Gusti musicali geograficamente parlando

ivan-graziani-rock-e-ballate-per-quattro-stagioniPer molti anni, diciamo pure tra il 1988 e il 2008, ho comprato e quindi ascoltato prevalentemente musica inglese. Gruppi da me amatissimi come Beatles, Queen, Police, Pink Floyd, Genesis, Bee Gees, Clash, Depeche Mode e Cure in primis (con tutti i relativi solisti del caso, come ad esempio Paul McCartney, Sting, Phil Collins, eccetera), ma anche Bauhaus, Japan, Cult, New Order (e quindi Joy Division), Tears For Fears, Pet Shop Boys, Smiths, Verve e tutti o quasi i relativi solisti (Peter Murphy, David Sylvian, Richard Achcroft e via dicendo). Per noi parlare poi di David Bowie. Discorsetto bello lungo, insomma.

Tra il 2007 e il 2008, invece, sono stato colto dalla febbre per Miles Davis, statunitense. E quindi via con tutti i suoi dischi (o meglio, con tutti i suoi cofanetti deluxe della Sony), ai quali, di lì a poco, si sono aggiungi nella mia collezione tutti i dischi di John Coltrane, altro illustre statunitense. Allargando un po’ i miei confini, ho iniziato a comprare dischi jazz di musicisti e band d’America, come ad esempio i Weather Report, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Chick Corea, tutti nomi che sono andati ad aggiungersi ai vari Michael Jackson, Prince e Stevie Wonder che già avevo in vinili, ciddì e cassette.

E se la black music afroamericana in fondo in fondo m’è sempre piaciuta, in anni più recenti ho avuto modo di apprezzare sempre di più i dischi di Isaac Hayes e soprattutto di Marvin Gaye. Tutta roba americana, ovviamente. Ai quali si sono aggiunti presto i dischi di Simon & Garfunkel (li ho comprati tutti!), del solo Paul Simon (ne ho comprati quattro o cinque), di Bruce Springsteen e soprattutto di Bob Dylan.

Insomma, se la Gran Bretagna la faceva da padrona per quanto riguarda la provenienza artistica dei dischi presenti in casa mia, credo proprio che ormai la fetta sia equamente divisa tra Stati Uniti e Gran Bretagna, e forse i primi sono anche in leggero vantaggio. In questa sorta di duopolio ho però registrato un curioso fatto privato: non so perché e non so per come, ma una mattina mi sono svegliato con la voglia di ascoltarmi i dischi di Lucio Battisti! Dopo qualche acquisto casuale, tanto per scoprire l’artista, ho deciso di fare il grande passo: acquistare l’opera omnia contenente TUTTI  i suoi dischi. L’anno scorso, spinto dalla curiosità, sono invece andato a comprarmi a scatola chiusa un cofanetto da tre ciddì + divuddì di Lucio Dalla, chiamato per l’appunto “Trilogia”. Io che ascolto e che soprattutto compro Lucio Dalla?! Un paio d’anni prima non l’avrei mai detto ed ora eccomi qui, a canticchiare Come è profondo il mare o L’anno che verrà oppure ancora Come sarà con tanto di Francesco De Gregori a dividere il microfono.

De Gregori che pure ha iniziato a incuriosirmi, nonostante un’antipatia per il personaggio che nutro da sempre. Ieri pomeriggio, e qui sto svelando un aspetto davvero inquietante della mia vita privata, avevo preso una copia di “Rimmel” e mi stavo già dirigendo alla cassa. Ho quindi adocchiato una raccolta tripla, fresca d’uscita, di Ivan Graziani e chiamata “Rock e Ballate per Quattro Stagioni“, edita dalla Sony in occasione del ventennale della morte del compianto cantante e chitarrista (nella foto sopra). Ebbene, ho preso una copia di quest’ultima con buona pace del classico di De Gregori.

E così, in conclusione, se una volta i miei ascolti erano concentrati quasi unicamente sulla Gran Bretagna, da un po’ di tempo sono felicemente passato all’America. E ciò nonostante rivolgo più d’un pensiero all’Italia, chissà perché. Ho iniziato anche ad apprezzare e comprare Vasco Rossi. Si attendono ora clamorosi sviluppi. – Matteo Aceto

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C’è una luce che non viene mai fuori

the-smiths-there-is-a-ligth-that-never-goes-outDi solito non sono molto interessato ai testi delle mie canzoni preferite. Soltanto quando andavo alle superiori, chissà poi perché, leggevo avidamente i libretti dei miei amati ciddì, cercando di tradurre e d’interpretare le parole scritte dai miei beniamini. Avevo anche quella fissa, così tipicamente adolescenziale, di trascrivere i testi sul diario, magari mentre il professore di fisica spiegava il secondo principio della dinamica. Devo riconoscere che, grazie a quella mania, il mio inglese ne ha giovato parecchio, comunque da allora sempre più raramente sono andato a leggermi quello che i cantanti stessero dicendo.

Un’abitudine, quella di leggere i testi (non certo quella di trascrivere il tutto su improbabili diari… manco sui blog, ora che ci penso…) che ho in parte recuperato in seguito al mio recente acquisto di “The Sound Of The Smiths”, del quale ho già parlato un mesetto fa. Un doppio ciddì che ascolto molto spesso & assai volentieri e che m’interessa anche dal punto di vista delle tematiche, per così dire.

La musica degli Smiths mi piace tantissimo – il chitarrista Johnny Marr è un genio – ma la suadente voce di Morrissey canta alcuni dei testi più originali che io abbia mai avuto il piacere d’ascoltare. Mi è stato di prezioso aiuto questo ottimo sito, dove non solo ho trovato i testi con le relative traduzioni italiane ma anche la spiegazione dei significati e gli aneddoti di quei testi.

