Lou Reed, “Berlin”, 1973

lou-reed-berlin-immagine-pubblica-blogQuesto è uno di quei dischi che sentirò sì & no due volte l’anno, seppur non ho alcuna intenzione di separarmene. Sì, perché deprimente è deprimente. E’ stato più volte votato come uno degli album più tristi mai pubblicati, e concordo con l’opinione generale. Sto parlando di “Berlin”, uno dei grandi capolavori solistici di Lou Reed, e uno dei dischi di più difficile catalogazione e valutazione.

All’epoca, quando uscì sul mercato discografico nel lontano 1973, “Berlin” fu un flop clamoroso, ancor di più se paragonato al successo ottenuto dall’album precedente, “Transformer“. C’è da dire che “Berlin” – che commerciale non lo è per niente – ebbe una gestazione travagliata: il progetto originale prevedeva un doppio elleppì, per una durata complessiva del lavoro prossima alle due ore. La casa discografica, la RCA, intuendo lo scarso appeal commerciale del disco, intimò a Lou Reed e al produttore Bob Ezrin di accorciare notevolmente l’album. Ed ecco quindi il triste concept album di Lou Reed – sulla coppia tossica Jim & Caroline nella Berlino all’ombra del muro – ridotto a cinquanta minuti scarsi, con tutto ciò che ne conseguì.

Come altre opere legate a Lou Reed, però – in primis penso al debutto discografico dei Velvet Underground, quello dalla celebre copertina con la banana – anche “Berlin” suonava un po’ troppo avanti per i suoi tempi e così, col passare degli anni, l’album ha finalmente ottenuto quello status di grande opera rock che oggi tutti (critici e semplici appassionati) gli riconoscono. In particolare, nel 2007, Reed è andato in giro per il mondo con la riproposizione dal vivo del suo “Berlin”, suonandolo nella versione lunga originariamente concepita.

Ma che cos’ha “Berlin” che non va? Niente, solo che è sostanzialmente lento, triste, cupo, parla di droga, di suicidio, di prostituzione, di disperazione e di allontanamento dei bambini dalla custodia dei propri genitori, il tutto condito da una certa dose di cinismo, tipica dell’autore. Dal punto di vista musicale suona quasi come una lunga suite nella quale sono abilmente fusi elementi blues, rock, progressive e cabarettistici. Gli arrangiamenti sono curatissimi – Boz Ezrin in questo è un mago – e i musicisti che vi prendono parte sono bravissimi (fra cui Jack Bruce dei Cream, Steve Winwood, i fratelli Michael e Randy Brecker, e Tony Levin) e l’ascolto dell’album è tutto fuorché indifferente.

Il problema principale è che un disco come “Berlin” non lo si mette come sciocco sottofondo mentre, che so, pittiamo una parete, così come non lo ascoltiamo mentre siamo alla guida o, peggio ancora, diamo una festicciola in casa. “Berlin” è un album che richiede attenzione, interesse e voglia d’immergersi nei bassifondi dell’umana coscienza. Prendetevi cinquanta minuti di tempo, spegnete il cellulare, abbassate le tapparelle e mettetevi comodi, queste sono le dieci canzoni che compongono l’album…

  1. Berlin
  2. Lady Day
  3. Men Of Good Fortune
  4. Caroline Says I
  5. How Do You Think It Feels
  6. Oh, Jim
  7. Caroline Says II
  8. The Kids
  9. The Bed
  10. Sad Song

… e buon ascolto! – Matteo Aceto

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I supergruppi

Traveling Wilburys George Harrison Bob DylanForse il termine non suscita simpatia ma, per supergruppo, s’intende comunemente una band formata da due o più componenti illustri provenienti da altre band. La storia del rock annovera diversi supergruppi ma la loro costituzione sembra aver preso piede soprattutto dagli anni Ottanta ad oggi. Vediamone alcuni, cercando di procedere in ordine cronologico.

