The Clash, “The Clash”, 1977

the-clash-primo-album-omonimoQuesto 2007 ha segnato importanti anniversari discografici, celebrati chi più chi meno dalla stampa specializzata (e con molta più umiltà & meno pretese dal sottoscritto): “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (1967) dei Beatles, “Velvet Underground & Nico” (1967) dei Velvet Underground, “The Doors” (1967) dei Doors, “The Piper At The Gates Of Dawn” (1967) dei Pink Floyd, ma anche “Exodus” (1977) di Bob Marley & The Wailers, “Never Mind The Bollocks” (1977) dei Sex Pistols, la colonna sonora di “Saturday Night Fever” (1977, quella coi pezzi dei Bee Gees per intenderci), ma pure “Appetite For Destruction” (1987) dei Guns N’ Roses.

Io a questa lista aggiungerei anche “Low” e “Heroes” di David Bowie, “The Idiot” di Iggy Pop, “News Of The World” (1977) dei Queen (è quel disco che contiene We Are The Champions e We Will Rock You, avete presente?), “The Clash” (1977) dei Clash, “…Nothing Like The Sun” (1987) di Sting, “Sign ‘O’ The Times” (1987) di Prince, e “Bad” (1987) di Michael Jackson: alcuni di essi li ho già recensiti alla bellemmeglio su questo blog, di altri mi piacerebbe parlare in post futuri, mentre di “The Clash” parlerò subito, riciclando idee già scritte in un mio vecchio post.

“The Clash”, album di debutto dei Clash, fu il secondo grande album punk a vedere la luce in Gran Bretagna, nel corso del 1977, l’anno che sancì l’affermarsi nelle classifiche riservate al pop-rock di una nuova & ruvida sonorità, il punk per l’appunto. Iniziarono a febbraio i Damned di Brian James e Captain Sensible con l’album “Damned Damned Damned”, ad aprile seguirono i nostri con “The Clash” e completarono la trilogia di classici punk i Sex Pistols, col fondamentale “Never Mind The Bollocks”, pubblicato a novembre, anche se era pronto già da diversi mesi prima.

A partire dal 12 febbraio 1977, nel corso di tre lunghi weekend giovedì-domenica, i Clash e il produttore Mickey Foote (lo stesso tecnico del suono che accompagnava la band nei concerti) sono impegnati per l’incisione del loro album d’esordio agli studi londinesi della CBS . L’atteggiamento assunto dai Clash nei confronti del personale in studio è di aperta sfida: all’epoca la CBS era la casa discografica più grande al mondo e i Clash la vedevano come una sorta di multinazionale alla quale opporsi per non farsi fagocitare. Joe Strummer preferisce incidere le sue parti vocali quando il resto del gruppo non c’è: canta rivolto contro il muro e al contempo suona la sua chitarra ritmica. Evidentemente, secondo lui, ciò era il solo modo possibile per ricreare in studio una sua performance dal vivo; tuttavia la sua voce non è nelle condizioni ottimali, dato che Joe accusava dei noduli alla gola.

Pare, inoltre, che molto del suo contributo strumentale sia stato sostituito a sua insaputa dalla chitarra di Mick Jones, che è il componente dei Clash che, in fin dei conti, più si adatta all’ottica lavorativa in studio: utilizza tre diverse chitarre e collabora col fonico per la resa ottimale dei suoni. Mick dirige anche le operazioni dei compagni: in particolare, insegna a Paul Simonon quali parti di basso deve eseguire… Paul, infatti, aveva le note disegnate sulla tastiera del suo strumento! Contrariamente ad alcune dicerie, però, Simonon eseguì effettivamente le sue parti di basso. C’è da dire, comunque, che il suono di basso che si ascolta per tutto il disco è piuttosto pronunciato e contribuisce enormemente alla definizione del sound complessivo in “The Clash”.

