Julien Temple, “Joe Strummer – The Future Is Unwritten”, 2007

joe-strummer-film-clash-immagine-pubblicaMiracolosamente, il docufilm di Julien Temple su Joe Strummer, “The Future Is Unwritten”, è arrivato anche in una sala cinematografica abruzzese, precisamente al Massimo di Pescara. La proiezione si è tenuta ieri sera e… non me la sono fatta scappare!

Antonella & io arriviamo per tempo, alle ventiettrenta, di fronte ad un botteghino già molto affollato: un quantitativo di gente che non mi aspettavo di trovare ma che mi ha fatto molto piacere di vedere. Quando entriamo in sala riusciamo per fortuna a trovare due comodi posti nelle file centrali ma entro le ventuno, ora d’inizio della proiezione, la sala è già piena.

Il docufilm di Temple parte già alla grande, con la storica ripresa (in bianco & nero) di Joe che registra la sua voce solista sulla base strumentale – che in quel momento ascolta solo lui, in cuffia – di White Riot, il primo singolo dei Clash. Poi entra prepotentemente & selvaggiamente il resto della musica, con le immagini che stavolta passano al cortile di casa Mellor (il vero cognome del nostro) dove troviamo il piccolo Joe a giocare col fratellino maggiore David. Queste immagini iniziali sono fra le poche che mi hanno veramente emozionato: non avevo mai visto quelle sequenze amatoriali (a colori) del giovane Strummer, così come le foto e le immagini dei suoi genitori. Tutto il film scorre cronologicamente, dall’origine nella middle-class inglese alla resurrezione artistica del nostro con la sua ultima band, The Mescaleros, passando per gli anni in collegio, il periodo da squatter a Londra, l’esplosione del fenomeno punk, il suo passaggio dagli 101ers ai Clash, l’epopea di questi ultimi, gli anni di smarrimento nella seconda metà degli Ottanta.

Una storia complessa & affascinante, narrata oltre che dalle stesse parole di Joe (prese dalle sue interviste radio e/o televisive) anche da quelle persone – musicisti o tizi comuni – che più sono state in contatto con lui, fra cui: i tre ex Clash Mick Jones (in ottima forma & a suo agio), Topper Headon e Keith Levene (ma non clamorosamente Paul Simonon, chissà perché…), Tymon Dogg, Steve Jones dei Sex Pistols, Don Letts, Courtney Love, amici d’infanzia e compagni hippy e/o squatter, le sue due mogli – Gaby e Luce – più una serie d’interventi di gente che a mio avviso c’entra ben poco, come quel ruffianone onnipresente di Bono Vox. Che cavolo c’entra Bono con Joe Strummer?! Altri interventi ci mostrano invece gli attori Matt Dillon, Steve Buscemi e Johnny Depp e il regista Martin Scorsese.

E’ molto bello che la maggior parte di questi interventi si svolga attorno ad un falò sulla spiaggia, come piaceva fare a Joe per ritrovarsi e confrontarsi con gli amici più cari. Uno dei pochi che non appare di fronte al caldo scoppiettare delle fiamme è Mick Jones, che parla del suo rapporto artistico e umano con Strummer dal grattacielo in cui viveva da solo con la nonna, nella seconda metà degli anni Settanta. Grande Mick, da sempre il mio Clash preferito! Anche il manager-mentore dei Clash, il controverso Bernie Rhodes, dice la sua, col suo classico taglio polemico & aggressivo, anche se i suoi interventi sono soltanto vocali (credo telefonici), su alcune immagini di repertorio.

“The Future Is Unwritten” è quindi un ottimo documento per conoscere la vita privata & artistica di Joe Strummer, non manca nessun aspetto: il dolore per la perdita del fratello David, gli anni giovanili errabondi, la storia dei Clash ovviamente, le colonne sonore realizzate per il cinema (come “Walker”), le parti che Joe ha recitato per lo stesso cinema (come “Mystery Train” di Jim Jarmusch, che anch’egli contribuisce coi suoi ricordi attorno al falò), i suoi programmi radiofonici condotti per la BBC a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila (spesso come colonna sonora abbiamo proprio i pezzi che Joe sceglieva, introducendoli con la sua inconfondibile voce), fino alla sua esibizione coi Mescaleros nell’autunno del 2002, per supportare la causa dei pompieri in sciopero, un’esibizione che vide anche la partecipazione (a sorpresa) di Mick Jones per un paio di pezzi dei Clash. Altre sequenze davvero emozionanti!

