The Clash, “London Calling”, 1979

The Clash London CallingIn blog precedenti avevo già recensito tutti gli album dei Clash ma, bisognoso di nuovi argomenti per ampliare questa riedizione di Immagine Pubblica, mi sono messo a riscrivere un vecchio post (originariamente datato 23 marzo 2009) su quello che viene comunemente inteso come il manifesto artistico della band inglese, ovvero “London Calling”, il suo terzo terzo album, che ha una genesi peculiare che merita d’essere raccontata.

Londra, aprile ’79, i nostri trovano un nuovo quartier generale, un’autorimessa della quale affittano il piano superiore per farne una sala prove ma anche un ritrovo; il locale viene denominato Vanilla per via del colore delle pareti. La nuova atmosfera si rivela salutare per i Clash: liberi da un manager/mentore tanto geniale quanto ingombrante, Bernie Rhodes, licenziato poco prima, i quattro – Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon – hanno l’opportunità d’affiatarsi sempre più, non solo come musicisti ma soprattutto come amici. Al Vanilla prendono così a sperimentare generi diversi dal punk, quali funk, reggae, soul, disco e jazz, tanto che tra maggio e giugno i Clash si ritrovano con un bel quantitativo di nuove composizioni (parte di questo materiale, le cosiddette “Vanilla Tapes”, verrà incluso nella riedizione deluxe di “London Calling” del 2004). Dopodiché, una volta rinnovato il contratto con la CBS, i Clash chiamano il produttore Guy Stevens, un loro idolo, già produttore ma anche mentore della band preferita di Mick, i Mott The Hoople.

Stevens aveva già prodotto i nostri, nel novembre ’76, quando, dopo un interessamento da parte della Polydor, il gruppo aveva effettuato con lui il suo primo demo professionale. Allora le cose non andarono come i Clash avevano sperato ma, a distanza di quasi tre anni, erano fermamenti convinti che Guy fosse l’unico in grado di produrre il loro nuovo disco. Le sessioni si svolsero così ai Wessex Studios, con Stevens e il tecnico Bill Price alla consolle: tutto l’entourage dei Clash ricorda il comportamento folle di Stevens, il quale, alcolizzato cronico, incitava la band in studio con urla, salti e distruzione del mobilio. L’atmosfera in studio era quindi sempre carica, rovente, e il nuovo materiale dei Clash riuscì a giovarne, a dispetto di quel che si potrebbe pensare vedendo le immagini amatoriali di Stevens che fa il pazzo in studio, contenute nel divuddì della riedizione deluxe di “London Calling” (sono riprese molto divertenti ma anche un tantino inquietanti)! Le sessioni, durate fino alla fine d’agosto, hanno prodotto quello che secondo molti critici e molti fan è l’album migliore per Strummer & compagni.

Un album che parte col botto, l’omonima London Calling, che non è solo la canzone più rappresentativa dei nostri ma è oggi considerata un autentico classico del rock. E’ un brano potente & visionario, dove tutta la strumentazione e le parti vocali sono esaltate, e lo si capisce già dagli iniziali, incalzanti secondi. London Calling è una delle prove più belle dei Clash, qui al meglio di quello stile epico applicato al punk rock nel quale sono maestri.

Brand New Cadillac è invece l’irresistibile cover d’un rock ‘n’ roll di Vince Taylor & His Playboys, datato 1959: il pezzo, tirato e coinvolgente, serviva ai Clash per riscaldarsi prima di passare alle canzoni di propria composizione ma Stevens lo registrò comunque e convinse la band ad includerlo nell’album. Jimmy Jazz inizia con una sonnacchiosa chitarra unita al fischiettare d’un amico dei Clash, dopodiché la musica diventa saltellante e gioviale, quanto di più distante i nostri avessero mai inciso fino ad allora. I ritmi tornano a farsi comunque più serrati con la trascinante Hateful, dove la voce roca di Joe è magnificamente supportata da quella più sbarazzina di Mick.

Voce di Mick che torna protagonista in Rudie Can’t Fail, convincente ibrido tra sonorità punk e latinoamericane, dove gli interventi ai fiati degli Irish Horns – che partecipano ad altri momenti del disco – sono particolarmente efficaci. Spanish Bombs sembra invece un classico brano da autoradio: melodioso, caldo, dal ritmo sostenuto, col testo – cantato quasi all’unisono da Joe & Mick – a richiamare numerose immagini di quegli anni di piombo.

La saltellante The Right Profile è un’altra grandiosa commistione di stili: rock ‘n’ roll, punk, ritmi latini e un pizzico d’immaginario hollywoodiano; Strummer ne scrisse infatti il testo dopo aver letto una biografia del tormentato attore Montgomery Clift. E se Lost In The Supermarket – brano pulsante ma disteso, con Mick alla voce solista – è una delle canzoni migliori di “London Calling”, la successiva Clampdown è una delle più incalzanti, grazie all’inesorabile batteria di Topper che resta in primo piano per tutto il tempo. Poi è la volta di The Guns Of Brixton, la prima composizione firmata (e cantata) da Paul Simonon, dove il ritmo è decisamente reggae, con una linea di basso irresistibile & una voce impassibile a narrare gangster stories.

Stagger Lee/Wrong ‘Em Boyo è un altro esempio di fusione tra generi nella quale i Clash si dimostravano sempre più a loro agio: un medley fra un traditional e una cover dei Rulers che ci porta ad anni luce dal punk, dato che sembra piuttosto d’ascoltare un appassionato gruppo rock che esegue dei ritmi da swing band anni Cinquanta. Death Or Glory e Four Horsemen mi sembrano gli unici momenti deboli di “London Calling”: sono canzoni delle quali avrei anche fatto a meno, sebbene non siano cattive e suonino inconfondibilmente Clash nell’approccio e nello stile. Ben più interessante mi sembra The Card Cheat, cantata da Mick, dove tutta la strumentazione – col piano come strumento portante – è raddoppiata e fornita d’eco. E’ un’ulteriore testimonianza della versatilità raggiunta dal gruppo in studio, anticipatrice di alcuni episodi di “Sandinista!” (1980), così come il breve ma divertente rock di Koka Kola, cantato da Joe.

E se in Lover’s Rock i nostri si divertono a confondere stili e sonorità, con Joe e Mick a cantare all’unisono, I’m Not Down è semplicemente un’altra bella canzone cantata da Mick, piacevolmente energica. Memorabile resta anche la cover di Revolution Rock di Danny Ray, dove i Clash non solo si cimentano alla grande con sonorità dub-ska (anch’esse riprese con grande efficacia in “Sandinista!“) ma si dilettano pure a riproporre la sezione fiati di Sea Cruise, un pezzo di Frankie Ford.

A chiudere questo disco superlativo che è “London Calling” ci pensa una coinvolgente canzone cantata da Mick che doveva essere abbinata come flexi-disc al magazine NME; la cosa non si concretizzò e la melodica Train In Vain trovò posto in fondo all’album, nemmeno nominata nelle prime stampe del disco.