Terry Chimes, già ufficialmente fuori dai Clash, è stato il membro della band meno collaborativo: s’è limitato ad eseguire le istruzioni impartite dagli altri & a suonare le sue parti di batteria correttamente. Si discute, invece, sull’effettivo ruolo del produttore Mickey Foote: anche se Mick Jones abbia potuto svolgere un ruolo di produttore di fatto, a Foote si deve riconoscere quantomeno l’importante ruolo da lui assunto di cuscinetto tra l’aggressività dei Clash in studio e i tecnici della casa discografica, per la prima volta alle prese con la musica punk e i suoi stilemi (ricordiamoci che a quei tempi la CBS andava forte con gente come gli ABBA…).

Per quanto riguarda le singole canzoni, invece…

1) L’iniziale Janie Jones è dedicata ad una nota ‘signora’ londinese: è un brano carico di ruvida urgenza, cantato perlopiù coralmente, mentre negli ultimi ventitré secondi esplode la sola voce di Mick.

2) Remote Control, un duetto tra Mick e Joe, è il brano più convenzionalmente rock dell’album: perciò è stato scelto come secondo singolo dalla CBS (ad insaputa dei Clash che s’incazzarono parecchio).

3) I’m So Bored With The U.S.A. parla dell’americanizzazione della Gran Bretagna e dei suoi costumi; originariamente la canzone era intitolata I’m So Bored With You ed in effetti è questa la frase che cantano Mick e Paul nei cori.

4) La versione di White Riot contenuta nel disco risulta più grezza all’ascolto rispetto a quella pubblicata su singolo qualche tempo prima: è diversa sia nella strumentazione e sia nel cantato, inoltre non prevede gli effetti (sirena, vetro infranto, allarme antincendio, ecc.) usati per il singolo.

5) Hate & War è un brano cantato perlopiù da Mick e cita l’opposto dell’ideale hippy di ‘peace & love’: la situazione non è certamente vista come positiva, bensì viene criticata come segno dei tempi che rende più difficile la vita dei ragazzi.

6) Tranne Police & Thieves (che vedremo fra poco), tutte le canzoni di questo disco sono accreditate alla coppia Strummer/Jones, mentre la breve & coinvolgente What’s My Name? reca un credito di composizione anche per Keith Levene, chitarrista nei Clash fino al settembre ’76. Intervistato in anni recenti, Levene ha affermato che, pur non piacendogli l’album, avrebbe dovuto spettargli lo status di coautore con Strummer & Jones in tutte le canzoni contenute in “The Clash”. Chissà…

7) Deny presenta una struttura più complessa: il tempo cambia più volte dopo il ritornello, mentre a poco più di un minuto dalla fine la voce di Mick s’intreccia al canto rabbioso di Joe.

8) London’s Burning è uno dei pezzi più rappresentativi dell’album: la dichiarazione iniziale di Strummer che sembra asserire un dato di fatto (e il rullare dei tamburi rafforza il tutto), mentre il ritornello corale ad opera di Mick e Paul, l’assolo di chitarra supportato dalle frasi gridate di Joe, e il pestare della batteria di Terry rendono il finale di questa canzone davvero esplosivo.

9) Career Opportunities presenta una complessità atipica per gli standard punk: questo come altri brani dell’album fanno intendere chiaramente che i Clash hanno (e avranno) molto più da dire rispetto ai loro colleghi e rivali musicali.

10) Cheat, a mio parere, è il brano meno riuscito del disco: le idee ci sono (come l’effetto di phaser sul finale) ma evidentemente i tempi ristretti di lavoro e la difficoltà dei Clash ad ambientarsi in un ambiente non familiare come quello dei CBS Studios hanno fatto la loro parte.

11) Protex Blue è un puro brano punk, una canzone ricca di vitalità dove Mick canta uno dei primi testi che ha scritto.

12) Eccoci quindi alla cover di Police & Thieves, un pezzo reggae di Junior Marvin: seppur aggiunta per dare più corpo all’album (dura la bellezza di sei minuti), tutti i Clash si dimostrarono entusiasti del risultato finale, in particolare colpisce l’efficace arrangiamento per due chitarre che Mick s’è inventato.