Da bravo Gemelli (come il sottoscritto), Morrissey non smette mai di essere cattivello e di sparare frecciate verso tutto & tutti, mentre il più delle volte il suo stile – così tipicamente british – rasenta una peculiarità unica. E così il nostro si chiede giustamente perché dovrebbe sorridere alle persone alle quali, piuttosto, darebbe un bel calcio in culo, quelle stesse alle quali non interessa se egli sia vivo o morto; oppure suggerisce d’impiccare quei d.j. che mettono continuamente una musica che non ci dice niente a proposito delle nostre vite. E io gli do pienamente ragione, in questo senso. Morrissey però stava scherzando quando disse ‘dolcezza, dovrebbero prenderti a bastonate nel letto’… ma poi non esiterebbe a calarsi i pantaloni davanti al mondo oppure, perché no, anche davanti alla regina. E, anche se la trova cattiva, non può che restare affascinato da quella ‘donna meravigliosa’ che si diverte a fare scherzi crudeli ai portatori di handicap.

C’è pure un senso di profonda inquietudine in alcuni dei testi che Morrissey ha cantato con gli Smiths: in quella che resta la mia canzone preferita del gruppo, There Is A Light That Never Goes Out, il nostro ritiene che potrebbe essere un grande onore e un privilegio schiantarsi contro un tir da dieci tonnellate assieme alla persona amata. Così come spera che – una volta messosi a letto – non si svegli mai più… ma non dovrete sentirvi dispiaciuti per lui, perché nel profondo del suo cuore vuole davvero andarsene.

Eppure, a ben vedere, da bravo Gemelli qual è, il buon Morrissey è una persona sensibile che, tutto sommato, vuole essere amata come chiunque altra. Inoltre, come disse in una sua bella canzone da solista, ‘lasciami in pace, stavo solo cantando’. Ed è soprattutto per questo motivo che il significato dei testi delle canzoni m’interessa relativamente poco… stanno solamente cantando. – Matteo Aceto

La musica del 2009 tra realtà e sogni

depeche modeEccoci così al 2009! Prima di cominciare, però, lasciatemi augurarvi buon anno, di cuore. Non possiamo dire come sarà l’ultimo anno di questo decennio, ovvio, ma possiamo già tracciare i contorni della musica che ascolteremo nei prossimi mesi. Ecco quindi una breve rassegna della musica che verrà…

Album
Per me il più atteso è il nuovo dei Depeche Mode, previsto in primavera e al momento ancora senza titolo: la band inglese (nella foto) ha anche girato il video di Wrong, il singolo apripista… sono molto curioso, non vedo l’ora di vederlo! Pare che questo nuovo capitolo depechiano dovrebbe recuperare delle sonorità retrò. Intanto usciranno anche i nuovi album di Bruce Springsteen (a giorni), Peter Murphy (il cantante dei Bauhaus), Prince, David Sylvian, Morrissey, Neil Young, Megadeth, P.J. Harvey, Green Day, Devo, Roxy Music, U2, No Doubt e Robin Gibb. Forse anche il nuovo di Michael Jackson e forse – udite udite – anche il secondo album dei redivivi Sex Pistols, che darebbero quindi un seguito al celeberrimo “Never Mind The Bollocks” del 1977.

Concerti
Per quanto riguarda gli appuntamenti live previsti nel nostro paese, per ora segnalo solo i Depeche Mode, gli Eagles, i Metallica, gli Ac/Dc, i Judas Priest, i Megadeth, i Lynyrd Skynyrd e gli odiosi Oasis. Mi piacerebbe tantissimo vedere il concerto degli Eagles… ma suoneranno a Milano… per me sarà difficile starci. Spero anche che i Verve recuperino l’unica tappa del loro tour del 2008 – quello che segnava la reunion dopo quasi dieci anni dallo scioglimento – che avevano programmato in Italia: dovevano suonare a Livorno ma la loro esibizione saltò perché Richard Ashcroft aveva la laringite.

Reunion
Dopo le innumerevoli reunion degli ultimi anni, nel 2009 si attendono i ritorni – sul palco e/o in studio – di Blur (nella originale formazione a quattro), Magazine, Ultravox (nella formazione condotta da Midge Ure), The Specials, The Faces (sì, proprio il gruppo di Rod Stewart e Ron Wood, scioltosi nei primi anni Settanta!) e forse anche Faith No More, Smiths (ma qui ci credo poco… sarebbe un miracolo!), Stone Roses e Spandau Ballet. Voci incontrollate parlano anche dei Jackson 5

Ristampe
“Odessa” dei Bee Gees uscirà fra pochi giorni, il 12, in un bel cofanetto con tanto di rarità & inediti (… e io ho già la bava alla bocca!) in occasione del quarantennale della sua edizione. A marzo sarà invece la volta di “Ten”, il classico dei Pearl Jam. Dovrebbero uscire anche gli ultimi capitoli della bella serie di remaster dei Cure, in particolare dell’album “Disintegration” che nel 2009 compie ventanni. In autunno, secondo alcune indiscrezioni, dovrebbero uscire anche i ciddì rimasterizzati di tutti gli album dei Beatles… chissà, io lo spero vivamente, a patto, cazzo, che vi siano inclusi degli inediti!

Film
In questo 2009 dovremmo vedere il benedetto film sulla vita di Bob Marley, in cantiere almeno dal 2003. Pare che quest’anno sia la volta buona, chissà, certo è che al momento non se ne conoscono molti particolari. Don Cheadle dovrebbe dar vita al suo film sull’immenso Miles Davis, in attesa almeno dal 2007. Si attendono anche film biografici su Freddie Mercury e Kurt Cobain, annunciati anch’essi alcuni anni fa. Correrei subito al cinema per vedermi quello su Mercury, si era parlato di Johnny Depp per la sua interpretazione, chissà.