Due righe merita anche la copertina, giudicata una delle più evocative della discografia mondiale. Scattata da Pennie Smith, la foto ritrae Simonon che spacca il suo basso durante un concerto americano, mentre la grafica riprende quella del primo album di Elvis Presley. – Matteo Aceto

Pubblicità

Julien Temple, “Joe Strummer – The Future Is Unwritten”, 2007

joe-strummer-film-clash-immagine-pubblicaMiracolosamente, il docufilm di Julien Temple su Joe Strummer, “The Future Is Unwritten”, è arrivato anche in una sala cinematografica abruzzese, precisamente al Massimo di Pescara. La proiezione si è tenuta ieri sera e… non me la sono fatta scappare!

Antonella & io arriviamo per tempo, alle ventiettrenta, di fronte ad un botteghino già molto affollato: un quantitativo di gente che non mi aspettavo di trovare ma che mi ha fatto molto piacere di vedere. Quando entriamo in sala riusciamo per fortuna a trovare due comodi posti nelle file centrali ma entro le ventuno, ora d’inizio della proiezione, la sala è già piena.

Il docufilm di Temple parte già alla grande, con la storica ripresa (in bianco & nero) di Joe che registra la sua voce solista sulla base strumentale – che in quel momento ascolta solo lui, in cuffia – di White Riot, il primo singolo dei Clash. Poi entra prepotentemente & selvaggiamente il resto della musica, con le immagini che stavolta passano al cortile di casa Mellor (il vero cognome del nostro) dove troviamo il piccolo Joe a giocare col fratellino maggiore David. Queste immagini iniziali sono fra le poche che mi hanno veramente emozionato: non avevo mai visto quelle sequenze amatoriali (a colori) del giovane Strummer, così come le foto e le immagini dei suoi genitori. Tutto il film scorre cronologicamente, dall’origine nella middle-class inglese alla resurrezione artistica del nostro con la sua ultima band, The Mescaleros, passando per gli anni in collegio, il periodo da squatter a Londra, l’esplosione del fenomeno punk, il suo passaggio dagli 101ers ai Clash, l’epopea di questi ultimi, gli anni di smarrimento nella seconda metà degli Ottanta.

Una storia complessa & affascinante, narrata oltre che dalle stesse parole di Joe (prese dalle sue interviste radio e/o televisive) anche da quelle persone – musicisti o tizi comuni – che più sono state in contatto con lui, fra cui: i tre ex Clash Mick Jones (in ottima forma & a suo agio), Topper Headon e Keith Levene (ma non clamorosamente Paul Simonon, chissà perché…), Tymon Dogg, Steve Jones dei Sex Pistols, Don Letts, Courtney Love, amici d’infanzia e compagni hippy e/o squatter, le sue due mogli – Gaby e Luce – più una serie d’interventi di gente che a mio avviso c’entra ben poco, come quel ruffianone onnipresente di Bono Vox. Che cavolo c’entra Bono con Joe Strummer?! Altri interventi ci mostrano invece gli attori Matt Dillon, Steve Buscemi e Johnny Depp e il regista Martin Scorsese.

E’ molto bello che la maggior parte di questi interventi si svolga attorno ad un falò sulla spiaggia, come piaceva fare a Joe per ritrovarsi e confrontarsi con gli amici più cari. Uno dei pochi che non appare di fronte al caldo scoppiettare delle fiamme è Mick Jones, che parla del suo rapporto artistico e umano con Strummer dal grattacielo in cui viveva da solo con la nonna, nella seconda metà degli anni Settanta. Grande Mick, da sempre il mio Clash preferito! Anche il manager-mentore dei Clash, il controverso Bernie Rhodes, dice la sua, col suo classico taglio polemico & aggressivo, anche se i suoi interventi sono soltanto vocali (credo telefonici), su alcune immagini di repertorio.

“The Future Is Unwritten” è quindi un ottimo documento per conoscere la vita privata & artistica di Joe Strummer, non manca nessun aspetto: il dolore per la perdita del fratello David, gli anni giovanili errabondi, la storia dei Clash ovviamente, le colonne sonore realizzate per il cinema (come “Walker”), le parti che Joe ha recitato per lo stesso cinema (come “Mystery Train” di Jim Jarmusch, che anch’egli contribuisce coi suoi ricordi attorno al falò), i suoi programmi radiofonici condotti per la BBC a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila (spesso come colonna sonora abbiamo proprio i pezzi che Joe sceglieva, introducendoli con la sua inconfondibile voce), fino alla sua esibizione coi Mescaleros nell’autunno del 2002, per supportare la causa dei pompieri in sciopero, un’esibizione che vide anche la partecipazione (a sorpresa) di Mick Jones per un paio di pezzi dei Clash. Altre sequenze davvero emozionanti!

A parte clamorose assenze – una su tutte, come detto, Paul Simonon, ma anche i produttori Mikey Dread (peraltro morto pochi giorni fa…) e Bill Price, nonché Martin Slattery dei Mescaleros – l’unico grande punto debole che ho trovato in “The Future Is Unwritten” è la sua verbosità. Una valanga di parole, da quelle dei già numerosi ospiti attorno al falò a quelle dello stesso Joe, con la musica che quasi sempre resta un mero sottofondo. Una valanga di informazioni che danno sì un profilo abbastanza completo di Joe Strummer ma che risultano eccessivamente compresse in due ore di visione. Insomma, va pure bene la prima volta che vediamo il film, ma le altre volte? Dov’è la musica? C’è da dire che, almeno nei titoli, essa è abbastanza rappresentativa dei vari periodi artistici di Joe: ascoltiamo quindi (anche se per pochi secondi ognuna) Keys To Your Heart dei 101ers, White Riot, London Calling, Magnificent Seven, Rock The Casbah e altri classici dei Clash, estratti dalle colonne sonore di “Walker”, “Permanent Record” e “When Pigs Had Flies” (non sono sicuro che quest’ultimo titolo sia esatto, la musica resta tuttora inedita), Tony Adams , Johnny Appleseed e Willesden To Cricklewood dei Mescaleros. Insomma, i titoli non mancano ma li si ascolta veramente per pochi secondi, quasi sempre come sottofondo alle parole.

Altri aspetti che ho gradito poco – e dei quali francamente non ho visto l’utilità – sono stati gli inserti di sequenze tratte dal bel cartone animato de “La fattoria degli animali” e del film “1984”, entrambi presi dalle notevoli opere letterarie omonime di George Orwell. Potrebbero anche fare scena ma per me sono inutili.

