Aspettando i Depeche Mode

depeche-mode-2017-wheres-the-revolutionUscirà domani 3 febbraio il nuovo singolo dei Depeche Mode, Where’s The Revolution, primo estratto dall’album “Spirit“, che verrà pubblicato dalla Sony il prossimo 17 marzo. Li seguo da almeno vent’anni, i Depeche Mode, e se nel giro di poco tempo sono andato a procurarmi tutti i loro album pubblicati dal 1981 al 1993, a partire dal 1997 non mi sono mai perso un’uscita discografica di quella che resta una delle mie band preferite.

Devo pur ammettere, ahimè, che per quanto pregevoli, gli ultimi lavori dei miei beniamini non mi hanno esaltato granché. Attendo con una certa curiosità questo “Spirit” di prossima distribuzione, tuttavia ricordo benissimo la sensazione che mi accompagnò quando andai a comprarmi il disco precedente, “Delta Machine“: grande curiosità, per l’appunto, ascolti a ripetizione del bel singolo Heaven, ascolto dell’album ripetuto per un mesetto buono, soprattutto in macchina, e quindi dritto nella collezione a far numero, pressoché inascoltato da quattro anni a questa parte.

Stessa sorte che è toccata ai precedenti “Sounds Of The Universe” del 2009 (nonostante l’acquisto della versione deluxe, un bel cofanettone multiformato in edizione limitata) e “Playing The Angel” del 2005, comunque il migliore tra gli album pubblicati dai nostri dal 2001 in poi. Un anno, quel 2001, in cui non soltanto andai a comprarmi tutto eccitato il poco eccitante “Exciter” e i suoi relativi quattro ciddì singoli ma, soprattutto, ebbi il piacere di ascoltare e vedere dal vivo i Depeche Mode per la prima volta, al palazzetto dello sport di Bologna. E se nel 2004 mi gustai a distanza ravvicinata un dj-set tutto pescarese del solo Andy Fletcher, due anni dopo tornai a vedere la band dal vivo al gran completo, in uno stadio Olimpico strapieno. Fu l’ultima volta che andai a un loro concerto, anche perché attorno al 2010 smisi del tutto di andare a concerti. Non mi divertivo più, ecco. Cominciavo inoltre a sentire il peso degli anni. Essì.

L’ultimo disco dei Depeche Mode che mi sia davvero piaciuto è quindi “Ultra“, pubblicato la bellezza di venti anni fa (mioddio… venti anni fa… sembra ieri…): all’epoca fu l’album del ritorno, dopo che a metà anni Novanta la band venne data per spacciata, dopo il sofferto abbandono di Alan Wilder e i grossi problemi di droga di Dave Gahan. Ma il talento autoriale di Martin L. Gore restò intatto, Dave prese a cantare come mai aveva cantato prima e la band si affidò a un produttore esterno, Tim Simenon (pratica attuata da allora fino ad oggi, con l’inedito James Ford in cabina di regia), il quale effettuò un lavoro tanto difficile quanto egregio. “Ultra” fu un successo sia di critica che di vendite, permettendo rapidamente ai nostri di risalire la china. E il resto è storia recente.

Ecco, volevo proporre una carrellata della discografia dei Depeche Mode da “Delta Machine” del 2013 fino al primo “Speak & Spell” del 1981 ma penso di aver divagato fin troppo. Tornerò presto a scriverne qui, dei dischi dei Depeche Mode, certamente in occasione dell’uscita di “Spirit” il mese prossimo. Se andrò a comprarlo? Ma certamente, miei cari. – Matteo Aceto

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Depeche Mode, “Ultra”, 1997

depeche-mode-ultra-immagine-pubblica-blogPubblicato nella primavera del 1997, “Ultra” segnò il ritorno dei Depeche Mode dopo i fasti del biennio 1993-94 e un difficilissimo 1995. E’ anche l’album che scrive un capitolo cruciale nella storia della band inglese: con l’abbandono di Alan Wilder, il gruppo torna ad essere un trio che, per la prima volta, non viene coinvolto nella produzione del disco, qui affidata a Tim Simenon. Ma ora passiamo ad analizzare le canzoni di “Ultra” una ad una.

Si parte con la potente Barrel Of A Gun, edita anche come primo singolo: qui la voce di Dave Gahan è risucchiata da qualche diavoleria elettronica, il ritmo è pulsante e massiccio, i coretti di Martin Gore sono da antologia, la chitarra in bell’evidenza… insomma una partenza col botto!

Il secondo brano è The Love Thieves, piuttosto dark e meditabonda, dove ritroviamo la voce naturale di Dave. Voce che cede il passo a quella di Martin per la successiva Home, uno dei miei brani preferiti dei Depeche Mode: musica, arrangiamento, testo e sentimento sono fantastici, davvero una grande ballata, edita anche su singolo.

Segue la famosa It’s No Good, anch’essa edita come singolo: è un brano dallo stile tipico dei Depeche Mode, vagamente e irresistibilmente retrò, forte di una sonorità davvero inconfondibile. Poi è la volta di Uselink, uno strumentale molto elettronico che per lo più serve ad introdurre il brano successivo, Useless, che è anche il quarto ed ultimo singolo estratto da “Ultra”. Useless è forse il brano più convenzionalmente rock mai proposto dai Depeche Mode (almeno in questa versione, quella su singolo è ritoccata elettronicamente): la chitarra di Martin è lo strumento portante ma è ben evidente il basso di Doug Wimbish e addirittura due batterie, quelle di Gota Yashiki (già con i Simply Red) e di Keith Le Blanc. Una canzone, Useless, che sembra uscita dalle sessioni di “Songs Of Faith And Devotion” del 1993.

Il brano seguente è uno dei pezzi migliori dei Depeche Mode, ovvero Sister Of Night, dove in diversi punti la voce di Dave Gahan duetta con quella di Martin Gore… veramente stupenda, questa canzone, intensa e notturna. Poi è la volta di un altro strumentale, Jazz Thieves, anche in questo caso una sorta d’introduzione al brano successivo, che è Freestate. Qui la voce di Dave è più intensa del solito, evidentemente sente parecchio questa riflessiva canzone che invita a liberarsi dalla propria gabbia per ritrovare quello stato mentale che è la libertà; la musica invece è una sorta di Personal Jesus più distesa, con una chitarra che sembra quasi country.

Con The Bottom Line troviamo per la seconda volta Martin Gore vocalmente protagonista in questo album: canta una delle sue canzoni più suggestive e raffinate, avvalendosi del prezioso supporto di B.J. Cole alla pedal steel guitar. Chiude la splendida Insight, che è praticamente un duetto tra Dave e Martin: anche in questo caso siamo in presenza di uno dei migliori pezzi dei Depeche Mode, rilassato e positivo, con tutte le caratteristiche del ‘Depeche sound’ in bell’evidenza e un tocco di gospel che non guasta. In realtà i secondi del ciddì continuano a scorrere e così, dopo un minutino, ecco Junior Painkiller, una breve traccia fantasma, un interrogativo strumentale che è praticamente un estratto di Painkiller, il B-side che accompagna il singolo Barrel Of A Gun.

Concludendo, dico senza indugio che “Ultra” è davvero un ottimo disco ma mi sono sempre chiesto come avrebbe suonato con il magico tocco di Alan Wilder… ma questa è accademia, qui è evidente che i Depeche Mode ci hanno regalato non solo uno dei migliori dischi della loro storia ma anche uno dei migliori lavori degli anni Novanta.