13-14) 48 Hours presenta un grande coro a tre voci e un assolo di chitarra piuttosto rock ‘n’ roll, mentre Garageland è il malinconico brano di chiusura con tanto di armonica a bocca; il testo è una risposta al famigerato articolo di chi voleva rispedire i Clash al garage lasciando il motore acceso.
“The Clash” raggiunse piuttosto in fretta il 12° posto della classifica britannica: trattandosi d’un nuovo sound proposto da una nuova band, il risultato è sbalorditivo e la dice lunga sulla voglia di cambiamento che i giovani inglesi del tempo cercavano nel panorama musicale.

E per finire, alcune curiosità…
La strategia promozionale per “The Clash” era congiunta al magazine New Musical Express: le prime 10mila copie del disco contenevano un adesivo rosso da applicare a un tagliando pubblicato sul numero di aprile di NME, così da ottenere gratuitamente il singolo Capital Radio.
“The Clash” è stato pubblicato negli USA dalla Epic il 23 luglio 1979 con una scaletta differente: alle prime copie era anche allegato il singolo Gates Of The West / Groovy Times. Poche altre band sono state generose quanto i Clash.

– Matteo Aceto

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Mick Jones

mick-jones-the-clash-big-audio-dynamiteMichael Geoffrey Jones (Londra, 26 giugno 1955), musicalmente noto come Mick Jones, è stato il vero motore dei Clash, il principale architetto del sound del gruppo. A lui si deve l’evoluzione musicale della storica band inglese, dal furioso punk degli esordi con “The Clash” (1977) alle sonorità dance e funky di “Combat Rock” (1982), passando per i generi più disparati quali reggae, ska, soul, hip-hop, rap, rhythm ‘n’ blues e rockabilly. Nella sua immaginazione, non c’erano barriere che la musica dei Clash non avrebbe potuto sfondare; eppure il buon Mick ha dovuto vedersela con gli altri due leader della band, ovvero Joe Strummer e Paul Simonon, che nel 1983 hanno preferito buttarlo fuori dal gruppo e tornare ad un punk rock tanto anacronistico quanto banale negli intenti.

Figlio d’un tassista londinese e d’una madre d’origine ebrea fuggita dalle persecuzioni nella sua terra d’origine, la Russia, il piccolo Mick è stato allevato dalla nonna materna, Stella, dopo che il matrimonio dei Jones è andato in frantumi nel 1963. Abbandonato dalle persone che più avrebbero dovuto stargli vicino, Mick ha trovato conforto nella musica: una passione sconfinata per artisti quali Beatles, Rolling Stones, Cream, Jimi Hendrix, The Who, Mott The Hoople, David Bowie e più tardi New York Dolls lo ha convinto ben presto a comprarsi una chitarra e a fondare varie band con gli amici. Il suo cammino artistico giunge ad una svolta nel 1975, quando conosce Tony James, bassista col quale fonda i London S.S., e Bernie Rhodes, consociato in affari di Malcom McLaren, proprietario del Sex, la nota boutique alla moda londinese e manager dei New York Dolls.

Bernie, in una sorta di competizione artistica ma anche ideologica col suo partner McLaren, in procinto di lanciare il fenomeno Sex Pistols, decide di diventare il manager dei London S.S., divenendone in breve tempo anche il direttore d’immagine, l’ideologo e il talent scout per i nuovi membri del gruppo. Iniziano così una serie di audizioni che faranno dei London S.S. una band leggendaria per le origini della musica punk: nelle sue fila passeranno i prossimi membri dei Clash (Terry Chimes, Keith Levene, Topper Headon) ma anche future star come Brian James e Rat Scabies (che di lì a poco formeranno i Damned). Mick sarà costretto a separarsi da Tony James (mai abbastanza gradito da Bernie), anche se i due resteranno sempre amici, tanto che nei primissimi anni del successo coi Clash, Mick e Tony vanno a vivere sotto lo stesso tetto.