In definitiva, penso che “The Future Is Unwritten” sia un ottimo racconto per chi vuole conoscere Joe Strummer sapendone veramente poco, o per chi volesse avere una guida visuale della sua carriera. Ma per chi conosce già la storia di Joe e consuma da anni album quali “London Calling” e “Sandinista!” questo film rappresenta solo un simpatico & gradito diversivo. A tratti pure un po’ noioso. – Matteo Aceto

Mick Jones

mick-jones-the-clash-big-audio-dynamiteMichael Geoffrey Jones (Londra, 26 giugno 1955), musicalmente noto come Mick Jones, è stato il vero motore dei Clash, il principale architetto del sound del gruppo. A lui si deve l’evoluzione musicale della storica band inglese, dal furioso punk degli esordi con “The Clash” (1977) alle sonorità dance e funky di “Combat Rock” (1982), passando per i generi più disparati quali reggae, ska, soul, hip-hop, rap, rhythm ‘n’ blues e rockabilly. Nella sua immaginazione, non c’erano barriere che la musica dei Clash non avrebbe potuto sfondare; eppure il buon Mick ha dovuto vedersela con gli altri due leader della band, ovvero Joe Strummer e Paul Simonon, che nel 1983 hanno preferito buttarlo fuori dal gruppo e tornare ad un punk rock tanto anacronistico quanto banale negli intenti.

Figlio d’un tassista londinese e d’una madre d’origine ebrea fuggita dalle persecuzioni nella sua terra d’origine, la Russia, il piccolo Mick è stato allevato dalla nonna materna, Stella, dopo che il matrimonio dei Jones è andato in frantumi nel 1963. Abbandonato dalle persone che più avrebbero dovuto stargli vicino, Mick ha trovato conforto nella musica: una passione sconfinata per artisti quali Beatles, Rolling Stones, Cream, Jimi Hendrix, The Who, Mott The Hoople, David Bowie e più tardi New York Dolls lo ha convinto ben presto a comprarsi una chitarra e a fondare varie band con gli amici. Il suo cammino artistico giunge ad una svolta nel 1975, quando conosce Tony James, bassista col quale fonda i London S.S., e Bernie Rhodes, consociato in affari di Malcom McLaren, proprietario del Sex, la nota boutique alla moda londinese e manager dei New York Dolls.

Bernie, in una sorta di competizione artistica ma anche ideologica col suo partner McLaren, in procinto di lanciare il fenomeno Sex Pistols, decide di diventare il manager dei London S.S., divenendone in breve tempo anche il direttore d’immagine, l’ideologo e il talent scout per i nuovi membri del gruppo. Iniziano così una serie di audizioni che faranno dei London S.S. una band leggendaria per le origini della musica punk: nelle sue fila passeranno i prossimi membri dei Clash (Terry Chimes, Keith Levene, Topper Headon) ma anche future star come Brian James e Rat Scabies (che di lì a poco formeranno i Damned). Mick sarà costretto a separarsi da Tony James (mai abbastanza gradito da Bernie), anche se i due resteranno sempre amici, tanto che nei primissimi anni del successo coi Clash, Mick e Tony vanno a vivere sotto lo stesso tetto.

Con James fuori, il nome del gruppo cambia in The Young Colts, composto da Mick, dal chitarrista Keith Levene e dall’aspirante bassista Paul Simonon (Mick lo conobbe nel corso di un’audizione dei London S.S., rimanendo colpito dal suo look da rude-boy londinese… dovrà comunque insegnargli a suonare il basso). Il biennio 1976-77 è un periodo carico di novità che si susseguono rapidamente: i Young Colts propongono a Joe Strummer, il carismatico leader d’una pub-band chiamata The 101ers, di unirsi al gruppo come cantante. Joe, pressato da Bernie, finirà con l’accettare e la band, costituita a questo punto da Mick Jones, Keith Levene, Paul Simonon, il batterista Terry Chimes e quindi Strummer, assume il nome The Clash e vola verso la leggenda.

Gli anni che discograficamente hanno visto attivo Mick Jones nei Clash (1977-82) disegnano un paesaggio sonoro in continua evoluzione artistica che ha dato vita a tre capolavori indiscussi del rock, ovvero gli album “London Calling” (1979), “Sandinista!” (1980) e “Combat Rock” (1982). Tutti quelli che hanno conosciuto da vicino il mondo dei Clash ricordano Mick come il componente del gruppo più professionale, quello più interessato alle tecniche di produzione in studio, nonché quello che musicalmente era sempre al passo coi tempi. Aveva anche un carattere difficile che nei momenti di tensione tendeva a chiudersi in se stesso e a farne un divo capriccioso & intrattabile. I Clash si sono sempre considerati come una gang e come tale si comportavano ma, col tempo, Joe e Paul hanno iniziato ad accusare il comportamento da star che tendeva ad assumere Mick: questa frizione diventa sempre più insanabile e così i due (su pressioni di Bernie) forzano l’uscita di Mick dai Clash nella tarda estate del 1983.

Jones non resta con le mani in mano e di lì a poco progetta già una nuova band: per un breve periodo si unisce ai General Public, dopodiché crea i TRAC che debuttano nel 1984 a nome di Big Audio Dynamite. La storia dei B.A.D. è bella & affascinante e testimonia sulla lunga distanza che, musicalmente parlando, Mick aveva ragione su Joe e Paul. Terminato il progetto B.A.D. (dopo varie incarnazioni chiamate Big Audio Dynamite II e Big Audio), sul finire degli anni Novanta, Mick ha ripreso a scrivere canzoni con Joe Strummer e si è distinto nella produzione di altri artisti (recentemente per i Libertines e i progetti solistici di Pete Doherty, ma in passato anche per il suo idolo Ian Hunter, la cantante americana Ellen Foley, con la quale Mick ha vissuto una storia sentimentale, i Theatre Of Hate e altri).

Dal 2002, Mick Jones è tornato in prima linea coi Carbon/Silicon, una nuova band creata col suo amico di sempre, Tony James. Inizialmente il gruppo ha iniziato a distribuire la propria nuova musica in download gratuito, anticipando band più acclamate come i Radiohead, dopodiché, nel corso del 2007 ha debuttato nel tradizionale mercato discografico con un primo album, “The Last Post”, che si avvale anche di Leo Williams, al fianco di Mick nella prima e più esaltante fase dei Big Audio Dynamite. Infine, proprio questi ultimi, saranno oggetto di una clamorosa reunion all’inizio del 2011, nella formazione originale. [ultimo aggiornamento: 2 aprile 2011] – Matteo Aceto

The Clash: storia e discografia

the-clash-immagine-pubblicaDopo tanto parlare dei singoli componenti del gruppo e dei dischi pubblicati, ecco una breve storia di una delle più grandi ed influenti band della storia, The Clash.

La formazione ‘classica’ era composta dal seguente quartetto: Mick Jones (chitarra e voce), Joe Strummer (voce e chitarra), Paul Simonon (basso e voce) e Nicky ‘Topper’ Headon (batteria). Come vedremo tra poco, tuttavia, non fu sempre questa la formazione dei Clash, giacché essa nacque e si sciolse definitivamente come quintetto. Infatti, quando la band venne formata, nel giugno 1976, era composta dai seguenti: Jones, Strummer e Simonon come sopra, più Keith Levene (chitarra) e Terry Chimes (batteria).

