fra le quali le stesse C’era Un Ragazzo Che Come Me…, All The Young Dudes e Ready Steady Go viste sopra, ma anche I Go Crazy dei Queen e She’s Only 18 dei Red Hot Chili Peppers. Il solo Mick Jagger viene invece citato da David Bowie nella sua Drive In Saturday e ritratto in altre canzoni del suo “Aladdin Sane” (1973), mentre i Maroon 5 hanno addirittura creato una Moves Like Jagger.

Billy Squier ci ricorda Freddie Mercury con I Have Watched You Fly, così come ha fatto anche il nostro Peppino Di Capri in La Voce Delle Stelle, mentre a commemorare Kurt Cobain ci hanno pensato Patti Smith in About A Boy e i Cult con Sacred Life. Riferimenti a Elvis Presley si trovano in diverse canzoni di Nick Cave, così come in Angel degli Eurythmics, mentre i Dire Straits lo invocano in Calling Elvis. Nella sua God, John Lennon dice invece di non crederci più, in Elvis, così come in Bob Dylan. Dylan che viene esplicitamente citato in Song For Bob Dylan di Bowie e in Bob Dylan Blues di Syd Barrett ma che tuttavia viene sbeffeggiato in alcuni inediti lennoniani come Serve Yourself.

Citazione-omaggio per Brian Wilson dei Beach Boys da parte dei Tears For Fears in Brian Wilson Said, dove la band inglese rifà anche il verso ad alcuni tipici effetti corali dell’indimenticata surf band americana. Invece al celebre tenore Enrico Caruso hanno reso omaggio, oltre a Lucio Dalla con la struggente Caruso, anche gli inglesi Everything But The Girl con The Night I Heard Caruso Sing. Il grande Duke Ellington ci viene ricordato da Stevie Wonder con la famosa Sir Duke (nella foto in alto, la copertina del singolo), ma il pezzo più impressionante dedicato al duca è di Miles Davis che, con He Loved Him Madly, realizza uno straordinario requiem in stile fusion per il suo idolo musicale. Un altro grande artista nero, Marvin Gaye, ci viene invece malinconicamente ricordato in un successo dei Commodores, Nightshift, mentre trent’anni dopo il giovane Charlie Puth si è fatto notare con una canzone chiamata proprio Marvin Gaye.

A Jonathan Melvoin, tastierista degli Smashing Pumpkins morto d’overdose nel ’96, Prince ha dedicato la bellissima The Love We Make (Jonathan era amico di Prince, giacché questi era stato fidanzato a lungo con sua sorella, Susannah Melvoin). Invece il truce rapper The Notorius B.I.G. è stato omaggiato dalla fortunata I’ll Be Missing You, un duetto fra Puff Daddy e Faith Evans basato sulle note di Every Breath You Take dei Police.

Oltre ai ricordi dolorosi, però, ci sono anche sentimenti d’amicizia e di stima, simpatie, accuse e sfottò… ecco quindi i Police che si fanno beffe di Rod Stewart in Peanuts e i Sex Pistols che, in New York, deridono tutta la scena punk americana che sembra averli preceduti. La scena punk inglese viene invece omaggiata da Bob Marley in Punky Reggae Party, dove il grande artista giamaicano cita i Clash, i Jam e i Damned. I Pink Floyd rimpiangono invece Vera Lynn in Vera, tratta dal loro monumentale “The Wall”. In She’s Madonna, Robbie Williams, oltre a farsi accompagnare dai Pet Shop Boys (citati anch’essi in un altro pezzo di Robbie), esprime il suo apprezzamento per… Madonna. E se Wayne Hussey dei Mission canta la sua vicinanza a Ian Astbury dei Cult in Blood Brother, gli Exploited urlano l’innocenza di Sid Vicious in, appunto, Sid Vicious Was Innocent. Altri riferimenti alla parabola di Sid (e della compagna Nancy Spungen) li possiamo trovare in I Don’t Want To Live This Life dei Ramones e in Love Kills di Joe Strummer. I Sex Pistols in quanto tali sono invece citati in una canzone dei Tin Machine, così come in un’altra di quel gruppo capeggiato da David Bowie viene citata Madonna.

Non è mai stato chiarito da Michael Jackson se la sua Dirty Diana si riferisca all’amica Diana Ross o meno, ma per completezza ci mettiamo anche questa, così come non è chiaro il destinatario di You’re So Vain, il più grande successo di Carly Simon (secondo i più è indirizzata a Mick Jagger che, in realtà, contribuisce ai cori della canzone stessa). Di certo una curiosa immagine di Yoko Ono ci viene invece offerta da Roger Waters nella sua The Pros And Cons Of Hitch Hiking.

Per quanto riguarda gli italiani, mi vengono in mente La Grande Assente di Renato Zero (un omaggio all’amica Mia Martini), No Vasco di Jovanotti (non so se il titolo è esatto, comunque il riferimento è Vasco Rossi) e quella buffa canzone di Simone Cristicchi che cita di continuo Biagio Antonacci.

Quali altri esempi conoscete? Di certo, oltre a quelli che non conosco io, ce ne sono molti altri che ho dimenticato di citare [ultimo aggiornamento, 7 aprile 2011]. – Matteo Aceto

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Simple Minds

Uno scambio di commenti con Lavinia, ieri, mi ha ricordato di parlare d’un gruppo che ascolto da una vita e del quale posseggo la maggior parte degli album, i Simple Minds. Volevo parlarne da tempo ma c’era sempre un argomento che, per un motivo o per l’altro, chiedeva precedenza. Oggi finalmente anche i Simple Minds ottengono la visibilità che meritano in Parliamo di Musica!