Questo quello che è stato confermato, in maniera più o meno ufficiale da parte dei diretti interessati o da chi per loro. Ora passo brevemente alle mie aspettative per quest’anno:

  • spero in un ritorno sulle scene del grande David Bowie, magari anche solo per dei concerti, ovviamente con transito obbligatorio in Italia;
  • una cazzutissima ristampa di “The Wall” dei Pink Floyd in occasione del trentennale di quello che resta il mio album rock preferito;
  • un nuovo album da studio di Sting che, a parte la divagazione medievale di “Songs From The Labyrinth”, non mi pubblica un album con canzoni sue dal 2003;
  • un nuovo album e/o tour per i Tears For Fears con tassativo passaggio live in Italia;
  • la pubblicazione d’un cofanetto di Miles Davis con le sue collaborazioni con Prince (si parla comunque d’un nuovo cofanetto davisiano della sua discussa produzione anni Ottanta);
  • almeno un concerto in terra italiana per Paul McCartney;
  • un nuovo album per Roger Waters, che non pubblica un disco d’inediti dai tempi di “Amused To Death”.

Questo è quel che le mie antenne sono riuscite a captare nell’aria; se non altro si prefigura un 2009 abbastanza interessante sotto il profilo musicale. Per tutto il resto, come sempre, staremo a vedere! – Matteo Aceto

The Smiths, “The Sound Of”, 2008

the-smiths-the-sound-of-the-smithsEffinalmente una raccolta degli Smiths come si deve! Erano anni che cercavo di portarmi a casa un’antologia del celebre gruppo inglese condotto da Morrissey, e l’altro ieri ho finalmente compiuto la missione, comprando “The Sound Of The Smiths”.

Edita dalla Rhino, celebre etichetta della Warner Bros specializzata in raccolte e ristampe, questa nuova compilation degli Smiths non è certamente la prima ma è senza dubbio quella più completa. Infatti, in un modo o nell’altro, le precedenti antologie smithsiane – “The World Won’t Listen”, “The Best I”, “The Best II”, “The Singles” e “The Very Best Of” – non solo non sono mai state proposte nella categoria ‘mid price’ ma mi sembravano anche incomplete. Inoltre, questa raccolta è stata curata dagli stessi Morrissey e Johnny Marr, rispettivamente cantante e chitarrista, entrambi autori delle canzoni del gruppo.

Ho così comprato la versione deluxe di “The Sound Of The Smiths”, formata da due gustosi ciddì in confezione cartonata, per un totale di quarantacinque brani del periodo 1983-88, tratti dai singoli, dagli album e dai live degli Smiths. Non ci sono inediti, tuttavia è la raccolta essenziale e definitiva per chi non ha nessun disco degli Smiths e vuole avere una panoramica completa della loro musica. Il generoso libretto interno è quasi interamente fotografico, con molti scatti promozionali e diversi altri dove ammiriamo la band sul palco.
L’audio è l’unico aspetto che mi ha un po’ deluso: come frequentemente avviene col materiale del passato, le attuali rimasterizzazioni aggiungono un effetto loudness che predilige la potenza a discapito della dinamica. Ma, che diavolo, ascolterò così tanto questa compilation da farci l’orecchio!