Il 4 luglio, poi, i Clash debuttarono dal vivo, al Black Swan di Sheffield (Gran Bretagna) come supporter degli emergenti Sex Pistols, ma già a settembre si verificò un importante cambiamento: Levene venne allontanato e così i Clash diventarono un quartetto. E’ con questa formazione (Jones, Strummer, Simonon e Chimes) che i Clash debuttano discograficamente, il 18 marzo 1977, col singolo White Riot, mentre il primo album, l’omonimo “The Clash“, vede la luce di lì a poco, l’8 aprile. In realtà, Chimes era già fuori dal gruppo e accettò di suonare nei dischi solo per un favore personale; è per questo che non compare in copertina, mentre il suo nome viene accreditato malignamente come ‘Tory Crimes (crimini dei membri del partito conservatore, i Tories).

E’ a questo punto che fa la sua comparsa il bravissimo Topper Headon, senza dubbio uno dei batteristi più abili e versatili che il rock abbia mai contemplato. I Clash se ne accorgono subito e con lui possono decollare: il loro secondo album, “Give ‘Em Enough Rope” (novembre ’78), vola al 2° posto della classifica britannica, mentre dal 1979 al 1982 la band realizza tre dei più grandi dischi di tutti i tempi, ovvero “London Calling” (1979), “Sandinista!” (1980) e “Combat Rock” (1982). Questi tre album segnano indubbiamente il periodo d’oro dei Clash, dopodiché inizierà un lento declino.

Declino che prende corpo già nel corso del 1982, con l’allontanamento di Topper: debilitato da una gravissima tossicodipendenza, Headon cedette così il posto a Terry Chimes, che per la seconda volta rientra nella band (nel frattempo Terry aveva suonato con diversi gruppi della scena punk inglese, tra cui i Generation X di Billy Idol). Con Terry, i Clash completano il tour internazionale conseguente all’uscita del fortunato “Combat Rock“, ma nel 1983 la band giunge ad un punto morto. Le sessioni per un nuovo album procedono lentamente e in mezzo a tensioni crescenti: Chimes decide di buttare la spugna (sarà sostituito dal giovane Pete Howard) mentre, nel corso dell’estate, Strummer e Simonon estromettono Mick Jones.

La perdita di Jones è gravissima perché il buon Mick era il principale autore delle musica della band e, di fatto, il responsabile del ‘Clash sound’. Joe e Paul decisero coraggiosamente di andare avanti, reclutando altri due giovani componenti, i chitarristi Vince White e Nick Sheppard. Questa formazione dei Clash (Strummer, Simonon, White, Sheppard e Howard), nuovamente un quintetto, segnerà quindi l’ultimo atto della storia della band, culminato nel 1985 con la pubblicazione del controverso “Cut The Crap“, sesto ed ultimo album da studio dei Clash. Nel 1986 la band già non esiste più, consegnandosi definitivamente alla storia della musica contemporanea. – Matteo Aceto

 

The Clash, “Combat Rock”, 1982

the-clash-combat-rock-immagine-pubblicaScrissi questo post – a metà fra una scheda tecnica & una recensione – sul blog parallelo a Parliamo di Musica, ovvero Parliamo dei Clash… durò poco, tuttavia, e così trasferii il tutto su Pdm… e ora qui!

COMBAT ROCK

CBS, 14 maggio 1982

NOTE
Quinto album da studio dei Clash, dura 46′ e 25”.

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, percussioni, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori, voce), Topper Headon (batteria, percussioni, piano, basso).

ALTRI MUSICISTI
Ellen Foley (cori), Allen Ginsberg (voce, cori), Futura 2000 (rap, cori), Joe Ely (cori), Gary Barnacle (sax), Tymon Dogg (piano), Poly Mandell (tastiere), Robert De Niro (voce campionata dal film ‘Taxy Driver’).

PRODUZIONE
The Clash.

STUDIO
Electric Lady Studios, New York.

BRANI
1. Know Your Rights (The Clash) 2. Car Jamming (The Clash) 3. Should I Stay Or Should I Go? (The Clash) 4. Rock The Casbah (The Clash) 5. Red Angel Dragnet (The Clash) 6. Straight To Hell (The Clash) 7. Overpowered By Funk (The Clash) 8. Atom Tan (The Clash) 9. Sean Flynn (The Clash) 10. Ghetto Defendant (The Clash) 11. Inoculated City (The Clash) 12. Death Is A Star (The Clash)

STORIA/RECENSIONE
Nella tarda estate del 1981, dopo aver conquistato l’America con una serie di memorabili concerti al Bonds International Casino di New York, i Clash sono nuovamente in studio per dare un seguito a “Sandinista!”. La band inizia a scrivere/provare nuove canzoni in un nuovo quartier generale, gli Ear Studios, siti nella zona ovest di Londra, nei pressi di Notting Hill. Pare che comunque l’atmosfera non fosse delle migliori… Bernie Rhodes, su insistenza di Joe, aveva ripreso il suo posto di manager-ideologo nella band, cosa che irritava profondamente Mick, mentre Topper era sempre più estraniato per via della sua tossicodipendenza. E così, a metà novembre, i Clash e il loro entourage preferiscono trasferirsi nuovamente a New York, ai celebri Electric Lady Studios (li fece costruire Jimi Hendrix, poco prima di morire nel ’71). Qui la band prosegue sulla strada tracciata da “Sandinista!” ma stavolta dando più compattezza al suono complessivo: non più un calderone di stili ma delle canzoni dove potessero fondersi diverse influenze musicali. Nascono così interessanti contaminazioni, uniche nel loro genere, come Overpowered By Funk (attitudine punk applicata alla dance, all’elettronica e al rap), Car Jamming, Straight To Hell, Red Angel Dragnet, Sean Flynn e Ghetto Defendant… non mancano dei brani più diretti che sembrano riportare i Clash alle loro radici, come Know Your Rights e Should I Stay Or Should I Go?, pubblicate rispettivamente come primo e terzo singolo estratti da “Combat Rock”. Per quanto riguarda i testi, il tema dominante del disco è la disillusione e la disfatta dell’America dopo la catastrofe del Vietnam: i reduci ormai straniati ed emarginati dalla società, i ragazzi mandati a morire, la terra vietnamita martoriata dalle bombe, l’imperialismo che corrompe ogni ideale. Le registrazioni newyorkesi dei nostri proseguono fino al giorno di Capodanno, dopodiché la band torna in Inghilterra e successivamente appronta un tour che, per la prima volta, porta i Clash ad esibirsi in Estremo Oriente (in Thailandia, Pennie Smith fotografò la band per le foto di copertina e del materiale promozionale legato a “Combat Rock”). Tra febbraio e marzo 1982, nuovamente a Londra, i Clash tornano ad occuparsi del nuovo album che aveva il titolo provvisorio di “Rat Patrol From Fort Bragg”: materiale sufficiente a riempire due LP buoni che suscitò varie discussioni, piuttosto accese, tra Mick, Joe, Bernie e la casa discografica. Mick, che propendeva per un album doppio con mixaggi che privilegiassero gli aspetti danzerecci delle canzoni, viene infine messo in minoranza dagli altri. Il lavoro di editing e di remixaggio del materiale viene quindi affidato a Glyn Johns (noto produttore/tecnico del suono che annoverava lavori per Beatles, Rolling Stones e Who). Johns, sotto la supervisione di Joe, Bernie e un contrariato Mick, elimina quindi le varie introduzioni e code strumentali delle canzoni, esclude dalla scaletta ben cinque brani (la lunga Walk Evil Talk, The Beautiful People Are Ugly Too, Kill Time, Cool Confusion e First Night Back In London, anche se queste ultime due trovarono posto nei lati B dei singoli), portando la durata del disco dagli oltre settanta minuti originali a poco meno di quarantasette.