Con James fuori, il nome del gruppo cambia in The Young Colts, composto da Mick, dal chitarrista Keith Levene e dall’aspirante bassista Paul Simonon (Mick lo conobbe nel corso di un’audizione dei London S.S., rimanendo colpito dal suo look da rude-boy londinese… dovrà comunque insegnargli a suonare il basso). Il biennio 1976-77 è un periodo carico di novità che si susseguono rapidamente: i Young Colts propongono a Joe Strummer, il carismatico leader d’una pub-band chiamata The 101ers, di unirsi al gruppo come cantante. Joe, pressato da Bernie, finirà con l’accettare e la band, costituita a questo punto da Mick Jones, Keith Levene, Paul Simonon, il batterista Terry Chimes e quindi Strummer, assume il nome The Clash e vola verso la leggenda.

Gli anni che discograficamente hanno visto attivo Mick Jones nei Clash (1977-82) disegnano un paesaggio sonoro in continua evoluzione artistica che ha dato vita a tre capolavori indiscussi del rock, ovvero gli album “London Calling” (1979), “Sandinista!” (1980) e “Combat Rock” (1982). Tutti quelli che hanno conosciuto da vicino il mondo dei Clash ricordano Mick come il componente del gruppo più professionale, quello più interessato alle tecniche di produzione in studio, nonché quello che musicalmente era sempre al passo coi tempi. Aveva anche un carattere difficile che nei momenti di tensione tendeva a chiudersi in se stesso e a farne un divo capriccioso & intrattabile. I Clash si sono sempre considerati come una gang e come tale si comportavano ma, col tempo, Joe e Paul hanno iniziato ad accusare il comportamento da star che tendeva ad assumere Mick: questa frizione diventa sempre più insanabile e così i due (su pressioni di Bernie) forzano l’uscita di Mick dai Clash nella tarda estate del 1983.

Jones non resta con le mani in mano e di lì a poco progetta già una nuova band: per un breve periodo si unisce ai General Public, dopodiché crea i TRAC che debuttano nel 1984 a nome di Big Audio Dynamite. La storia dei B.A.D. è bella & affascinante e testimonia sulla lunga distanza che, musicalmente parlando, Mick aveva ragione su Joe e Paul. Terminato il progetto B.A.D. (dopo varie incarnazioni chiamate Big Audio Dynamite II e Big Audio), sul finire degli anni Novanta, Mick ha ripreso a scrivere canzoni con Joe Strummer e si è distinto nella produzione di altri artisti (recentemente per i Libertines e i progetti solistici di Pete Doherty, ma in passato anche per il suo idolo Ian Hunter, la cantante americana Ellen Foley, con la quale Mick ha vissuto una storia sentimentale, i Theatre Of Hate e altri).

Dal 2002, Mick Jones è tornato in prima linea coi Carbon/Silicon, una nuova band creata col suo amico di sempre, Tony James. Inizialmente il gruppo ha iniziato a distribuire la propria nuova musica in download gratuito, anticipando band più acclamate come i Radiohead, dopodiché, nel corso del 2007 ha debuttato nel tradizionale mercato discografico con un primo album, “The Last Post”, che si avvale anche di Leo Williams, al fianco di Mick nella prima e più esaltante fase dei Big Audio Dynamite. Infine, proprio questi ultimi, saranno oggetto di una clamorosa reunion all’inizio del 2011, nella formazione originale. [ultimo aggiornamento: 2 aprile 2011] – Matteo Aceto

The Clash: storia e discografia

the-clash-immagine-pubblicaDopo tanto parlare dei singoli componenti del gruppo e dei dischi pubblicati, ecco una breve storia di una delle più grandi ed influenti band della storia, The Clash.

La formazione ‘classica’ era composta dal seguente quartetto: Mick Jones (chitarra e voce), Joe Strummer (voce e chitarra), Paul Simonon (basso e voce) e Nicky ‘Topper’ Headon (batteria). Come vedremo tra poco, tuttavia, non fu sempre questa la formazione dei Clash, giacché essa nacque e si sciolse definitivamente come quintetto. Infatti, quando la band venne formata, nel giugno 1976, era composta dai seguenti: Jones, Strummer e Simonon come sopra, più Keith Levene (chitarra) e Terry Chimes (batteria).