Ora facciamo una brevissimissima panoramica, canzone dopo canzone…

  1. Hand In Glove: primo singolo, autoprodotto, edito nel maggio ’83 e successivamente incluso nell’album di debutto “The Smiths” (1984).
  2. This Charming Man: uno dei singoli più irresistibili degli Smiths, pubblicato nel novembre ’83.
  3. What Difference Does It Make?: versione eseguita in una delle celebri ‘John Peel Sessions’ per la BBC e pubblicata nell’album “Hatful Of Hollow” (1984).
  4. Still Ill: tratta da un singolo promozionale del febbraio ’84 ma contenuta anche in “The Smiths”.
  5. Heaven Knows I’m Miserable Now: una delle mie canzoni smithsiane preferite, edita su singolo nel maggio ’84.
  6. William, It Was Really Nothing: altro brillante singolo pubblicato nel 1984.
  7. How Soon Is Now?: epico brano pubblicato su singolo nel febbraio ’85, qui nella sua versione più celebre, quella del 12”, inclusa anche nell’album “Meat Is Murder”.
  8. Nowhere Fast: trascinante cavalcata in stile country tratta da “Meat Is Murder” (1984).
  9. Shakespeare’s Sister: simile al brano precedente, edito come singolo nel marzo ’85.
  10. Barbarism Begins At Home: uno degli episodi più coinvolgenti tratti da “Meat Is Murder”, qui nella 7” version del singolo originale, pubblicato nell’aprile ’85.
  11. That Joke Isn’t Funny Anymore: splendido brano meditabondo, edito su singolo nel luglio ’85.
  12. The Headmaster Ritual: la stessa grandiosa canzone che apre l’album “Meat Is Murder”.
  13. The Boy With The Thorn In His Side: un’altra delle mie canzoni smithsiane preferite, edita su singolo nel settembre ’85 e successivamente inserita nell’album “The Queen Is Dead” (1986).
  14. Bigmouth Strikes Again: altro bel singolo, molto trascinante, tratto da “The Queen Is Dead”.
  15. There Is A Light That Never Goes Out: il brano degli Smiths che amo di più, anch’esso un singolo tratto da “The Queen Is Dead”.
  16. Panic: fra le molte canzoni degli Smiths che apprezzo particolarmente, edita come singolo nell’agosto ’86. Hang the DJ!!!
  17. Ask: irresistibile singolo pubblicato nell’ottobre ’86.
  18. You Just Haven’t Earned It Yet, Baby: pensato come singolo, è stato poi incluso come inedito nella compilation “The World Won’t Listen” (1987).
  19. Shoplifters Of The World Unite: un bel singolo pubblicato nel febbraio ’87.
  20. Sheila Take A Bow: un brioso singolo edito anch’esso nel 1987.
  21. Girlfriend In A Coma: pulsante estratto dall’album “Strangeways, Here We Come” (1987), edito su singolo ad agosto.
  22. I Started Something I Couldn’t Finish: altro singolo tratto da “Strangeways…”, pubblicato nel novembre ’87.
  23. Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me: chiude il primo dei due ciddì di questa raccolta un altro bel singolo tratto da “Strangeways…”, una dolente ballata, alquanto teatrale per gli standard degli Smiths.
  24. Jeane: originale lato B del singolo This Charming Man, col quale inizia il secondo ciddì.
  25. Handsome Devil: versione live – alla celebre Hacienda di Manchester – edita sul lato B di Hand In Glove.
  26. This Charming Man: un remix esteso chiamato ‘New York Vocal’ francamente inutile.
  27. Wonderful Woman: lato B dell’edizione 12″ di This Charming Man.
  28. Back To The Old House: originale lato B di What Difference Does It Make?.
  29. These Things Take Time: lato B dell’edizione 12″ di What Difference Does It Make?.
  30. Girl Afraid: bel lato B dell’edizione 12″ di Heaven Knows I’m Miserable Now.
  31. Please, Please, Please Let Me Get What I Want: delizioso e minimale lato B del singolo William, It Was Really Nothing.
  32. Stretch Out And Wait: delicato lato B dell’edizione 12″ di Shakespeare’s Sister.
  33. Oscillate Widly: strumentale edito sul lato B dell’edizione 12″ di How Soon Is Now?.
  34. Meat Is Murder: versione live del brano che dà il titolo all’album, pubblicata sul lato B di That Joke Isn’t Funny Anymore.
  35. Asleep: delicata e minimale ballata pianistica, edita sul lato B di The Boy With The Thorn In His Side.
  36. Money Changes Everything: unico brano – uno strumentale – firmato dal solo Marr a comparire in questa raccolta, originariamente pubblicato sul lato B di Bigmouth Strikes Again.
  37. The Queen Is Dead: lo stesso rocambolesco brano che apre l’album omonimo.
  38. Vicar In A Tutu: altro vivace estratto da “The Queen Is Dead”, poi pubblicato anche sul lato B di Panic.
  39. Cemetry Gates: ancora un estratto da “The Queen Is Dead”, in seguito edito sul lato B di Ask.
  40. Half A Person: il bel lato B del singolo Shoplifters Of The World Unite.
  41. Sweet And Tender Hooligan: registrata in una delle Peel Sessions e pubblicata sul lato B dell’edizione 12″ di Sheila Take A Bow.
  42. Pretty Girls Make Graves: versione ‘Troy Tate Demo’ pubblicata sul lato B di I Started Something I Couldn’t Finish.
  43. Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before: stessa brillante canzone inclusa nell’album “Strangeways, Here We Come”.
  44. What’s The World?: unico brano qui presente a non recare la firma Morrissey/Marr, questa cover dei James è stata registrata dal vivo nel 1985 e pubblicata due anni dopo in una delle edizioni di I Started Something I Couldn’t Finish.
  45. London: registrata dal vivo nel 1986, è la stessa che compare sull’album live “Rank” (1988).

Insomma, per concludere, “The Sound Of The Smiths” è un’ottima raccolta che ha soddisfatto appieno la mia fame di Smiths. Se siete interessati allo storico gruppo di Morrissey e di Johnny Marr e non avete nessuno dei loro album, questo è il disco che fa per voi. – Matteo Aceto

The Smiths, “There Is A Light That Never Goes Out”, 1986

the-smiths-there-is-a-ligth-that-never-goes-outCerto che le canzoni degli Smiths sono veramente tristi! Ma che belle che sono…

Una di quelle che apprezzo di più, e che più m’impressiona, è There Is A Light That Never Goes Out, magnifica perla tratta dall’album “The Queen Is Dead” (1986). Bella fin dal titolo…

La musica, composta dal chitarrista della band, Johnny Marr, è un pop-rock medio-veloce per batteria & basso & chitarra ritmica, col tutto sorretto da un efficace & elaborato accompagnamento sintetizzato a partire dal primo ritornello. Una musica indimenticabile, a mio avviso.

E il testo? Scritto da Morrissey, la voce stessa degli Smiths, è uno dei più originali nei quali io mi sia mai imbattuto: triste perché il protagonista della storia dice di non voler più tornare a casa, dato che non ne ha più una, di casa, fra l’altro non ne sarebbe più nemmeno il benvenuto; si trova invero a bordo di una macchina come passeggero e prega il guidatore di portarlo fuori, portarlo in un posto qualsiasi, dato che non importa, basta che ci sia musica, luce & gente in giro. Ma poi, sul più bello, ovvero il ritornello, ecco che il protagonista della nostra canzone dice che se anche dovessero schiantarsi a morte in un incidente stradale la cosa sarebbe un privilegio & un onore per quel timido passeggero che, nonostante tutto, non riesce ad esprimere i suoi sentimenti più reconditi al guidatore.

Non credo d’aver mai sentito una roba del genere in una canzone! Soltanto un gruppo inglese avrebbe potuto proporre un brano come There Is A Light That Never Goes Out, e gli Smiths mi sembrano inglesi fino al midollo.

Nel complesso, la struggente musica di Marr unita alle originali parole di Morrissey ci regalano una canzone a dir poco notevole. – Matteo Aceto

ps: ora che ricordo, There Is A Light That Never Goes Out viene anche ampiamente citata dallo scrittore Enrico Brizzi in uno dei suoi libri, se non sbaglio “Tre Ragazzi Immaginari”.