I nostri nascono artisticamente nel 1978, dalle ceneri di una punk band scozzese, Johnny And The Self Abusers, e debuttano nel 1979 con l’album “Life In A Day”. Dico subito che i componenti principali dei Simple Minds, quelli presenti in ogni album, sono il cantante Jim Kerr e il chitarrista Charlie Burchill; altri componenti sono andati e venuti nel corso degli anni, ma quelli più importanti sono stati senza dubbio Michael McNeil (tastiere e piano), Mel Gaynor (batteria), Malcolm Foster (basso) e Derek Forbes (al basso anch’egli).

Dopo “Life In A Day”, i Simple Minds replicano con “Reel To Real Cacophony” (sempre nel ’79) e “Empires And Dance” (1980): il genere è un mix non proprio originale tra Kraftwerk, Ultravox! e Human League… certo non mancano le belle canzoni (I Travel, tanto per dirne una, è fenomenale) ma gli stessi Simple Minds si rendono conto che possono far di meglio. E così, nel 1981, fanno uscire ben due album, “Sons And Fascination” e “Sister Feelings Call” (*1), contraddistinti da sonorità ben più rock (vedi i due bei singoli Love Song e The American), un rock epico che caratterizzerà il suono di questa band per i successivi quindici anni.

Nel 1982, dopo aver raccolto il meglio del loro primo periodo in “Celebration”, i Simple Minds ottengono il loro primo grande successo commerciale con “New Gold Dream (81/82/83/84)”, album che contiene singoli memorabili come Someone Somewhere In Summertime, Promised You A Miracle e Glittering Prize. A questo punto la band non si ferma più e dissemina il resto degli anni Ottanta di grandi album ed epiche canzoni: “Sparkle In The Rain ” nel 1983 (coi grandiosi singoli Waterfront, Speed Your Love To Me e Up On The Catwalk), l’hit internazionale Don’t You (Forget About Me) nel 1984, “Once Upon A Time” nel 1985 (con le energiche Alive & Kicking, All The Things She Said, Ghostdancing, Sanctify Yourself e Oh Jungleland), “Live-In The City Of Light” nel 1987 e “Street Fighting Years” nel 1989 (secondo me il loro capolavoro, il loro disco che ascolto più spesso, con gemme come Mandela Day, Soul Crying Out, Street Fighting Years, This Is Your Land e Belfast Child… più in là scriverò un post su questo album).

Poi nel 1990 avviene il fattaccio: Michael McNeil se ne va e la band non sarà mai più la stessa… quindi mi viene da pensare che il vero genio musicale dietro i Simple Minds sia stato proprio il buon McNeil. Nel ’91 la band torna con un album così così, “Real Life”, anche se il disco contiene una canzone bellissima, una delle migliori dei Simple Minds, See The Lights. Evidentemente anche Kerr e Burchill si rendono conto che con McNeil fuori dai ranghi la musica non è più la stessa: ne approfittano per guardarsi indietro (nel ’92 esce la bellissima raccolta “Glittering Prize 81/92” che consiglio a tutti gli interessati) e per concedersi una pausa di riflessione. Torneranno nel ’95 con un gran bel disco, “Good News From The Next World”, anticipato dal potente singolo She’s A River (album che vola al 1° posto sia in Gran Bretagna che in Italia).

Poi torna il buio… e che buio, gente… da “Néapolis” del 1998 a “Cry” del 2002 i dischi dei Simple Minds non si possono più sentire! Non aggiungo altro perché mi dispiace infierire, in fondo i Simple Minds non lo meritano. Nel 2003 stavano per uscirsene con un nuovo album, “Our Secrets Are The Same”, ma la casa discografica boccia il disco (*2) e i nostri entrano in una sorta di limbo. Io li perdo di vista per un po’… nel 2005 esce finalmente un nuovo album (che io sul momento ignoro di brutto), “Black And White 050505”, che a detta di tutti è però un gran disco. Ci credo poco e faccio orecchie da mercante al bel singolo Home. Poi, nell’estate del 2006, mio fratello mi fa un gradito regalo: proprio “Black And White 050505”. Cazzo, è un bel disco!! Eccome se lo è, addirittura è uno dei migliori album dei Simple Minds, cosa che dico in tutta sincerità. Le canzoni sono corpose e coinvolgenti, qui mi limito a citare Stay Visible, Dolphins, Different World e Underneath The Ice (forse un post tutto suo lo avrà anche questo album…).

Ora non so se questo ultimo album da studio dei Simple Minds sia un’inaspettata ma felice botta di lucidità creativa oppure l’alba di una concreta rinascita dei nostri. Spero vivamente per questa seconda ipotesi anche se di dischi belli i Simple Minds ne hanno fatti molti e poi vanno in giro dal 1979… sono ben poche le band che possono vantare tanto. – Matteo Aceto

*1 > le prime stampe di “Sons And Fascination” contenevano “Sister Feelings Call” come disco omaggio (una recente ristampa in ciddì figura tutte le canzoni dei due album nello stesso disco).

*2 > “Our Secrets Are The Same” vedrà comunque la luce nel 2004, con l’inclusione delle sue canzoni nel cofanetto “Silver Box”.