Sempre più spesso mi trovo a comprare dischi da internet: un po’ perché la musica che più amo – quella registrata fra gli anni Cinquanta e Ottanta – non è sempre di facile reperibilità (a meno che non si tratti di ristampe, non tutte a prezzi modici) e soprattutto perché li trovo a prezzi più bassi rispetto al classico negozio di città.
Uno dei miei acquisti internettiani più recenti è “Living Eyes” dei Bees Gees, un album altrimenti introvabile, al quale davo la caccia da tempo. Sono stato abbondantemente ripagato dall’attesa perché, a fronte di una spesa di pochi euro, ho potuto disporre di una stampa italiana dell’epoca ancora incellofanata.
Pubblicato nel 1981, all’indomani della straordinaria fase disco dei Bee Gees (1975-79) e del successo raggiunto col “Guilty” di Barbra Streisand, “Living Eyes” è uno dei dischi più sottovalutati e misconosciuti degli anni Ottanta. Questo perché, dopo la sbornia danzereccia con tanto di febbre del sabato sera, i nostri vennero etichettati come meri fenomeni da classifica, autori d’una musica godibile ma senza spessore. Invece, come sanno tutti i veri appassionati dei Bee Gees, la fase disco dei fratelli Gibb caratterizzò soltanto quegli anni, dopodiché tornarono alla musica che più era loro abituale: un pop di gran classe forte d’un senso innato per le belle melodie. E “Living Eyes”, sfortunato successore del fortunatissimo “Spirits Having Flown” (1979), non fa che confermarlo. Inoltre è un album nel quale ognuno dei fratelli torna a cantare da solista almeno in un pezzo – mentre la fase disco era stata caratterizzata dalla voce di Barry Gibb – e a far sentire in maniera più prominente le proprie capacità strumentali – cosa che vale soprattutto per Maurice Gibb, un po’ oscurato nella fase precedente – nonostante l’impiego di musicisti turnisti di grande livello quali Don Felder – chitarrista degli Eagles – e i batteristi Jeff Porcaro e Steve Gadd. Insomma, “Living Eyes” suona molto più alla maniera classica dei Bee Gees di quanto facciano le celebri canzoni contenute in “Children Of The World” (1976), “Saturday Night Fever” (1977) e nel già ricordato “Spirits Having Flown”.
Già l’iniziale (e omonima) Living Eyes si presenta come una delle più accattivanti canzoni dei Gibb, epica e melodica in egual misura, memorabile per l’uso magistrale dei cori e per un baldanzoso arrangiamento soft-rock. He’s A Liar è invece più movimentata e rockeggiante ma forse è una scelta non proprio azzeccata come primo singolo estratto dall’album. La distesa e calda Paradise è semplicemente una delle canzoni che più amo di questo disco, anzi la metto senza indugio fra le canzoni più belle dei Bee Gees, mentre Don’t Fall In Love With Me figura Robin Gibb alla voce solista, in quella che è una delicata ballata pianistica. Se con l’epica Soldiers ritroviamo il caratteristico falsetto di Barry, il tutto accompagnato da scintillanti chitarre acustiche, in I Still Love You torna invece protagonista la voce di Robin, alle prese con una gentile ed appassionata canzone d’amore. Wildflower è un’altra delle mie preferite, con Maurice al canto solista in un brano pop-rock (perlopiù acustico) d’immensa classe. Barry – che comunque canta la maggior parte delle canzoni – si ripropone in Nothing Could Be Good: introdotta da pianoforte e orchestra, ecco una rilassata e calda canzone, fra le migliori lente mai proposte dai Bee Gees.
Cryin’ Every Day, terzo brano a figurare Robin alla voce principale, è la canzone di questo disco che meno apprezzo, soprattutto per via del suo arrangiamento più elettronico che sembra stridere un po’ col resto dell’album. In realtà Cryin’ Every Day anticipa una precisa scelta stilistica che lo stesso Robin (coadiuvato da Maurice) intraprenderà per i suoi tre dischi solisti degli anni Ottanta. La conclusiva Be Who You Are è introdotta da una lunga parte orchestrale (una sinfonia di due minuti dove si riconoscono i temi principali di Soldiers, Wildflower e Paradise), poi il tutto si trasforma in una malinconica e maestosa ballata, caratterizzata in vari punti da un uso più tenorile della voce di Barry. E’ una splendida chiusura per un album, questo “Living Eyes”, che scorre via che è una bellezza, regalandoci tante emozioni.