Il 4 luglio, poi, i Clash debuttarono dal vivo, al Black Swan di Sheffield (Gran Bretagna) come supporter degli emergenti Sex Pistols, ma già a settembre si verificò un importante cambiamento: Levene venne allontanato e così i Clash diventarono un quartetto. E’ con questa formazione (Jones, Strummer, Simonon e Chimes) che i Clash debuttano discograficamente, il 18 marzo 1977, col singolo White Riot, mentre il primo album, l’omonimo “The Clash“, vede la luce di lì a poco, l’8 aprile. In realtà, Chimes era già fuori dal gruppo e accettò di suonare nei dischi solo per un favore personale; è per questo che non compare in copertina, mentre il suo nome viene accreditato malignamente come ‘Tory Crimes (crimini dei membri del partito conservatore, i Tories).

E’ a questo punto che fa la sua comparsa il bravissimo Topper Headon, senza dubbio uno dei batteristi più abili e versatili che il rock abbia mai contemplato. I Clash se ne accorgono subito e con lui possono decollare: il loro secondo album, “Give ‘Em Enough Rope” (novembre ’78), vola al 2° posto della classifica britannica, mentre dal 1979 al 1982 la band realizza tre dei più grandi dischi di tutti i tempi, ovvero “London Calling” (1979), “Sandinista!” (1980) e “Combat Rock” (1982). Questi tre album segnano indubbiamente il periodo d’oro dei Clash, dopodiché inizierà un lento declino.

Declino che prende corpo già nel corso del 1982, con l’allontanamento di Topper: debilitato da una gravissima tossicodipendenza, Headon cedette così il posto a Terry Chimes, che per la seconda volta rientra nella band (nel frattempo Terry aveva suonato con diversi gruppi della scena punk inglese, tra cui i Generation X di Billy Idol). Con Terry, i Clash completano il tour internazionale conseguente all’uscita del fortunato “Combat Rock“, ma nel 1983 la band giunge ad un punto morto. Le sessioni per un nuovo album procedono lentamente e in mezzo a tensioni crescenti: Chimes decide di buttare la spugna (sarà sostituito dal giovane Pete Howard) mentre, nel corso dell’estate, Strummer e Simonon estromettono Mick Jones.

La perdita di Jones è gravissima perché il buon Mick era il principale autore delle musica della band e, di fatto, il responsabile del ‘Clash sound’. Joe e Paul decisero coraggiosamente di andare avanti, reclutando altri due giovani componenti, i chitarristi Vince White e Nick Sheppard. Questa formazione dei Clash (Strummer, Simonon, White, Sheppard e Howard), nuovamente un quintetto, segnerà quindi l’ultimo atto della storia della band, culminato nel 1985 con la pubblicazione del controverso “Cut The Crap“, sesto ed ultimo album da studio dei Clash. Nel 1986 la band già non esiste più, consegnandosi definitivamente alla storia della musica contemporanea. – Matteo Aceto

 

Joe Strummer: l’anima dei Clash

John Graham Mellor (Ankara, 20 agosto 1952 – Londra, 22 dicembre 2002), al secolo Joe Strummer, è il cantante carismatico dei Clash, riconoscibilissimo per il suo piglio da arrabbiato e per la sua voce roca. Joe è nato in Turchia perché all’epoca suo padre, funzionario inglese del Ministero degli Esteri, aveva una carriera itinerante che lo portava a percorre il confine tracciato dalla Guerra fredda: e così, dopo la nascita di Joe, la famiglia Mellor vive tra Turchia, Egitto, Messico e Germania Ovest.

