Simple Minds, “Street Fighting Years”, 1989

simple-minds-street-fighting-years-immagine-pubblica“Street Fighting Years” dei Simple Minds è uno di quei dischi dei quali volevo parlare fin da quando ho iniziato a scrivere sul blog. Solo che passa oggi & passa domani, cita quel disco & recensisci quell’altro, sono in debito con esso da due anni. Spero ora di rimediare dedicandogli un post decente… in caso contrario, ed è una eventualità del tutto possibile, avrò almeno colmato qui una mia lacuna.

Allora, detto in confidenza fra noi, cari affezionati lettori, “Street Fighting Years” è il miglior album dei Simple Minds, l’album che, giunto a dieci anni esatti dal debutto della band scozzese con “Life In A Day” (1979), segna la maturazione definitiva del gruppo di Jim Kerr e compagni. Dopo “Street Fighting Years” i Simple Minds continueranno a realizzare grandi canzoni (See The Lights, She’s A River, fino alla più recente Home, tanto per fare degli esempi) ma nessun album valevole quanto questo. E forse non è un caso che “Street Fighting Years” sia l’ultimo album dei nostri col tastierista Michael McNeil ancora nei ranghi. Cosa che mi fa pensare che, senza nulla togliere al talento del cantante Jim Kerr e del chitarrista Charlie Burchill, il vero motore del gruppo era proprio il buon Michael.

E’ anche un lavoro che si discosta parecchio da quello che i Simple Minds ci avevano fatto sentire fra il 1979 e il 1985: “Street Fighting Years” è un album privo dell’energia positiva dei primi album del gruppo, ma non per questo privo di vitalità. E’ invece l’album più epico e solenne mai pubblicato dai nostri, costato un anno di lavoro e composto perlopiù da imponenti ballate acustiche, ricche di poesia e di arrangiamenti grandiosi. Uno dei dischi più belli usciti negli anni Ottanta, uno di quei dischi dove la classificazione pop-rock sta davvero troppo stretta.

Basterebbe la sola sequenza dei primi quattro brani – la progressiva Street Fighting Years, scritta in memoria di Victor Jara, la mistica Soul Crying Out, la potente Wall Of Love e la sinuosa This Is Your Land – per giustificare la presenza di questo lavoro nella collezione di ogni amante di musica. Se poi aggiungiamo che l’album contiene quella che forse è la canzone migliore dei Simple Minds, vale a dire la famosa & profetica Mandela Day (scritta e pubblicata quando Nelson Mandela era ancora imprigionato), beh, verrebbe quasi da dire che questo album è un must per gli appassionati di musica leggera.

All’epoca Mandela Day – accoppiata all’epica Belfast Child, altra perla tratta da questo “Street Fighting Years” – venne pubblicata in un singolo intitolato “Ballads Of The Streets”, un singolo che volò al primo posto della classifica inglese. Il che è tutto dire per due canzoni non certamente facilotte e di rapida presa. Ah, dimenticavo, ciò vale anche per l’album nella sua totalità, dato che anch’esso raggiunse la prima posizione delle charts britanniche.

Gli altri brani presenti in “Street Fighting Years” non sono comunque da meno: abbiamo il trascinante rock di Take A Step Back, l’aggressivo pulsare di Kick It In, la consolatoria Let It All Come Down e una grande reinterpretazione di Biko, una delle canzoni più memorabili di Peter Gabriel. Nella versione in ciddì dell’album è inclusa un’undicesima composizione, When Spirits Rise, un bel brano strumentale di musica celtica, con tanto di cornamuse in bella mostra.

Grande pure dal punto di vista dei musicisti coinvolti, questo “Street Fighting Years”: vi troviamo, fra gli altri, il batterista Manu Katché, il bassista Stephen Lipson (qui anche in veste di produttore, assieme a Trevor Horn), Lou Reed in un breve ma memorabile cammeo vocale, e Stewart Copeland, il mitico batterista dei Police.

Insomma, un disco grande sotto ogni punto di vista, “Street Fighting Years”, il capolavoro assoluto dei Simple Minds. Peccato solo che, sotto certi aspetti, sia anche stato il canto del cigno della band scozzese. Forse però, a ben pensarci, un tale stato di grazia si raggiunge una sola volta in carriera. Chissà. – Matteo Aceto

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Simple Minds

Uno scambio di commenti con Lavinia, ieri, mi ha ricordato di parlare d’un gruppo che ascolto da una vita e del quale posseggo la maggior parte degli album, i Simple Minds. Volevo parlarne da tempo ma c’era sempre un argomento che, per un motivo o per l’altro, chiedeva precedenza. Oggi finalmente anche i Simple Minds ottengono la visibilità che meritano in Parliamo di Musica!