Il titolo di primo supergruppo sembra spettare ai Blind Faith, composti da membri dei Cream (Eric Clapton e Ginger Baker) e dei Traffic (Steve Windood), formatisi e disciolti nel 1969 con un solo album all’attivo. Poi fu la volta della Plastic Ono Band, un gruppo che John Lennon e Yoko Ono formarono insieme a Eric Clapton e a George Harrison, sebbene svolgesse un’attività occasionale tra il 1969 e il 1970. Di supergruppi pop-rock nati negli anni Settanta non me ne sovviene nessuno, credo che comunque non ve ne siano stati molti, per cui passo agli anni Ottanta.

Nel 1982 nascono i Lords Of The New Church (componenti dei Dead Boys e dei Damned), nel 1983 nascono invece i Glove (membri dei Cure e dei Siouxsie And The Banshees), nel 1984 debuttano i Dalis Car (componenti dei Japan e dei Bauhaus) e i Chequered Past (membri dei Sex Pistols e dei Blondie), nel 1985 fanno la loro comparsa i Power Station (voce di Robert Palmer e musicisti dei Duran Duran e degli Chic), mentre nel 1986 è la volta dei GTR (membri dei Genesis e degli Yes) e ancora nel 1989 degli Electronic (componenti dei New Order, degli Smiths e dei Pet Shop Boys).

Nel 1988 hanno fatto la loro prima comparsa, con l’album “The Traveling Wilburys, Vol. 1”, i Traveling Wilburys (nella foto sopra), un super-supergruppo direi, giacché formato da George Harrison dei Beatles con Bob Dylan, Roy Orbison, Tom Petty e Jeff Lynne della Electric Light Orchestra.

Passando agli anni Novanta, nel ’95 debuttano i Mad Season (formati da componenti di Alice In Chains e Pearl Jam), mentre l’anno dopo è la volta dei Neurotic Outsiders (membri dei Sex Pistols, dei Cult, dei Guns N’ Roses e dei Duran Duran). Di altri non ricordo…

Mi sembra più produttivo il decennio in corso: già nel 2000 debuttano i Damage Manual (componenti dei PiL, dei Killing Joke e dei Ministry), nel 2002 esordiscono con alcune canzoni distribuite in rete i Carbon/Silicon (componenti dei Clash e dei Sigue Sigue Sputnik) e con una distribuzione in grande stile, invece, debuttano gli Audioslave (musicisti dei Rage Against The Machine e voce dei Soundgarden). Nel 2004 è la volta dei Velvet Revolver (musicisti dei Guns N’ Roses e cantante degli Stone Temple Pilots), mentre il 2006 ha segnato il debutto ufficiale dei The Good, The Bad And The Queen (componenti dei Clash, dei Blur e dei Verve).

Nella storia della musica moderna si sono visti numerosi esempi di supergruppi costituiti apposta per un singolo evento o brano: è il caso dei Band Aid, che nel 1984 hanno pubblicato il singolo Do They Know It’s Christmas?, e degli U.S.A. For Africa, che l’anno dopo hanno pubblicato il singolo We Are The World. Entrambi nati per scopi benefici, i primi (di origine angloirlandese) sono nati dall’iniziativa di Bob Geldof e Midge Ure (che hanno coinvolto, tra i tanti, Sting, Phil Collins, Paul Weller, Paul Young, Boy George, i Duran Duran, gli U2 e George Michael), i secondi (americani) sono nati invece dall’iniziativa di Michael Jackson e Lionel Richie (coinvolgendo un cast stellare formato, fra i tanti, da Ray Charles, Stevie Wonder, Bruce Springsteen, Bob Dylan, Tina Turner, Paul Simon e Diana Ross).

Poi ci sono dei supergruppi a ritroso, nel senso che dal gruppo originario, magari anche di successo, siano usciti fuori dei componenti di altrettanto (se non maggior) successo: mi vengono in mente i Genesis (che hanno ‘generato’ Peter Gabriel, Phil Collins ma anche i Mike & The Mechanics) e i Faces (nei quali hanno militato Ron Wood, dal ’75 ad oggi con i Rolling Stones, e Rod Stewart). Ma se ci pensiamo bene anche i Beatles sono stati un supergruppo a ritroso… in quale altra band si trovano Paul McCartney e John Lennon sotto lo stesso tetto?! Per giunta con un George Harrison che diventava sempre più bravo e che, giustamente, scalpitava per avere più voce in capitolo. Questa, però, è già materia per un altro post.