Pet Shop Boys, “Behaviour”, 1990

pet-shop-boys-behaviour-immagine-pubblicaQuarto album da studio dei Pet Shop Boys, “Behaviour” è il disco più raffinato e forse più memorabile del celebre duo elettropop inglese. E’ anche l’album (ma questo è il meno importante dei dati) che più apprezzo fra quelli incisi dalla premiata ditta Neil Tennant & Chris Lowe. Nel complesso, “Behaviour” presenta un sound molto meno danzereccio del solito ed è caratterizzato da un’atmosfera più riflessiva ed intimista.

Si parte con la dance malinconica di Being Boring, uno dei quattro singoli estratti da quest’album. Un ritmo morbidamente avvolgente, cantato da un Tennant rilassato e a suo agio su una base di elegante pop d’autore. Being Boring è una di quelle canzoni che forse non colpiscono all’istante, pur rivelandosi fin da subito interessante: ascolti successivi dovrebbero però renderla molto piacevole all’ascoltatore.

Segue quella che per me è la canzone più bella del disco, This Must Be The Place I Waited Years To Leave, dalla melodia tanto malinconica quanto epica. Con Johnny Marr degli Smiths alla chitarra, Angelo Badalamenti alla conduzione dell’orchestra e Chris Lowe alle prese con delle ottime parti di tastiera, This Must Be The Place è un ascolto molto emozionante e assolutamente coinvolgente, fra le migliori cose mai registrate dai Pet Shop Boys.

Poi è la volta della lenta e romantica To Face The Truth: l’inizio mi piace tantissimo, con quel breve coretto seguìto da spezzate ma morbide percussioni elettroniche. Su tutto la voce in falsetto di Neil, forse la cosa più evidente se volessimo descrivere un ‘pet shop boys sound’. Complessivamente, To Face The Truth resta una magistrale ballata d’atmosfera.

Segue un altro singolo, How Can You Expect To Be Taken Seriously?, dalla ritmica ben più imponente del brano precedente e vagamente rock. E’ un sound che si discosta leggermente dalla tipica musica petshopboysiana eppure è molto caratterista di questa band ed è perfettamente riconoscibile già al primo ascolto.

Con la riflessiva Only The Wind ritroviamo un’atmosfera più quieta e introspettiva ma anche la conduzione orchestrale di Badalamenti. L’elegante Only The Wind è un’autentica perla: non solo si pone come fra i pezzi migliori di questo album ma, a mio avviso, resta una delle canzoni migliori dei Pet Shop Boys.

My October Symphony è una lieve e delicata cavalcata pop, dove ritroviamo Johnny Marr alla chitarra. Sarà la suggestione del titolo ma in effetti siamo alle prese con un brano piacevolmente autunnale, quasi un accompagnamento allo scorrere del tempo che volge verso l’inverno. Bello l’accompagnamento orchestrale dell’Alex Balanescu Quartet, che si ritaglia uno spazio tutto suo in coda alla canzone.

So Hard, primo singolo tratto da “Behaviour”, presenta invece un arrangiamento più tipico dei Pet Shop Boys, a metà fra il pop d’autore e le atmosfere più marcatamente dance. Per certi aspetti, un pezzo come So Hard stona un po’ con gli altri, tuttavia la sua bella esecuzione – sia strumentale che vocale – fa di questa canzone una delle più coinvolgenti mai realizzate dai nostri.

Il lento pulsare di Nervously ci introduce quella che è una ballata elettronica di grande atmosfera, un brano molto intenso che ci regala un’indimenticabile parte vocale di Neil. Segue The End Of The World, un altro brano dagli accenti più danzerecci, ma pur sempre in linea col sound complessivo di “Behaviour”. E’ una canzone gradevolmente coinvolgente che avrei forse preferito ascoltare per ultima nel disco in questione.

La conclusiva Jealousy, anch’essa estratta come singolo, è un’altra ballata elettronica, decisamente più epica (soprattutto nel maestoso finale) di quelle finora incontrate. Apparsa per la prima volta su “Behaviour” nel 1990, Jealousy è però una delle prime canzoni scritte dai Pet Shop Boys, risalente, se non erro, al 1983. Pare che il nostro duo voleva interpretarla con Ennio Morricone ma che infine la collaborazione è saltata per impegni da parte del leggendario compositore italiano. La collaborazione sarà tuttavia soltanto rimandata, al 1987, per un brano dell’album “Actually”… ma questa è già un’altra storia. – Matteo Aceto

The Smiths, “Panic”, 1986

the-smiths-panic-immagine-pubblicaQualche giorno fa, un amico m’ha prestato la raccolta d’un gruppo che conosco ma che voglio approfondire, The Smiths. La raccolta si chiama “The Very Best Of” (2001) e inizia con Panic. Beh, sono quattro giorni di fila che mi sveglio canticchiando fra me & me ‘hang the deejay, hang the deejay, hang the deejay, hang the deejay, hang the deejay-hang the deejay-hang the deejay…’!!

Non me la ricordavo questa Panic, seppur mi suoni molto famigliare. E’ un brano dal sound tipicamente inglese, eseguito da una band tipicamente inglese, con un testo molto intelligente come spesso capita a Morrissey di scriverne.

Ecco, dato che trovo molto bella questa Panic e che il resto del disco mi piace un po’ di più ad ogni ascolto, mi sa proprio che in tempi brevi avrò a comprarmi anch’io una copia di “The Very Best Of The Smiths”. Appena la trovo a prezzo speciale, si capisce…

Panic, pubblicata solo come singolo, è stata inclusa per la prima volta in un disco degli Smiths nella compilation “The World Won’t Listen”, datata 1987. – Matteo Aceto

Pet Shop Boys

pet-shop-boys-immagine-pubblicaFin da bambino, diciamo da quando guardavo un programma chiamato “Dee Jay Television” su Italia 1, conosco questo nome, Pet Shop Boys, ricordandomi perfettamente alcuni loro successi degli anni Ottanta (It’s A Sin, West End Girls, la cover di Always On My Mind e Domino Dancing). Devo dire che mi sono sempre piaciuti i Pet Shop Boys, apprezzavo molto quelle epiche sonorità elettroniche unite a quella voce leggermente nasale ma assolutamente inconfondibile. I loro album di quegli anni li ho tutti, quelli successivi mi mancano perché le mie orecchie hanno prestato interesse ad altre sonorità. Tuttavia, una parte del mio cuore è stata sempre riservata ai Pet Shop Boys, perciò ora mi preme di scrivere le loro gesta in questo blog.