Nei primi anni Sessanta, tuttavia, i coniugi Mellor mettono i loro due figli in un collegio inglese: l’esperienza dura l’intero decennio e, nonostante il senso di abbandono provato dai due ragazzi, Joe sfoga la sua carica ribelle in una nuova passione, la musica. Tuttavia sarà un fatto tragico a dargli quella spinta definitiva per gettarsi nella musica: nel 1970, suo fratello David si suicida, proiettando sul giovane Joe una lunga ombra dalla quale non si libererà mai.

Rotti i rapporti con la famiglia, Joe inizia a condurre una vita errabonda in giro per l’Inghilterra (e occasionalmente per l’Europa), spesso in compagnia dell’amico Tymon Dogg (che più tardi collaborerà a più riprese sia coi Clash che con l’ultima band di Joe, The Mescaleros). In omaggio al suo idolo folk Woody Guthrie, Joe assume il nome d’arte di Woody Mellor e nei primi anni Settanta diventa il leader d’una formazione, The Vultures, nata nei pressi di Newport da un’accolita di studenti e di squatter. Nell’estate del 1974, Joe è nuovamente a Londra, con ormai i Vultures alle spalle: si trasferisce con amici in uno squat sito al 101 di Walterton Road. Da qui nascerà The 101ers, una formazione di ruvido soul-rock che entro un paio d’anni riesce a farsi un certo nome tra i locali alternativi londinesi e a pubblicare un singolo, Keys To Your Heart (giugno ’76). L’esperienza nei 101ers si rivela fondamentale per Joe perché è in seno ad essi che compone le sue prime canzoni professionali ed impara a catalizzare su di sè l’attenzione del pubblico. Adotta anche un nuovo nome d’arte, quello definitivo di Joe Strummer, ‘strimpellatore’, per via della sua tecnica basilare alla chitarra. Joe si accorge però che i tempi stanno cambiando inesorabilmente, convincendosi ulteriormente quando ha modo di assistere alle esibizioni degli emergenti Sex Pistols (la band di Johnny Rotten e soci fece da supporto agli 101ers nella primavera del ’76). Lo stile di Joe sul palco, già carismatico di suo, diventa così ancora più grintoso e arrabbiato, cosa che attira le mire d’un ambizioso gruppo emergente, The Young Colts – formati da Mick Jones, Keith Levene, Paul Simonon e Terry Chimes – e dal loro manger, Bernie Rhodes, che più volte invitano Joe ad unirsi alla nuova band in qualità di cantante.

Nonostante gli 101ers fossero in procinto d’incidere un album, Strummer manda tutto alle ortiche ed accetta la proposta (anzi, fu un ultimatum!) d’unirsi a quel gruppo che, quindi, adotta il nome The Clash e decolla verso la leggenda. Nei Clash, Joe sarà il principale responsabile dei testi delle canzoni, e quindi assumerà il ruolo dell’ideologo della band, della rockstar vicina alla gente, agli emarginati e agli oppressi del mondo. Del resto, chiunque abbia avuto la fortuna di conoscere Joe, ha messo in risalto la sua straordinaria umanità, la sua naturale predisposizione all’ascolto delle persone. Joe ha dovuto però fare i conti col successo dei Clash e con l’esuberante personalità del partner Mick Jones: istigati da Bernie Rhodes, Joe e Paul decidono quindi di fare fuori Mick nel 1983 e di proseguire come Clash dopo aver rivitalizzato la band con dei giovani componenti. L’esperienza dura una manciata d’anni, con uno Strummer disilluso che decide di abbandonare i Clash al loro destino al termine del 1985. Ma per il nostro sono anche anni di profondi cambiamenti personali: entrambi i genitori di Joe muoiono in quel periodo, mentre la sua compagna, Gaby, gli dà una figlia. Per Joe è anche tempo di rinunciare alla sua vita di squatter e di assumere un profilo artistico (ma anche umano) più maturo.