A questo punto cambia pure il titolo del lavoro: non più “Rat Patrol From Fort Bragg”, bensì “Combat Rock”, un album che adesso studieremo traccia dopo traccia.

1-2) ‘Questo è un annuncio di pubblico servizio… con la chitarra!’, urla Joe nel pezzo che apre il disco, Know Your Rights, un tirato e scanzonato rock dalle cadenze orientaleggianti. Segue Car Jamming, la storia d’un reduce del Vietnam che tornato in patria diventa un assassino (in sottofondo un ritmo tribal-percussivo irresitibile, con un grande coro a rafforzare il canto di Joe).

3-4) Should I Stay Or Should I Go? è uno dei brani più famosi dei Clash, cantato da Mick mentre Joe si diletta con lo spagnolo nei cori (il ritmo di questa canzone è un azzeccato mix fra sonorità rockabilly e punk). Pure la successiva Rock The Casbah è un altro brano molto famoso: un’atmosfera marcatamente funky-dance che però non lascia adito a dubbi… stiamo sentendo i Clash, e che Clash, gente! Il testo di questa canzone (ah, dimenticavo, la musica è quasi interamente frutto dell’inventiva di Topper) prende in giro il divieto di importare/ascoltare musica rock in alcuni Paesi arabi.

5-6) La compulsiva Red Angel Dragnet è invece cantata da Paul (con delle frasi campionate che Robert De Niro recita in “Taxy Driver”, il noto film di Martin Scorsese del 1976), alle prese con un fatto di cronaca nera. Quella che viene dopo è semplicemente una delle canzoni più belle dei Clash, Straight To Hell: Joe canta delle conseguenze disastrose della guerra nel Sudest asiatico, mentre il resto della band risponde con una grandissima base percussiva e degli effetti musicali da antologia.

7) Overpowered By Funk è invece un bel brano tirato con tanto di rap finale ad opera di Futura 2000 (un artista americano amico dei nostri, per il quale Mick produsse anche un singolo).

8-10) Atom Tan, così come la seguente Sean Flynn e poi ancora Inoculated City sono tre brani molto meno immediati: le sonorità sono più pastose, quasi confuse, come se ci si trovasse in quella giungla così ben rappresentata da un film culto come “Apocalypse Now” (che influenzò molto i Clash, vedi pure Charlie Don’t Surf in “Sandinista!”). Sinceramente sono canzoni che non amo particolarmente e per questo, complessivamente, giudico “Combat Rock” un lavoro inferiore a “London Calling” e a “Sandinista!” (anche se Straight To Hell, Rock The Casbah e Should I Stay bastano da sole a giustificare l’acquisto di questo album).

11-12) Ghetto Defendant è un piacevole brano dalla ritmica quasi reggae, nel quale Joe duetta nientedimeno che con Allen Ginsberg, uno dei massimi esponenti della Beat Generation. La conclusiva Death Is A Star è invece un brano lento, piuttosto disteso, dove Joe e Mick cantano all’unisono su una squisita base pianistica: l’atmosfera complessiva ricorda una canzone da saloon westerniano, anche se l’atmosfera è decisamente notturna.

Concludendo, c’è da dire che “Combat Rock” rappresentò infine il più grande successo di critica e di pubblico in patria: l’album volò al 2° posto della classifica, preceduto solo dal grande ritorno di Paul McCartney con “Tug Of War” (il suo primo disco dall’omicidio di John Lennon). Inoltre, grazie ad un hit trascinante come Rock The Casbah (anche il video era forte), “Combat Rock” portò per la prima volta i Clash nella Top Ten americana.

CURIOSITA’ VARIE
Il brano Sean Flynn è un omaggio al figlio di Errol Flynn (il noto attore hollywoodiano) che, recatosi in Vietnam come fotografo di guerra, risultò disperso e quindi dichiarato morto.
Durante le sessioni di “Combat Rock”, i Clash scrissero ed incisero anche il brano Midnight To Stevens, dedicato a Guy Stevens, il produttore di “London Calling”, morto nell’agosto ’81: è forse la canzone più triste e commovente dei Clash che purtroppo rimase inedita fino al 1991. – Matteo Aceto

The Clash, “Sandinista!”, 1980

the-clash-sandinista-immagine-pubblica-blogScrissi questo post – a metà fra una scheda tecnica & una recensione – sul blog parallelo a Parliamo di Musica, ovvero Parliamo dei Clash… durò poco, tuttavia, e così trasferii il tutto su PdM… e ora qui!

SANDINISTA!

CBS, 12 dicembre 1980

NOTE
Quarto album da studio dei Clash, dura 144′ e 26” (l’edizione in vinile è costituita da tre LP, mentre quella successiva in CD è composta invece da due dischi).

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, piano, basso?, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori, voce), Topper Headon (batteria, piano, basso?, voce).

ALTRI MUSICISTI
Mikey Dread (version mix, effetti, voce), Micky Gallagher (tastiere, organo), Norman Watt-Roy (basso), Tymon Dogg (violino, voce), Ellen Foley (voce, cori), J.P. Nicholson, David Payne, Gary Barnacle (sax), Ivan Julian (chitarra), Bill Barnacle, Don Letts (parlato).

PRODUZIONE
The Clash, Mikey Dread e Bill Price.

STUDIO
Power Station, Electric Lady (New York), Wessex (Londra).