Dunque, la band, un duo inglese composto dal tastierista Chris Lowe e dal cantante Neil Tennant, si forma al principio degli anni Ottanta: i due si erano conosciuti in un negozio di materiale elettronico, forse perché lo stesso Lowe ne era il commesso (di quest’ultimo dettaglio non ne sono certissimo, comunque). Adottano il nome Pet Shop Boys anche perché, a detta loro, aveva un che di rap… ed è proprio una sorta di rap (su una irresistibile base elettronica) il loro primo singolo, West End Girls, brano che è ormai diventato un classico degli anni Ottanta. West End Girls uscì per la prima volta nel 1984 ma non ottenne il risultato sperato, mentre una successiva rielaborazione, pubblicata nel corso del 1985, lo proiettò al 1° posto della classifica inglese. Il debutto su album dei nostri, tuttavia, avvenne l’anno dopo, con l’album “Please”, al quale fece seguito qualche mese dopo un album di remix, “Disco”. Oltre al rifacimento di successo di West End Girls, “Please” contiene altri tre singoli memorabili quali Suburbia, Opportunities (Let’s Make Lots Of Money) e Love Comes Quickly.

I successi dei Pet Shop Boys nelle due classifiche riservate ai singoli e agli album vengono replicati nel 1987, con la superba It’s A Sin e l’album “Actually”, che la contiene. Questo secondo album dei Pet Shop Boys include pure i singoli Rent, What Have I Done To Deserve This? (un duetto con Dusty Springfield) e Heart, oltre a It Couldn’t Happen Here, una collaborazione dei nostri con Ennio Morricone.

Nel 1988 i Pet Shop Boys, sempre all’avanguardia in fatto di sonorità, abbracciano la nascente scena house e pubblicano un album di gran classe a dir poco sbalorditivo, “Introspective”, mentre nel lavoro successivo, “Behaviour” (1990), introducono degli arrangiamenti per vere orchestre, percussioni e chitarre (gli ospiti più illustri sono il compositore Angelo Badalamenti e l’ex Smiths Johnny Marr).

Nel 1991 esce una bellissima raccolta antologica, “Discography”, contenente i diciotto singoli inglesi pubblicati fra il 1985 e il ’91, mentre nel 1993 i Boys tornano alla grande con l’album “Very”, quello contenente il famoso rifacimento dei Village People, Go West. Nel 1994 esce un secondo capitolo dedicato ai remix, vale a dire “Disco 2”, mentre nel ’95 è la volta di “Alternative”, un’interessante doppia raccolta dedicata ai lati B dei singoli e agli inediti.

Nel 1996 esce quindi il sesto album dei nostri, “Bilingual”, anticipato dal singolo Before. “Bilingual” è un disco assai gradevole che strizza l’occhio al nascente revival (almeno in Europa) della musica latina ma è anche l’ultimo album dei Pet Shop Boys a destare curiosità anche fra i non appassionati al genere. Da questo punto in poi, infatti, la carriera dei Pet Shop Boys (che non conoscerà mai momenti bassi, questo è da dire) sarà un po’ più ‘sotterranea’ e dedicata ad un pubblico più ristretto. Il seguito di “Bilingual” vede la luce nel 1999, ovvero “Nightlife”, quello contenente la malinconica ma bellissima I Don’t Know What You Want But I Can’t Give It Anymore e l’allegra e villagepeoplesca New York City Boy.

Nel 2002 è la volta di “Release”, un album che esplora territori più acustici, mentre nel 2005 esce la colonna sonora curata dagli stessi Pet Shop Boys per lo storico film muto “La corazzata Potemkin”. Il nuovo album da studio dei nostri, “Fundamental”, esce invece nel 2006, un disco che ci riporta a sonorità volutamente più retrò. Negli ultimi anni, tuttavia, sono uscite diverse compilation interessanti, fra le quali la stupenda doppia raccolta antologica “PopArt” (2003), il terzo album di remix “Disco 3” (2003) e il live “Concrete” (2006).

C’è da segnalare, infine, la carriera parallela dei Pet Shop Boys, vale a dire quella di scrittori, produttori e remixer di canzoni per altri artisti: qui mi limito a citare gli Eighth Wonder di Patsy Kensit (quelli di I’m Not Scared), Tina Turner, Liza Minnelli, Boy George, David Bowie e Robbie Williams. – Matteo Aceto

I supergruppi

Traveling Wilburys George Harrison Bob DylanForse il termine non suscita simpatia ma, per supergruppo, s’intende comunemente una band formata da due o più componenti illustri provenienti da altre band. La storia del rock annovera diversi supergruppi ma la loro costituzione sembra aver preso piede soprattutto dagli anni Ottanta ad oggi. Vediamone alcuni, cercando di procedere in ordine cronologico.

Il titolo di primo supergruppo sembra spettare ai Blind Faith, composti da membri dei Cream (Eric Clapton e Ginger Baker) e dei Traffic (Steve Windood), formatisi e disciolti nel 1969 con un solo album all’attivo. Poi fu la volta della Plastic Ono Band, un gruppo che John Lennon e Yoko Ono formarono insieme a Eric Clapton e a George Harrison, sebbene svolgesse un’attività occasionale tra il 1969 e il 1970. Di supergruppi pop-rock nati negli anni Settanta non me ne sovviene nessuno, credo che comunque non ve ne siano stati molti, per cui passo agli anni Ottanta.