Ricuce allora lo strappo con Mick Jones scrivendo & producendo con lui il secondo album della sua nuova band, Big Audio Dynamite, tentando anche inutilmente di convincerlo a rifondare i Clash con Paul Simonon. Tra il 1986 e il 1988, Joe tiene un basso profilo ma è straordinariamente attivo: scrive le musiche di varie colonne sonore (“Sid & Nancy”, “Walker”, “Straight To Hell” e “Permanent Record”), recita in alcuni film indipendenti e inoltre forma i Latino Rockabilly War, un gruppo col quale effettua un tour per la Gran Bretagna nell’estate del 1988. Nel 1989, Joe debutta col suo primo vero album da solista, “Earthquake Weather”, anche se nel corso degli anni Novanta riassume un ruolo di basso profilo (per lo più come produttore, qui ricordo il suo lavoro per i Pogues e i Black Grape).

Ritorna alla grande con una nuova band, denominata Joe Strummer & The Mescaleros, con la quale debutta nel 1999 con l’album “Rock Art And The X-Ray Style”. Segue “Global A Go Go” (2001, dedicato allo scomparso Joey Ramone), con entrambi gli album supportati da fortunati tour internazionali. Purtroppo la morte colpirà Joe nel bel mezzo di questa ritrovata attività artistica: un arresto cardiaco lo stronca infatti nella sua casa londinese il 22 dicembre 2002. All’indomani della sua morte, le maggiori rockstar mondiali avranno parole di cordoglio e di riconoscenza per quella figura assolutamente unica che è stata Joe Strummer. (ultimo aggiornamento: 19 febbraio 2008) – Matteo Aceto

The Clash, “Give ‘Em Enough Rope”, 1978

the-clash-give-em-enough-rope-immagine-pubblicaGIVE ‘EM ENOUGH ROPE
CBS, 8 novembre 1978

NOTE
Secondo album da studio dei Clash, dura 36′ e 57”.

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori), Topper Headon (batteria).

ALTRI MUSICISTI
Stan Bronstein (sax), Al Lanier (piano).

PRODUZIONE
Sandy Pearlman.

STUDIO
Utopia Studios, Basing Street Studios (Londra), Automatt Studio (San Francisco) e Record Plant (New York).

BRANI
1. Safe European Home (Joe Strummer, Mick Jones) 2. English Civil War (Traditional, arrangiato da Joe Strummer e Mick Jones) 3. Tommy Gun (Joe Strummer, Mick Jones) 4. Julie’s Been Working For The Drug Squad (Joe Strummer, Mick Jones) 5. Last Gang In Town (Joe Strummer, Mick Jones) 6. Guns On The Roof (Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon, Topper Headon) 7. Drug-Stabbing Time (Joe Strummer, Mick Jones) 8. Stay Free (Joe Strummer, Mick Jones) 9. Cheapskates (Joe Strummer, Mick Jones) 10. All The Young Punks (New Boots And Contracts) (Joe Strummer, Mick Jones)

