Il grande vantaggio dei cofanetti è che con una sola botta ci portiamo a casa l’intera produzione (o la parte più significativa di essa) del nostro gruppo preferito, spesso spendendo meno dei singoli titoli messi assieme che andiamo ad acquistare di volta in volta. D’altra parte, col ritrovarsi di colpo settanta, ottanta o anche più canzoni da ascoltare tutte in una volta si rischia di smarrire la strada e di fare confusione fra i capitoli discografici. E’ quello che m’è successo col primo cofanetto antologico che sono andato a comprarmi, ormai tanti anni fa: “Heart And Soul” dei Joy Division, un quadruplo ciddì del 1997 (ristampato lo scorso autunno).
In precedenza avevo comprato “Still” (1981) e di lì a poco ebbi modi d’ascoltarmi il mitico “Unknown Pleasures” (1979), prestatomi da un amico. A questo punto mi mancavano solo “Closer” (1980) e l’antologica “Substance” (1988) per avere una visione definitiva della breve ma seminale esperienza discografica dei Joy Division: conquistato dalla peculiarissima fusione fra dark e punk, tipica di questa band inglese, andai perciò a comprarmi direttamente “Heart And Soul” come regalo natalizio. Un cofanetto che, per carità, mi soddisfò tantissimo e che ascolto sempre molto volentieri, ma che tuttavia non mi ha fatto ben capire la portata di “Closer”.
Questo post cerca così d’affrontare “Closer” una volta per tutte, dopo aver programmato in sequenza i nove brani originali (fra i diciassette che compongono il secondo disco di “Heart And Soul”) di quello che purtroppo fu l’ultimo album dei Joy Division, uscito all’indomani del tragico suicidio di Ian Curtis, il cantante del gruppo. Ecco quindi i brani di “Closer”, ognuno accompagnato da una piccola analisi da parte mia…
- Atrocity Exhibition: una tetra danza tribale, con Stephen Morris in grande spolvero sulle percussioni, che arricchisce la sensibilità dark di suggestioni etniche. Un brano a suo modo indimenticabile, forse tirato un po’ troppo per le lunghe.
- Isolation: una stupenda gemma new wave, fra le cose più trascinanti, inconfondibili ed emozionanti prodotte dai Joy Division. Un brano che musicalmente puntava dritto al futuro di questo gruppo…
- Passover: brano ben più notturno e monotono, leggermente meno sostenuto dei due precedenti ma più viscerale e inquietante.
- Colony: scandìta dall’aspra chitarra di Bernard Sumner, è però caratterizzata da un incedere irregolare e minaccioso al tempo stesso.
- A Means To An End: la migliore di “Closer” e fra le migliori nel canzoniere dei Joy Division… irresistibile col suo ritmo implacabile di marcia veloce, di parti chitarristiche intrusive ma sinuose, forte d’un canto da parte di Ian ricco di rassegnazione ma anche di rabbia. ‘I put my trust in you’… da pelle d’oca!
- Heart And Soul: brano veloce, notturno – soprattutto per merito del tenebroso andamento del basso di Peter Hook – adattissimo ad un attraversamento in macchina di qualche deserta periferia cittadina.
- Twenty Four Hours: nonostante riesce a mantenere viva l’attenzione per i suoi cambi di tempo, è il brano di “Closer” che trovo più sfuggente.
- The Eternal: questa atmosferica ma realmente funerea composizione è senz’altro il numero più tetro creato dai nostri. Spettacolare, a suo modo.
- Decades: atipica non solo rispetto alle altre canzoni di “Closer” ma anche nel repertorio stesso dei Joy Division, questa meditabonda canzone è incentrata principalmente sull’uso dei sintetizzatori (ancor più di Isolation), tracciando un evidentissimo ponte fra la musica di questa band e la sua rinascita post-Curtis, i New Order.
Rispetto al precedente “Unknown Pleasures” (che comunque preferisco), “Closer” segna decisi passi in avanti per i Joy Division, una definizione ancor più personale e stilizzata della loro arte: non solo la musica lascia intuire quali connotati avrebbero assunto le future canzoni della band, ma la stessa abilità canora di Ian Curtis è notevolmente maturata. E’ stato un gran peccato che un artista del genere non abbia dato tempo a se stesso e al suo gruppo di dimostrare al mondo di che cosa sarebbero stati capaci di fare di lì ad un paio d’anni. Un vero peccato, una perdita grandissima… di certi cazzoni che invadono oggi le classifiche e che non hanno mai inventato nulla o influenzato nessuno non si parlerebbe affatto.
Non ho menzionato le tematiche di “Closer” ma già dando un’occhiata superficiale ai titoli delle sue canzoni si possono indovinarne alcune: atrocità, isolamento, trapasso, fine, ma anche i poco rassicuranti eterno, colonia e decenni. Insomma, i Joy Division sono i Joy Division! Un’ultima curiosità: la macabra ma affascinante foto di copertina è stata scattata in un cimitero italiano, lo Staglieno, a Genova. – Matteo Aceto