Nel 1982 nascono i Lords Of The New Church (componenti dei Dead Boys e dei Damned), nel 1983 nascono invece i Glove (membri dei Cure e dei Siouxsie And The Banshees), nel 1984 debuttano i Dalis Car (componenti dei Japan e dei Bauhaus) e i Chequered Past (membri dei Sex Pistols e dei Blondie), nel 1985 fanno la loro comparsa i Power Station (voce di Robert Palmer e musicisti dei Duran Duran e degli Chic), mentre nel 1986 è la volta dei GTR (membri dei Genesis e degli Yes) e ancora nel 1989 degli Electronic (componenti dei New Order, degli Smiths e dei Pet Shop Boys).

Nel 1988 hanno fatto la loro prima comparsa, con l’album “The Traveling Wilburys, Vol. 1”, i Traveling Wilburys (nella foto sopra), un super-supergruppo direi, giacché formato da George Harrison dei Beatles con Bob Dylan, Roy Orbison, Tom Petty e Jeff Lynne della Electric Light Orchestra.

Passando agli anni Novanta, nel ’95 debuttano i Mad Season (formati da componenti di Alice In Chains e Pearl Jam), mentre l’anno dopo è la volta dei Neurotic Outsiders (membri dei Sex Pistols, dei Cult, dei Guns N’ Roses e dei Duran Duran). Di altri non ricordo…

Mi sembra più produttivo il decennio in corso: già nel 2000 debuttano i Damage Manual (componenti dei PiL, dei Killing Joke e dei Ministry), nel 2002 esordiscono con alcune canzoni distribuite in rete i Carbon/Silicon (componenti dei Clash e dei Sigue Sigue Sputnik) e con una distribuzione in grande stile, invece, debuttano gli Audioslave (musicisti dei Rage Against The Machine e voce dei Soundgarden). Nel 2004 è la volta dei Velvet Revolver (musicisti dei Guns N’ Roses e cantante degli Stone Temple Pilots), mentre il 2006 ha segnato il debutto ufficiale dei The Good, The Bad And The Queen (componenti dei Clash, dei Blur e dei Verve).

Nella storia della musica moderna si sono visti numerosi esempi di supergruppi costituiti apposta per un singolo evento o brano: è il caso dei Band Aid, che nel 1984 hanno pubblicato il singolo Do They Know It’s Christmas?, e degli U.S.A. For Africa, che l’anno dopo hanno pubblicato il singolo We Are The World. Entrambi nati per scopi benefici, i primi (di origine angloirlandese) sono nati dall’iniziativa di Bob Geldof e Midge Ure (che hanno coinvolto, tra i tanti, Sting, Phil Collins, Paul Weller, Paul Young, Boy George, i Duran Duran, gli U2 e George Michael), i secondi (americani) sono nati invece dall’iniziativa di Michael Jackson e Lionel Richie (coinvolgendo un cast stellare formato, fra i tanti, da Ray Charles, Stevie Wonder, Bruce Springsteen, Bob Dylan, Tina Turner, Paul Simon e Diana Ross).

Poi ci sono dei supergruppi a ritroso, nel senso che dal gruppo originario, magari anche di successo, siano usciti fuori dei componenti di altrettanto (se non maggior) successo: mi vengono in mente i Genesis (che hanno ‘generato’ Peter Gabriel, Phil Collins ma anche i Mike & The Mechanics) e i Faces (nei quali hanno militato Ron Wood, dal ’75 ad oggi con i Rolling Stones, e Rod Stewart). Ma se ci pensiamo bene anche i Beatles sono stati un supergruppo a ritroso… in quale altra band si trovano Paul McCartney e John Lennon sotto lo stesso tetto?! Per giunta con un George Harrison che diventava sempre più bravo e che, giustamente, scalpitava per avere più voce in capitolo. Questa, però, è già materia per un altro post.

New Order

new-order-immagine-pubblicaLa storia dei New Order inizia a Manchester nella primavera del 1980, all’indomani del suicidio di Ian Curtis, cantante dei Joy Division. Sì perché i New Order sono Bernard Sumner, Peter Hook e Stephen Morris, rispettivamente chitarrista, bassista e batterista dei Joy Division, che, dopo il comprensibile smarrimento iniziale, decidono di darsi un nuovo nome e di continuare insieme.

I New Order debuttano quindi al principio del 1981 col singolo Ceremony / In A Lonely Place, entrambe canzoni dei Joy Division mai completate: la prima è un brano pop-punk formidabile (vale la pena di andarsi ad ascoltare anche la versione live dei Joy Division sull’album postumo “Still”) mentre la seconda è addirittura cantata da Ian Curtis, in quello che è uno dei pezzi più tenebrosi della band. In seguito, i New Order aggiungono stabilmente all’organico una tastierista, Gillian Gilbert (già ragazza di Stephen) con la quale reincidono completamente il singolo Ceremony / In A Lonely Place (il risultato, oltre che più pulito, è comunque migliore) e ritoccano alcune canzoni inedite dei Joy Division da inserire nel loro terzo ed ultimo album, “Still” (1981).