BRANI
1. The Magnificent Seven (The Clash) 2. Hitsville U.K. (The Clash) 3. Junko Partner (Unknown) 4. Ivan Meets G.I. Joe (The Clash) 5. The Leader (The Clash) 6. Something About England (The Clash) 7. Rebel Waltz (The Clash) 8. Look Here (Mose Allison) 9. The Crooked Beat (The Clash) 10. Somebody Got Murdered (The Clash) 11. One More Time (The Clash) 12. One More Dub (The Clash) 13. Lightning Strikes (Not Once But Twice) (The Clash) 14. Up In Heaven (Not Only Here) (The Clash) 15. Corner Soul (The Clash) 16. Let’s Go Crazy (The Clash) 17. If Music Could Talk (The Clash, Mikey Dread) 18. The Sound Of Sinners (The Clash) 19. Police On My Back (Eddy Grant) 20. Midnight Log (The Clash) 21. The Equalizer (The Clash) 22. The Call Up (The Clash) 23. Washington Bullets (The Clash) 24. Broadway (include Blowing In ‘The Guns Of Brixton’) (The Clash) 25. Lose This Skin (Tymon Dogg) 26. Charlie Don’t Surf (The Clash) 27. Mensforth Hill (The Clash) 28. Junkie Slip (The Clash) 29. Kingston Advice (The Clash) 30. The Street Parade (The Clash) 31. Version City (The Clash) 32. Living In Fame (Mikey Dread, The Clash) 33. Silicone On Sapphire (The Clash) 34. Version Pardner (Unknown) 35. Career Opportunities (The Clash) 36. Shepherds Delight (Mikey Dread, The Clash)

STORIA/RECENSIONE
Tra il marzo e l’aprile del 1980, i Clash volano in Giamaica con un nuovo collaboratore, l’artista reggae Mikey Dread: l’intenzione è di sperimentazre ulteriormente le sonorità dub e raggae che i Clash avevano intrapreso qualche tempo prima con brani come Armagideon Time e Bankrobber. Dopo aver tentato inutilmente di registrare una versione di Junko Partner ai celebri Channell One Studios di Kingston, i Clash e Dread capiscono di non trovarsi nel posto migliore per lavorare, dato anche il caos politico che la Giamaica affrontava in quel periodo. E così, dopo qualche giorno di vacanza, i nostri volano negli Stati Uniti… o meglio, Mick Jones, Joe Strummer, Topper Headon e Mikey Dread si dirigono a New York, mentre Paul Simonon se ne va in Canada per un mese, in modo da partecipare alle riprese del film “All Washed Up”, nel quale farà la parte d’un musicista in una punkband con Steve Jones e Paul Cook dei Sex Pistols.
E così, un po’ confusamente, i Clash iniziano a lavorare al loro quarto album a stretto contatto con Mikey Dread e il fido Bill Price (già tecnico del suono in “London Calling”): ma le idee stentano ad arrivare per cui si parte dalle cover… Police On My Back degli Equals, Louie Louie di Richard Berry e Madness di Prince Buster (le ultime due restano ufficialmente inedite tuttora). Poi Mick e Joe, i principali autori delle canzoni dei Clash, decidono di ricorrere ad alcuni amici, sia in qualità di musicisti che in quella di coautori dei brani: invitano in studio Micky Gallagher e Norman Watt-Roy (rispettivamente, tastierista e bassista dei Blockheads, la band di Ian Dury), Ivan Julian dei Voidoids (la band di Richard Hell, ex Television) e Tymon Dogg, il violinista itinerante grande amico di Joe. E così le nuove canzoni (e che canzoni!) iniziarono a sgorgare: degli interessanti crossover tra funk e rap come Magnificent Seven e Lightning Strikes, l’irresistibile The Call Up, la curiosa Lose This Skin (scritta e cantata da Tymon) ma anche la spledida cover di Every Little Bit Hurts (rimasta poi inedita fino al 1991). Preziosi collaboratori a parte, c’è da dire però che l’atmosfera unica al mondo di New York iniziò a contagiare sempre più Joe e Mick, i quali ebbero a disposizione probabilmente la più ricca fonte d’ispirazione che un musicista possa desiderare. In quegli anni, inoltre, stavano fermentando nei sotterranei della Grande Mela delle sonorità quali il rap e l’hip-hop che avrebbero enormemente condizionato il panorama musicale degli anni a venire. I Clash ebbero quindi il privilegio di assorbire queste nuove sonorità in anteprima e di tradurle secondo i propri stilemi: da qui quel sound unico che solo “Sandinista!”, tra gli altri album dei nostri, possiede. Anche Topper si dimostra più collaborativo del solito, basti pensare che “Sandinista!” contiene l’unica canzone dei Clash cantata da lui, Ivan Meets G.I. Joe.
Le sessioni newyorkesi dei nostri si concludono a fine aprile quando, una volta tornato anche Paul nei ranghi, la band fa ritorno in Gran Bretagna per effettuare un breve tour. Al principio dell’estate i Clash sono nuovamente in studio, stavolta nei più familiari Wessex di Londra. La creatività continua a sgorgare (anche Paul è produttivo, compone e canta The Crooked Beat), tanto che i nostri addirittura scrivono e producono pure un album per la cantante americana Ellen Foley (a quel tempo fidanzata con Mick), “Spirit Of St. Louis”, che vedrà la luce nel 1981. Insomma, entro settembre, i Clash si ritrovano con tanto di quel materiale da proporre alla casa discografica la pubblicazione d’un triplo LP. La CBS non accoglie favorevolmente la proposta, dati i costi di produzione superiori e il relativo prezzo al pubblico maggiorato che avrebbe compromesso le vendite. I Clash allora raggiungono un accordo che fa capire quanto fosse importante per loro l’arte a discapito dei soldi: rinunciano ad una considerevole fetta delle loro royalties (le quote spettanti per ogni copia venduta dell’album) pur di far pubblicare “Sandinista!” ad un prezzo basso (poco più d’un album singolo, nemmeno il prezzo d’un doppio). A proposito, il titolo di questo quarto album dei Clash è un omaggio alla riuscita rivoluzione in Nicaragua che depose il dittatore Anastasio Somoza nel 1979: la band ribadì così il suo internazionalismo, il suo impegno sociale, il suo stare dalla parte dei più deboli contro ogni logica imperialista. Nonostante tutto ciò, “Sandinista!” raggiunse un insoddisfacente 19° posto nella classifica britannica, con la maggior parte dei critici musicali che stroncò il sound complessivo dell’album (le cose andarono comunque meglio negli USA). In realtà quello che i Clash proposero al termine del 1980 era un lavoro notevolmente in anticipo sui tempi: un crossover di stili che abbraccia rock, rockabilly, reggae e ritmiche caraibiche in generale, dub, soul, funk, rap, raffinato pop d’autore, sperimentazioni, nastri che girano al contrario, effetti elettronici, dialoghi inseriti in alcune tracce. Evidentemente tutto ciò era troppo per l’ascoltatore medio britannico, compresi i fan storici dei Clash. Oggi posso tranquillamente affermare che “Sandinista!” è l’album dei Clash che preferisco ma m’immagino perfettamente la reazione che può aver avuto un fan che all’epoca, dopo aver esultato per un capolavoro come “London Calling”, si sia ascoltato per la prima volta questo triplo album così caleidoscopico.

