Vorrei concludere la mia serie di post dedicata al mai-dimenticato & sempre-più-rimpianto Freddie Mercury recuperando e ampliando un post che pubblicai il 24 novembre 2009, a proposito dell’album “Barcelona”. Famoso disco di duetti tra il nostro e la regina spagnola della lirica, Montserrat Caballé, “Barcelona” è un album tanto apprezzato dai fan dei Queen quanto ridicolizzato dai detrattori di Mercury & soci. Essendo io un fan duro & puro dei Queen, non posso che apprezzare un disco del genere, un disco che con gli anni, per giunta, ho finito con l’amare. Ora è chiaro che tutto si riduce a una questione di gusti: potremmo pontificare in eterno su quale sia l’album più bello del mondo, o se un artista valga più dell’altro, rafforzando magari le nostre ragioni coi pareri critici degli esperti musicali di turno. Per quanto mi riguarda, ciò che conta davvero è l’emozione: se un disco ci emoziona, e soprattutto se continua a farlo anche dopo decenni, ebbene quello è un gran disco. Non ci sarebbe altro da aggiungere. La maniera migliore per giudicare se un album (o una canzone, o anche un film o un libro) sia “bello” è se ci fa venire la pelle d’oca, se ci mette i brividi, se ci commuove. Insomma, se ci trasmette un’emozione. Nel mio personalissimo caso, “Barcelona” fa proprio questo, e quelle che seguono sono le mie personalissime impressioni. Chiunque, fra i commenti, può esternare le sue (e un blog serve anche a questo).
Spettacolare, raffinato e tuttora unico nel suo genere, “Barcelona” fonde con originalità l’universo sonoro di Freddie Mercury con gli stilemi della musica lirica, in una resa sonora che in fondo non lascia né sorpresi e né perplessi: la musica di Mercury è stata sempre melodrammatica, teatrale, epica e potente. Approntando un album come “Barcelona”, il nostro non deve aver fatto una gran fatica, o addirittura una violenza a sé stesso. Anzi, si è proprio divertito, si è appassionato e ci ha messo l’anima, come ha scritto in proposito Peter Freestone, assistente personale di Freddie, nel suo ormai noto libro di memorie: “Barcelona era la sua essenza. Siccome era un disco che voleva fare a tutti i costi, aveva deciso che avrebbe dovuto contenere il meglio che Freddie Mercury potesse offrire. Dopo tutto, avrebbe potuto essere il suo memoriale”. Freestone, nel rievocare la gestazione d’un disco tanto originale, non nasconde infatti la possibilità che Freddie già allora sapeva di essersi seriamente ammalato. Non bisogna dimenticare, tuttavia, il fondamentale contributo creativo e strumentale del pianista, tastierista e arrangiatore Mike Moran, coautore di tutte le canzoni di “Barcelona” e produttore, assieme a David Richards e allo stesso Mercury, di questo autentico capolavoro.
Freestone ricorda inoltre il primo incontro Mercury-Caballé, che si svolse al Ritz Hotel di Barcellona nel marzo ’87: “questa collaborazione iniziale con Mike [Moran, già al fianco del nostro per il singolo The Great Pretender / Exercises In Free Love edito a febbraio] produsse una cassetta di tre brani di base. Uno di questi diventò Exercises In Free Love che poi diventò Ensueno nell’album Barcelona. Gli altri due erano il formato di base di The Fallen Priest e Guide Me Home che Mike aveva messo insieme con Freddie usando una voce in falsetto per approssimare la parte di Montserrat”. E infatti possiamo ascoltare alcuni di questi provini fra le numerose rarità presenti in “The Solo Collection”, un monumentale cofanetto di 12 dischi dedicato a Mercury e pubblicato dalla EMI nel 2000. In quelle rivelatorie sedute di registrazione – provini casalinghi con la stessa Caballé e registrazioni di studio vere & proprie nelle quali ascoltiamo la voce del solo Freddie – possiamo così ammirare tutto il talento (e la passione) di Mercury alle prese con uno dei suoi dischi più significativi. Ma è un altro libro di memorie, scritto da Jim Hutton, l’ultimo compagno di vita di Freddie, ad offrirci un’interessante testimonianza di quelle sedute: “Qualche giorno più tardi, quella stessa settimana [della primavera ’87], quando Montsy arriviò in studio di registrazione per lavorare con Freddie, le cose non andarono precisamente come lei si aspettava. Lei pensava che per registrare con Freddie le sarebbe bastato arrivare, cantare qualche canzone seguendo lo spartito e andarsene; ma non aveva idea della singolarità del metodo di lavoro di Freddie. Lui non aveva preparato in anticipo nessuna musica per Montsy, ma invece intendeva chiederle di provare qualcosa di improvvisato e poi cominciare a lavorarci sopra fino a trovare insieme il miglior risultato. […] E così, lei accettò il suo particolare metodo di lavoro. Freddie si dimostrò un maestro esigente. In seguito, Montsy ammise che in quelle sedute di registrazione Freddie era riuscito a ottenere dalla sua voce più di quanto lei stessa riteneva di poter dare”.