Sempre nel corso del 1981, inoltre, esce “Movement”, il primo album dei New Order: lo stile non si discosta poi molto da quello dei Joy Division (del resto i musicisti sono gli stessi…) ed il risultato è già strepitoso. Un disco della durata di appena 36 minuti per 8 brani che tuttavia è in perfetto equilibrio tra new-wave, punk, elettronica e dark. Due brani sono cantati da Peter, gli altri sei da Bernard: di lì a poco la band capisce che il ruolo di cantante spetta solo a quest’ultimo, il quale, pur non possedendo una gran voce ha tuttavia un timbro molto riconoscibile che ben s’incastra nel sound complessivo dei New Order. E la storia può riprendere il volo…

Nel 1983 esce il singolo Blue Monday ed è una rivoluzione: il suo ritmo disco-club sostenuto dalla drum machine, i suoi synth gelidi e la voce impassibile di Bernard che canta un testo di rivalsa ne fanno un classico istantaneo e una pietra miliare nella storia della musica. Blue Monday è il primo incrocio credibile tra rock e dance, una strada che in seguito verrà tentata da altri artisti, anche più famosi. Il brano, inoltre, può anche essere considerato un precursore di quel genere house che sarebbe esploso commercialmente sul finire del decennio.

Sempre nell’83 esce il secondo album dei New Order, “Power Corruption & Lies”, che si distacca dal suono dei Joy Division – puntando maggiormente sull’elettronica – senza però rinnegarne le origini. Davvero un gran disco, così come il successivo “Low-life” del 1985. I New Order sono sulla cresta dell’onda ed i vari manager ed intermediari vorrebbero farne delle star: i quattro di Manchester non ci stanno, l’unica concessione è l’inserimento delle loro foto (per la prima e ultima volta), in un loro disco, “Low-life” per l’appunto, distribuito in USA dall’etichetta di Quincy Jones, più noto come geniale produttore di Michael Jackson. Il fatto è che l’amarezza per la morte prematura di Curtis è un fantasma ancora molto ingombrante col quale i New Order riusciranno a convivere solo in anni recenti.

Nel 1986 esce un altro bel disco, “Brotherhood” (uno dei miei preferiti), contenente la celebre Bizarre Love Triangle (ma a me fa impazzire Angel Dust…). L’anno dopo è la volta di “Substance 1987”, una strepitosa doppia raccolta contenente lati A e B dei singoli, molti dei quali non presenti sugli album, più due inediti, le stupende 1963 e True Faith (probabilmente quest’ultima è, con Blue Monday, il brano più famoso dei New Order).

Nel gennaio ’89 i New Order volano al 1° posto della classifica inglese con l’indimenticabile album “Technique”, il mio album preferito tra quelli della banda di Manchester, lanciato da singoli innovativi come Fine Time, Run e Round And Round. Il momento di gloria si ripete l’anno dopo, con l’uscita del singolo World In Motion: scritto come inno della nazionale inglese per i mondiali di calcio, World In Motion è stata votata di recente come miglior inno scritto da un gruppo inglese per la propria nazionale calcistica.

Ma la solidità dei New Order inizia a dare i primi segni di cedimento: tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, i membri della band formano diversi gruppi paralleli (gli Electronic per Sumner, che si unisce a Johnny Marr degli Smiths, i Revenge prima e i Monaco dopo per Hook, e gli Other Two per il duo – ormai sposato – Morris-Gilbert), mentre la casa discografica storica, la Factory Records (già distributrice dei Joy Division e in seguito di Happy Mondays e Stone Roses) è in grave crisi finanziaria. E’ proprio per tentare di salvare la Factory che dei riluttanti New Order tornano in studio per dar vita ad un nuovo album: “Republic”, che vede la luce nel ’93, quando la Factory è ormai spacciata, è forse il peggior album della band (ma non è brutto, state tranquilli…) anche se c’è la splendida Regret, con un video molto bello girato a Roma. Résisi forse conto di aver fatto un mezzo passo falso, i New Order sembrano guardare al passato: reincidono alcuni vecchi brani e li pubblicano con altri hits nella raccolta “(The Best Of) NewOrder” del 1994, poi, praticamente, la band si scioglie.

Lo scioglimento dei New Order, mai ufficializzato, termina sul finire degli anni Novanta: nel 1999 esce un brano nuovo, Brutal, per la colonna sonora del film “The Beach”, mentre la band è al lavoro sul nuovo album, che vede quindi la luce nel 2001. Così, il settimo album da studio dei New Order s’intitola “Get Ready” e con mio sommo piacere scopro che è uno dei migliori dischi del gruppo. Intanto, i New Order sono in grado di eseguire senza problemi concerti di due ore, mentre una nuova generazione di musicisti, in primis i Chemical Brothers, li inneggia come propri padri musicali.

Negli ultimi anni, una figlia della coppia Morris-Gilbert è stata gravemente malata: la mamma, per prendersene cura, ha abbandonato l’attività dei New Order, mettendo a rischio la vita stessa della band. Tuttavia, su insistenza della stessa Gilbert, i New Order sono tornati in pista con un nuovo tastierista/chitarrista, Phil Cunningham, un nuovo album, “Waiting For The Siren’s Call” (2005), e un nuovo tour.

Recentemente, dopo aver dato alle stampe un paio di raccolte, i New Order sono stati impegnati con la colonna sonora del film “Control”: girato da Anton Corbijn (storico fotografo e videomaker dei Depeche Mode), ripercorre la vita di Ian Curtis, voce dei Joy Division, e la parabola del gruppo stesso. Tuttavia quest’altro ritorno al passato non s’è tradotto nella nostalgia per il lavoro comune: nel corso del 2007 il bassista Peter Hook ha annunciato infatti la sua dipartita dai New Order e la formazione d’una nuova band, i Freebass, in compagnia di componenti degli Smiths e degli Stone Roses.

Ufficialmente i New Order non sono finiti e il sottoscritto crede che il buon Peter tornerà sui propri passi dopo essersi tolto lo sfizio di pubblicare un disco a nome Freebass. Staremo a vedere, per il momento ci possiamo accontentare delle ristampe degli album dei New Order pubblicati negli anni Ottanta, con disco aggiuntivo di materiale bonus per ogni titolo. (