I nostri nascono artisticamente nel 1978, dalle ceneri di una punk band scozzese, Johnny And The Self Abusers, e debuttano nel 1979 con l’album “Life In A Day”. Dico subito che i componenti principali dei Simple Minds, quelli presenti in ogni album, sono il cantante Jim Kerr e il chitarrista Charlie Burchill; altri componenti sono andati e venuti nel corso degli anni, ma quelli più importanti sono stati senza dubbio Michael McNeil (tastiere e piano), Mel Gaynor (batteria), Malcolm Foster (basso) e Derek Forbes (al basso anch’egli).

Dopo “Life In A Day”, i Simple Minds replicano con “Reel To Real Cacophony” (sempre nel ’79) e “Empires And Dance” (1980): il genere è un mix non proprio originale tra Kraftwerk, Ultravox! e Human League… certo non mancano le belle canzoni (I Travel, tanto per dirne una, è fenomenale) ma gli stessi Simple Minds si rendono conto che possono far di meglio. E così, nel 1981, fanno uscire ben due album, “Sons And Fascination” e “Sister Feelings Call” (*1), contraddistinti da sonorità ben più rock (vedi i due bei singoli Love Song e The American), un rock epico che caratterizzerà il suono di questa band per i successivi quindici anni.

Nel 1982, dopo aver raccolto il meglio del loro primo periodo in “Celebration”, i Simple Minds ottengono il loro primo grande successo commerciale con “New Gold Dream (81/82/83/84)”, album che contiene singoli memorabili come Someone Somewhere In Summertime, Promised You A Miracle e Glittering Prize. A questo punto la band non si ferma più e dissemina il resto degli anni Ottanta di grandi album ed epiche canzoni: “Sparkle In The Rain ” nel 1983 (coi grandiosi singoli Waterfront, Speed Your Love To Me e Up On The Catwalk), l’hit internazionale Don’t You (Forget About Me) nel 1984, “Once Upon A Time” nel 1985 (con le energiche Alive & Kicking, All The Things She Said, Ghostdancing, Sanctify Yourself e Oh Jungleland), “Live-In The City Of Light” nel 1987 e “Street Fighting Years” nel 1989 (secondo me il loro capolavoro, il loro disco che ascolto più spesso, con gemme come Mandela Day, Soul Crying Out, Street Fighting Years, This Is Your Land e Belfast Child… più in là scriverò un post su questo album).

Poi nel 1990 avviene il fattaccio: Michael McNeil se ne va e la band non sarà mai più la stessa… quindi mi viene da pensare che il vero genio musicale dietro i Simple Minds sia stato proprio il buon McNeil. Nel ’91 la band torna con un album così così, “Real Life”, anche se il disco contiene una canzone bellissima, una delle migliori dei Simple Minds, See The Lights. Evidentemente anche Kerr e Burchill si rendono conto che con McNeil fuori dai ranghi la musica non è più la stessa: ne approfittano per guardarsi indietro (nel ’92 esce la bellissima raccolta “Glittering Prize 81/92” che consiglio a tutti gli interessati) e per concedersi una pausa di riflessione. Torneranno nel ’95 con un gran bel disco, “Good News From The Next World”, anticipato dal potente singolo She’s A River (album che vola al 1° posto sia in Gran Bretagna che in Italia).

Poi torna il buio… e che buio, gente… da “Néapolis” del 1998 a “Cry” del 2002 i dischi dei Simple Minds non si possono più sentire! Non aggiungo altro perché mi dispiace infierire, in fondo i Simple Minds non lo meritano. Nel 2003 stavano per uscirsene con un nuovo album, “Our Secrets Are The Same”, ma la casa discografica boccia il disco (*2) e i nostri entrano in una sorta di limbo. Io li perdo di vista per un po’… nel 2005 esce finalmente un nuovo album (che io sul momento ignoro di brutto), “Black And White 050505”, che a detta di tutti è però un gran disco. Ci credo poco e faccio orecchie da mercante al bel singolo Home. Poi, nell’estate del 2006, mio fratello mi fa un gradito regalo: proprio “Black And White 050505”. Cazzo, è un bel disco!! Eccome se lo è, addirittura è uno dei migliori album dei Simple Minds, cosa che dico in tutta sincerità. Le canzoni sono corpose e coinvolgenti, qui mi limito a citare Stay Visible, Dolphins, Different World e Underneath The Ice (forse un post tutto suo lo avrà anche questo album…).

Ora non so se questo ultimo album da studio dei Simple Minds sia un’inaspettata ma felice botta di lucidità creativa oppure l’alba di una concreta rinascita dei nostri. Spero vivamente per questa seconda ipotesi anche se di dischi belli i Simple Minds ne hanno fatti molti e poi vanno in giro dal 1979… sono ben poche le band che possono vantare tanto. – Matteo Aceto

*1 > le prime stampe di “Sons And Fascination” contenevano “Sister Feelings Call” come disco omaggio (una recente ristampa in ciddì figura tutte le canzoni dei due album nello stesso disco).

*2 > “Our Secrets Are The Same” vedrà comunque la luce nel 2004, con l’inclusione delle sue canzoni nel cofanetto “Silver Box”.