Epica ed emozionante ballata pianistica dove la potenza delle due voci viene espressa ai massimi livelli, Barcelona, edita su singolo già nell’ottobre ’87, è di certo la canzone più famosa del disco. Il testo stesso della canzone narra delle emozioni scaturite in Freddie da questa sua agognata collaborazione. Barcelona è senza dubbio uno dei vertici artistici di Mercury, una delle canzoni più rappresentative del suo stile barocco e melodrammatico. La Japonaise è invece un brano più d’atmosfera, con Freddie che canta diverse parti in giapponese, mentre la musica – mescolando elementi della tradizione sacra con sonorità tipicamente orientali – ci accompagna in un viaggio suggestivo e suadente. Pezzo decisamente operistico, il successivo The Fallen Priest non sfigurerebbe affatto in una qualsiasi compilation di lirica: un brano di assoluta potenza e drammaticità che rappresenta uno dei duetti più riusciti della coppia Mercury-Caballé. La lenta e malinconica Ensueno (basata come sappiamo su Exercises In Free Love) è un incredibile duetto in spagnolo dove Freddie si esprime come mai si era espresso prima grazie all’uso del suo timbro naturale, ovvero un caldo baritono. Ensueno è l’unico numero in “Barcelona” dove Mercury e la Caballé hanno cantato fianco a fianco, dato che, per via dei numerosi impegni della soprano, Freddie si vide costretto ad operare da solo in studio e poi a far sovraincidere la voce alla sua partner.
The Golden Boy – pubblicata anche su singolo, in un’orrenda versione editata – figura un’interessante fusione di stili: lirica, pop e gospel, con Mercury sempre protagonista a discapito della Caballé, maggiormente a suo agio nella prima parte e nel finale della canzone, entrambe sezioni di vera musica lirica che testimoniano, inoltre, la grande versatilità della voce di Freddie. Delicata e commovente ballata sulla fragilità della condizione umana, Guide Me Home è una canzone semplicissima eppure molto emozionante, quieta e potente al tempo stesso; il finale è collegato alla successiva How Can I Go On?, il brano dall’arrangiamento più convenzionalmente pop di questo disco, tanto che al basso figura un altro componente dei Queen, John Deacon. Anche in questo caso siamo alle prese con uno dei vertici artistici di Freddie Mercury, con quell’intreccio tra la sua voce e quella della Caballé che, soprattutto nel finale, è davvero da pelle d’oca. La conclusiva Ouverture Piccante non è una canzone vera e propria, bensì un lungo mix fra alcuni degli altri brani presenti sul disco, anche se include una veloce sezione di piano del tutto inedita. Pur non memorabile, Ouverture Piccante resta se non altro un ascolto interessante: ci permette di apprezzare maggiormente l’elaborato uso delle voci sovrapposte da parte dello stesso Freddie, alcune delle quali scorrono al contrario.
“Ci furono un paio di altre idee – scrive ancora Peter Freestone nel suo libro – che a Freddie sarebbe piaciuto provare con Montserrat in quel periodo, una delle quali era l’incisione di La Barcarole tratta da The Tales Of Hoffman di Offenbach, ma a causa della limitata disponibilità di tempo di Montserrat, la cosa fu tralasciata, forse per una data successiva”. L’altra idea era invece Africa By Night, grande inedito mercuryano che non abbiamo ancora avuto il piacere d’ascoltare nella versione originaria, successivamente recuperata per quella All God’s People inserita in “Innuendo” (1991).
Aggiungo, per finire, che nel 2012, in occasione del venticinquennale della collaborazione Mercury-Caballé, la Universal ha distribuito una interessante (anche perché piuttosto economica) edizione deluxe dell’album “Barcelona” comprendente 4 dischi: accanto all’inevitabile divuddì contenente video e interviste, troviamo infatti un compendio delle “Barcelona Sessions” apparso nel 2000 nel ben più dispendioso “The Solo Collection” (il cofanettone monografico dedicato a Mercury che abbiamo già citato sopra) e un completo remix dell’album originale a base di vera orchestra curato da Stuart Morley (in uno dei tre ciddì se ne può ascoltare la sola versione strumentale).
Per quanto possa risultare affascinante, l’ascolto delle parti vocali che Freddie e Montserrat hanno messo su nastro tra l’87 e l’88, sovrapposte a un lavoro orchestrale del tutto nuovo ma che ricalca fedelmente la musica originale, non si traduce – almeno nel mio caso – in un valore aggiunto. E’ stato un esperimento lecito, che prima o poi andava anche fatto, ma che tuttavia non ha aggiunto niente di che al valore complessivo dell’opera, il cui vero spettacolo resta l’intreccio tra le bellissime voci dei due veri protagonisti del disco. – Matteo Aceto