Non ricordo esattamente la prima volta che ho sentito parlare dei Rolling Stones, di sicuro però la prima volta che li ho sentiti nominare era perché venivano contrapposti ai Beatles. In effetti credo che si sia parlato degli Stones più a proposito della loro presunta rivalità coi Fab Four che per i loro reali meriti artistici.
Anche il più profano degli ignorantoni musicali saprebbe nominare il titolo d’una qualche canzone dei Beatles o addirittura d’un loro album, ma non sono sicuro che la stessa cosa possa dirsi per gli Stones.
Ho avuto modo d’apprezzare relativamente tardi i Rolling Stones, in particolare nel 2002, quando mi sono fiondato in negozio per comprare la loro doppia raccolta “Forty Licks”. E così mi sono interessato un po’ di più a quella che consideravo una band di dinosauri ma che invece era & resta una grande band. Forse la rock band per antonomasia.
L’anno scorso, infine, sono andato anche a comprarmi “According To Rolling Stones”, la storia del gruppo raccontata in prima persona dai componenti della band – Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts e Ron Wood – e dalle persone che più sono state in contatto con loro in tutti questi anni che la band ha calcato le scene (un libro che vorrei rileggermi, a dire la verità).
La storia dei Rolling Stones è stata davvero straordinaria, fin dagli inizi, fin da quando la band era un quintetto composto da Jagger, Richards e Watts con Brian Jones e Bill Wyman. C’era anche un sesto componente fra gli Stones, Ian Stewart, ma partecipava solo alle sedute di registrazione e poco si vedeva nei concerti e pochissimo nelle foto della band. Era brutto Ian, così si diceva, probabilmente chiudendo più d’un occhio sui connotati facciali di Charlie e Bill.
I Rolling Stones debuttarono professionalmente su disco con la Decca (l’etichetta che aveva rifiutato i Beatles a tutto vantaggio della EMI) nel 1963 ma non ricordo mai con quale singolo e con quale album… si trattava comunque di cover di altri artisti. Un giorno John Lennon e Paul McCartney scrissero un pezzo per gli Stones, I Wanna Be Your Man, spronando gli stessi Mick Jagger e Keith Richards a stringere un sodalizio autoriale che, di fatto, divenne il principale rivale delle canzoni beatlesiane nelle classifiche britanniche e statunitensi per tutto il corso degli anni Sessanta.
E così, sull’onda dell’inaudito succeso dei Beatles, la musica inglese conquistò il mondo e i Rolling Stones ebbero tutte le capacità di ritagliarsi uno spazio tutto loro in un panorama assai variegato che comprendeva nomi del calibro di Bob Dylan, The Who, Cream, The Jimi Hendrix Experience, The Doors, The Beach Boys, Monkees, Simon & Garfunkel, Bee Gees e Pink Floyd. Insomma, un panorama pop-rock di tutto rispetto che contribuì a definire quello che molto probabilmente verrà ricordato come il decennio musicale che ha prodotto la musica migliore.
Scioltisi i Beatles, perso Brian Jones per una morte misteriosa & discussa, finita l’era hippy conseguente all’escalation dell’impegno statunitense in Vietnam, gli anni Settanta rappresentarono fin dall’inizio un cambio di scenario repentino. Gli Stones seppero reagirvi producendo una stringa di album che molti critici ritengono le pietre miliari dell’arte stoniana, da “Beggars Banquet” del 1968 al doppio “Exile On Main Street” del 1972.
Sul finire degli anni Settanta, i Rolling Stones erano ritenuti un’istituzione ma dovettero fare i conti con la nascente scena punk che li bollava come esponenti d’un rock milionario lontano dalla gente e dalla loro dura quotidianità. La band reagì bene, nonostante un importante cambio di formazione avvenuto a metà anni Settanta, quando Ron Wood dei Faces sostituì il dimissionario Mick Taylor, a sua volta sostituto dello sfortunato Brian Jones.
I Rolling Stones mantennero la rotta del successo anche durante gli anni Ottanta, sebbene ci fu un periodo in cui Keith Richards e soprattutto Mick Jagger sembravano seriamente intenzionati a procedere da soli. Fortuna per loro, nessun progetto solista riguardante i componenti degli Stones – Charlie Watts diede addirittura vita ad un gruppo jazz – riuscì ad oscurare il celebre marchio, per cui la band passò indenne anche gli anni Novanta, seppur perdendo un componente originale, Bill Wyman, che mollò il gruppo tra infinite polemiche nel ’93.
Oggi come oggi i Rolling Stones rappresentano non solo un’istituzione musicale vera e propria, ma un marchio noto in tutto il mondo che fattura milioni di dollari. Sono vecchi, a volte possono anche far ridere eppure penso che abbiano più grinta loro di tante giovani band messe insieme. O quantomeno hanno un carisma unico al mondo, che nessun’altra band potrà mai eguagliare da qui a ventanni.
Per quanto mi riguarda, ascolto gli Stones a periodi: ci sono delle settimane in cui li sento quasi di continuo, suonando un po’ dappertutto le loro canzoni storiche (quelle che più amo sono Gimme Shelter, Sympathy For The Devil, Miss You, Beast Of Burden, Satisfaction, Start Me Up, It’s Only Rock ‘n’ Roll, Angie, Fool To Cry, She’s A Rainbow, Shattered, You Can’t Always Get What You Want, Anybody Seen My Baby?), poi magari non li ascolto più per mesi quasi dimenticandomi di loro. In questo momento, infatti, non li sto ascoltando e forse questo post ne subirà le conseguenze, ma sul serio non m’importa.
In fondo non sono mai stati niente di speciale gli Stones, da un punto di vista prettamente tecnico-musicale, eppure è impossibile ignorarli per ogni serio appassionato di musica rock. Credo che questa sia la vera forza dei Rolling Stones: piacciano o no, se apprezziamo la musica & siamo consumatori abituali di dischi non possiamo proprio far finta che non ci siano.