STORIA/RECENSIONE
Nel gennaio 1978, al ritorno di Joe e Mick dalla Giamaica (dove erano stati per un paio di settimane in cerca d’ispirazione), la band inizia già a provare del nuovo materiale, pare una quindicina di nuove canzoni. In quel momento Paul si trovava in Russia per una breve vacanza e così è Mick a suonare il basso in queste prime prove (quando Paul torna gli danno i nastri per fargli imparare le sue parti, con Mick che gli fornisce le dovute indicazioni). Topper, che lavora per la prima volta con del materiale originale dei Clash (ricordiamolo, il batterista aveva sostituito Terry Chimes nell’aprile ’77, dopo che questi aveva suonato nel primo album del gruppo, “The Clash”), si rivela fin da subito un preziosissimo collaboratore musicale che impara in fretta le proprie parti. Ai primi di febbraio, i Clash e Sandy Pearlman (il produttore storico dei Blue Oyster Cult) si trovano ai CBS Studios per incidere un demo del nuovo materiale: di lì a poco le sessioni sono però sospese perché a Joe viene diagnosticata una forma d’epatite che lo costringe al ricovero in ospedale. Le sessioni riprendono quindi ai primi di marzo, ai Marquee Studios, stavolta con Mick come produttore (in attesa del ritorno di Pearlman dagli USA): in realtà i Clash scrivono e incidono dei brani nuovi che non saranno inclusi nell’album. Sandy Pearlman torna a Londra in aprile e così i Clash possono incidere due versioni demo di “Give ‘Em Enough Rope”, una prodotta da Mick e l’altra da Sandy ed incisa agli Utopia Studios (la parte definitiva di batteria viene comunque incisa in quest’occasione). Dopo un paio di giorni, le sessioni si trasferiscono ai Basing Street Studios di Notting Hill ma iniziano ‘seriamente’ soltanto a maggio. L’uscita di questo secondo album del Clash era prevista per settembre ma pare che la CBS inglese non fosse favorevolmente impressionata dal nuovo materiale e che, comunque, non lo ritenesse abbastanza appetibile per il pubblico americano. Tra luglio e agosto, i Clash sono impegnati col tour On Parole, al termine del quale Joe e Mick volano con Pearlman a San Francisco per dare così i necessari ritocchi all’album nello studio Automatt (Paul e Topper avevano già completato le loro parti per cui non sono invitati in America). Qui Mick e Sandy collaborano per creare un nuovo strato di chitarre (comprano anche una Les Paul del ’54), inoltre vengono effettuati degli editing sul materiale già inciso, come nel caso di Tommy Gun, che consiste in tre frammenti presi da altrettante incisioni e unite tra loro. Il lavoro di sovraincisioni per chitarre e voci eseguito da Mick e Joe dura quindi tre settimane, dopodiché a fine agosto tutto il lavoro viene sottoposto alla CBS americana. Ma anche in questo caso il risultato non convince appieno: nonostante la riluttanza di Mick e Joe, i lavori continuano e subiscono un nuovo trasferimento, stavolta sulla costa opposta degli States, ovvero i celebri studi Record Plant di New York. Ormai è settembre e il lavoro procede spedito, con tanto di sovraincisioni finali: il piano honky-tonk su Julie’s Been Working For The Drug Squad suonato da Al Lanier dei Blue Oyster Cult e il sax in Drug-Stabbing Time suonato da Stan Bronstein (noto turnista che aveva collaborato pure con John Lennon). Dopodiché, Topper e Paul giungono a New York per ascoltare il risultato finale. “Give ‘Em Enough Rope” viene finalmente pubblicato a novembre e raggiungerà uno strepitoso 2° posto nella classifica britannica. Tuttavia delude la critica e parte dei fan a causa del suono troppo pulito e levigato che poco o nulla concede alla spontaneità tipica dei Clash. Personalmente, questo “Give ‘Em Enough Rope” è l’album dei Clash che apprezzo di meno: anche per le mie orecchie il suono complessivo è fin troppo edulcorato per rappresentare la grinta di una band come i Clash, inoltre penso che la maggior parte delle canzoni non sia abbastanza sostanziosa e che i nostri non si trovassero in un momento di grande forma. I brani migliori, secondo me, restano il rock tirato di Safe European Home, la travolgente Tommy Gun, la briosa Julie’s Been Working, la melodica Stay Free (scritta da Mick pensando al suo amico d’infanzia, Robin Banks, in quel momento dietro le sbarre) e la conclusiva All The Young Punks. Decisamente di un altro livello è il singolo che i Clash hanno pubblicato nello stesso anno, (White Man) In Hammersmith Palais, che se incluso in “Give ‘Em Enough Rope” ne avrebbe innalzato di molto il livello qualitativo.

CURIOSITA’ VARIE
La parte di piano honky-tonk su Julie’s Been Working For The Drug Squad era originariamente suonata da un musicista newyorkese da atrio d’albergo; successivamente, in studio, il produttore ha sostituito questa parte con disappunto dei Clash. Le immagini di copertina dell’album (che in alcuni Paesi differiscono nella grafica) sono prese da alcune cartoline postali cinesi. Nella stampa iniziale dell’album, il brano All The Young Punks è indicato erroneamente come That’s No Way To Spend Your Youth. – Matteo Aceto