Ora procediamo con una breve rassegna (perché i brani sono troppi, ben trentasei) delle canzoni di “Sandinista!”. Come sempre con i Clash, l’album si apre con un brano potente, addirittura uno dei più memorabili mai proposti dai nostri, Magnificent Seven: su una ritmica irresistibilmente funky-disco s’inserisce il rap di Joe, mentre sul finale la chitarra di Mick riporta il tutto in una dimensione più rock. Magnifico è il termine più appropriato per definire questo brano, edito anche come singolo nell’aprile ’81. Hitsville U.K., un duetto tra Mick ed Ellen Foley pubblicato anch’esso su singolo (gennaio ’81), presenta un altro irresistibile ritmo, anche se qui il tono è decisamente pop. Junko Partner è invece il primo d’una serie di grandi brani reggae-dub (Crooked Beat, One More Time/Dub, Corner Soul, If Music Could Talk e The Equalizer) geniali e ricchi d’inventiva. Altrettanto geniale e ricca d’inventiva è Something About England, ma la struttura compositiva è di tuttaltro tono, sicuramente uno dei brani più memorabili di questo disco. Somebody Got Murdered, Up In Heaven e Police On My Back, tre brani cantati da Mick, sono quelli più vicini alle sonorità punk del gruppo, mentre decisamente divertenti all’ascolto risultano brani come Ivan Meets G.I. Joe (dal ritmo quasi disco), Let’s Go Crazy (con una trascinante atmosfera calypso) e Lightning Strikes (un funky-rap simile a Magnificent Seven). Bella e potente è The Call Up (primo dei tre singoli estratti dall’album, nel novembre ’80), bella e commovente è invece Broadway. Più sperimentale e scanzonata l’ultima facciata del terzo LP (brani 31-36), con Mikey Dread che canta sullo stesso ritmo di If Music Could Talk (solo che il nome di questo brano è Living In Fame), con una Junko Partner stravolta e dubbeggiante (chiamata Version Pardner), una rilettura di Career Opportunities (brano originariamente apparso sull’album “The Clash” del 1977) cantata dai figli di Micky Gallagher, e con un sonnacchioso e lento reggae conclusivo, Shepherds Delight, dove Dread sembra farla da padrone.

In definitiva, per quanto mi riguarda, posso affermare che “Sandinista!” è l’album dei Clash che amo di più, oltre che uno dei miei dischi preferiti in assoluto.

CURIOSITA’ VARIE
Somebody Got Murdered è stata originariamente commisionata ai Clash dal compositore Jack Nitzsche, al lavoro sulla colonna sonora del film “Cruising”, con Al Pacino.
La foto di copertina, che ritrae i Clash dopo aver girato il video di The Call Up, è stata scattata da Pennie Smith (che ha ‘firmato’ anche la storica copertina di “London Calling”) vicino ad un ponte ferroviario nella zona nord di Londra. – Matteo Aceto

The Clash, “Give ‘Em Enough Rope”, 1978

the-clash-give-em-enough-rope-immagine-pubblicaGIVE ‘EM ENOUGH ROPE
CBS, 8 novembre 1978

NOTE
Secondo album da studio dei Clash, dura 36′ e 57”.

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori), Topper Headon (batteria).

ALTRI MUSICISTI
Stan Bronstein (sax), Al Lanier (piano).

PRODUZIONE
Sandy Pearlman.

STUDIO
Utopia Studios, Basing Street Studios (Londra), Automatt Studio (San Francisco) e Record Plant (New York).

BRANI
1. Safe European Home (Joe Strummer, Mick Jones) 2. English Civil War (Traditional, arrangiato da Joe Strummer e Mick Jones) 3. Tommy Gun (Joe Strummer, Mick Jones) 4. Julie’s Been Working For The Drug Squad (Joe Strummer, Mick Jones) 5. Last Gang In Town (Joe Strummer, Mick Jones) 6. Guns On The Roof (Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon, Topper Headon) 7. Drug-Stabbing Time (Joe Strummer, Mick Jones) 8. Stay Free (Joe Strummer, Mick Jones) 9. Cheapskates (Joe Strummer, Mick Jones) 10. All The Young Punks (New Boots And Contracts) (Joe Strummer, Mick Jones)

STORIA/RECENSIONE
Nel gennaio 1978, al ritorno di Joe e Mick dalla Giamaica (dove erano stati per un paio di settimane in cerca d’ispirazione), la band inizia già a provare del nuovo materiale, pare una quindicina di nuove canzoni. In quel momento Paul si trovava in Russia per una breve vacanza e così è Mick a suonare il basso in queste prime prove (quando Paul torna gli danno i nastri per fargli imparare le sue parti, con Mick che gli fornisce le dovute indicazioni). Topper, che lavora per la prima volta con del materiale originale dei Clash (ricordiamolo, il batterista aveva sostituito Terry Chimes nell’aprile ’77, dopo che questi aveva suonato nel primo album del gruppo, “The Clash”), si rivela fin da subito un preziosissimo collaboratore musicale che impara in fretta le proprie parti. Ai primi di febbraio, i Clash e Sandy Pearlman (il produttore storico dei Blue Oyster Cult) si trovano ai CBS Studios per incidere un demo del nuovo materiale: di lì a poco le sessioni sono però sospese perché a Joe viene diagnosticata una forma d’epatite che lo costringe al ricovero in ospedale. Le sessioni riprendono quindi ai primi di marzo, ai Marquee Studios, stavolta con Mick come produttore (in attesa del ritorno di Pearlman dagli USA): in realtà i Clash scrivono e incidono dei brani nuovi che non saranno inclusi nell’album. Sandy Pearlman torna a Londra in aprile e così i Clash possono incidere due versioni demo di “Give ‘Em Enough Rope”, una prodotta da Mick e l’altra da Sandy ed incisa agli Utopia Studios (la parte definitiva di batteria viene comunque incisa in quest’occasione). Dopo un paio di giorni, le sessioni si trasferiscono ai Basing Street Studios di Notting Hill ma iniziano ‘seriamente’ soltanto a maggio. L’uscita di questo secondo album del Clash era prevista per settembre ma pare che la CBS inglese non fosse favorevolmente impressionata dal nuovo materiale e che, comunque, non lo ritenesse abbastanza appetibile per il pubblico americano. Tra luglio e agosto, i Clash sono impegnati col tour On Parole, al termine del quale Joe e Mick volano con Pearlman a San Francisco per dare così i necessari ritocchi all’album nello studio Automatt (Paul e Topper avevano già completato le loro parti per cui non sono invitati in America). Qui Mick e Sandy collaborano per creare un nuovo strato di chitarre (comprano anche una Les Paul del ’54), inoltre vengono effettuati degli editing sul materiale già inciso, come nel caso di Tommy Gun, che consiste in tre frammenti presi da altrettante incisioni e unite tra loro. Il lavoro di sovraincisioni per chitarre e voci eseguito da Mick e Joe dura quindi tre settimane, dopodiché a fine agosto tutto il lavoro viene sottoposto alla CBS americana. Ma anche in questo caso il risultato non convince appieno: nonostante la riluttanza di Mick e Joe, i lavori continuano e subiscono un nuovo trasferimento, stavolta sulla costa opposta degli States, ovvero i celebri studi Record Plant di New York. Ormai è settembre e il lavoro procede spedito, con tanto di sovraincisioni finali: il piano honky-tonk su Julie’s Been Working For The Drug Squad suonato da Al Lanier dei Blue Oyster Cult e il sax in Drug-Stabbing Time suonato da Stan Bronstein (noto turnista che aveva collaborato pure con John Lennon). Dopodiché, Topper e Paul giungono a New York per ascoltare il risultato finale. “Give ‘Em Enough Rope” viene finalmente pubblicato a novembre e raggiungerà uno strepitoso 2° posto nella classifica britannica. Tuttavia delude la critica e parte dei fan a causa del suono troppo pulito e levigato che poco o nulla concede alla spontaneità tipica dei Clash. Personalmente, questo “Give ‘Em Enough Rope” è l’album dei Clash che apprezzo di meno: anche per le mie orecchie il suono complessivo è fin troppo edulcorato per rappresentare la grinta di una band come i Clash, inoltre penso che la maggior parte delle canzoni non sia abbastanza sostanziosa e che i nostri non si trovassero in un momento di grande forma. I brani migliori, secondo me, restano il rock tirato di Safe European Home, la travolgente Tommy Gun, la briosa Julie’s Been Working, la melodica Stay Free (scritta da Mick pensando al suo amico d’infanzia, Robin Banks, in quel momento dietro le sbarre) e la conclusiva All The Young Punks. Decisamente di un altro livello è il singolo che i Clash hanno pubblicato nello stesso anno, (White Man) In Hammersmith Palais, che se incluso in “Give ‘Em Enough Rope” ne avrebbe innalzato di molto il livello qualitativo.

CURIOSITA’ VARIE
La parte di piano honky-tonk su Julie’s Been Working For The Drug Squad era originariamente suonata da un musicista newyorkese da atrio d’albergo; successivamente, in studio, il produttore ha sostituito questa parte con disappunto dei Clash. Le immagini di copertina dell’album (che in alcuni Paesi differiscono nella grafica) sono prese da alcune cartoline postali cinesi. Nella stampa iniziale dell’album, il brano All The Young Punks è indicato erroneamente come That’s No Way To Spend Your Youth. – Matteo Aceto

Big Audio Dynamite

big-audio-dynamiteDopo essere stato scaricato senza troppi complimenti dai Clash nell’estate del 1983, il chitarrista, cantante e compositore Mick Jones decide immediatamente di formare un nuovo gruppo.

Inizialmente chiamata TRAC, la nuova band che Jones assembla col bassista Leo Williams e lo stesso storico batterista dei Clash, Topper Headon, debutta nel 1984 a nome Big Audio Dynamite, col singolo The Bottom Line. Della formazione fanno ora parte anche Don Letts (principale regista dei video dei Clash), Greg Roberts (che quindi ha rimpiazzato l’inaffidabile Topper) e qualche tempo dopo anche il tastierista Dan Donovan.

Nel 1985 esce il primo album dei B.A.D., “This Is Big Audio Dyanamite” (contenente il singolo E=MC^2), che entra in diretta concorrenza con “Cut The Crap”, l’album a nome Clash che Joe Strummer e Paul Simonon realizzano nello stesso anno. Da fan dei Clash, posso affermare in tutta serenità che il disco di Mick è decisamente superiore, innovativo dal punto di vista musicale, in linea col suono degli anni Ottanta, mentre la nuova musica di Strummer & soci cercava inutilmente di portare indietro le lancette dell’orologio. E’ evidente, inoltre, come Mick abbia continuato la strada che gli stessi Clash avevano intrapreso con l’album “Sandinista!” del 1980, mentre i Clash post-Jones hanno decisamente… smarrito la strada.

Nel 1986, con i Clash ufficialmente sciolti, esce “Nr. 10, Upping St.”, il secondo album dei Big Audio Dynamite. Oltre alla favolosa resa sonora, il disco contiene una grande sorpresa: è prodotto da Jones con Joe Strummer, mentre la maggior parte delle canzoni è accreditata, come ai bei tempi, a Strummer/Jones. In quel periodo si parla di una reunion dei Clash ma la cosa non avviene e i B.A.D. vanno coraggiosamente avanti.

Il terzo album di Jones & soci, “Tighten Up, Vol. 88”, esce nel 1988: anche in questo album c’è lo zampino di un altro membro dei Clash, infatti Paul Simonon disegna la vivace copertina del disco. Disco che, tuttavia, risulta inferiore ai due precedenti, penalizzato dalla consapevolezza di voler piacere a tutti i costi a discapito dalla spontaneità sonora e delle idee creative. C’è da dire che il primo singolo estratto dal nuovo album, Just Play Music!,è comunque molto piacevole.

Dopo una grave malattia che stava per portare Mick Jones all’altro mondo, nel 1989 esce il coraggioso ed innovativo “Megatop Phoenix”, un disco enormemente contaminato, un sound che già prefigura gli anni Novanta (è il migliore dei B.A.D., secondo la mia modesta opinione), nonché il canto del cigno dei Big Audio Dynamite nella loro formazione originaria.

L’anno dopo, infatti, Jones darà vita ai Big Audio Dynamite II con altri musicisti, mentre Don Letts, Leo Williams, Dan Donovan e Greg Roberts si dedicheranno ad altri progetti musicali. Tempo qualche anno e Mick formerà un nuovo gruppo, i Big Audio, che pubblicheranno soltanto un album, il debole “Higher Power” del 1994 (a dispetto del titolo, a ben vedere… non pochi fecero notare con sarcasmo come i Big Audio fossero privi di… Dynamite), prima di resuscitare, seppur per poco tempo, il nome storico dei Big Audio Dynamite.

Ad ogni modo, in seguito al successo della riedizione deluxe da due ciddì del primo album, “This Is Big Audio Dynamite”, edito dalla Legacy/Sony nell’autunno del 2010, i B.A.D. si sono brevemente riformati al principio del 2011, con tanto di tour celebrativo. C’è da dire, purtroppo, che il tour ha interessato soltanto la nativa Gran Bretagna, anche se la band ha partecipato ad alcuni importanti festival internazionali come quello di Coachella e il celebre Lollapalooza. Dal 2011 ad oggi, tuttavia, non si sono viste ulteriori ristampe del catalogo storico della band, né Jones o Letts hanno espresso l’intenzione di tornare in pista con qualcosa di nuovo. Il profilo facebook dei B.A.D., se non altro, resta ancora attivo, con aggiornamenti sporadici di tanto in tanto, uno dei quali, nell’agosto 2016, ricordava il giorno che avrebbe segnato il sessantaquattresimo compleanno di Joe Strummer. A parte tutto, è un piacere sapere che qualcosina all’interno dell’universo Clash, per piccola che sia, continua a muoversi. (– Matteo Aceto