A parte clamorose assenze – una su tutte, come detto, Paul Simonon, ma anche i produttori Mikey Dread (peraltro morto pochi giorni fa…) e Bill Price, nonché Martin Slattery dei Mescaleros – l’unico grande punto debole che ho trovato in “The Future Is Unwritten” è la sua verbosità. Una valanga di parole, da quelle dei già numerosi ospiti attorno al falò a quelle dello stesso Joe, con la musica che quasi sempre resta un mero sottofondo. Una valanga di informazioni che danno sì un profilo abbastanza completo di Joe Strummer ma che risultano eccessivamente compresse in due ore di visione. Insomma, va pure bene la prima volta che vediamo il film, ma le altre volte? Dov’è la musica? C’è da dire che, almeno nei titoli, essa è abbastanza rappresentativa dei vari periodi artistici di Joe: ascoltiamo quindi (anche se per pochi secondi ognuna) Keys To Your Heart dei 101ers, White Riot, London Calling, Magnificent Seven, Rock The Casbah e altri classici dei Clash, estratti dalle colonne sonore di “Walker”, “Permanent Record” e “When Pigs Had Flies” (non sono sicuro che quest’ultimo titolo sia esatto, la musica resta tuttora inedita), Tony Adams , Johnny Appleseed e Willesden To Cricklewood dei Mescaleros. Insomma, i titoli non mancano ma li si ascolta veramente per pochi secondi, quasi sempre come sottofondo alle parole.

Altri aspetti che ho gradito poco – e dei quali francamente non ho visto l’utilità – sono stati gli inserti di sequenze tratte dal bel cartone animato de “La fattoria degli animali” e del film “1984”, entrambi presi dalle notevoli opere letterarie omonime di George Orwell. Potrebbero anche fare scena ma per me sono inutili.

In definitiva, penso che “The Future Is Unwritten” sia un ottimo racconto per chi vuole conoscere Joe Strummer sapendone veramente poco, o per chi volesse avere una guida visuale della sua carriera. Ma per chi conosce già la storia di Joe e consuma da anni album quali “London Calling” e “Sandinista!” questo film rappresenta solo un simpatico & gradito diversivo. A tratti pure un po’ noioso. – Matteo Aceto

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The Clash, “Combat Rock”, 1982

the-clash-combat-rock-immagine-pubblicaScrissi questo post – a metà fra una scheda tecnica & una recensione – sul blog parallelo a Parliamo di Musica, ovvero Parliamo dei Clash… durò poco, tuttavia, e così trasferii il tutto su Pdm… e ora qui!

COMBAT ROCK

CBS, 14 maggio 1982

NOTE
Quinto album da studio dei Clash, dura 46′ e 25”.

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, percussioni, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori, voce), Topper Headon (batteria, percussioni, piano, basso).

ALTRI MUSICISTI
Ellen Foley (cori), Allen Ginsberg (voce, cori), Futura 2000 (rap, cori), Joe Ely (cori), Gary Barnacle (sax), Tymon Dogg (piano), Poly Mandell (tastiere), Robert De Niro (voce campionata dal film ‘Taxy Driver’).

PRODUZIONE
The Clash.

STUDIO
Electric Lady Studios, New York.

BRANI
1. Know Your Rights (The Clash) 2. Car Jamming (The Clash) 3. Should I Stay Or Should I Go? (The Clash) 4. Rock The Casbah (The Clash) 5. Red Angel Dragnet (The Clash) 6. Straight To Hell (The Clash) 7. Overpowered By Funk (The Clash) 8. Atom Tan (The Clash) 9. Sean Flynn (The Clash) 10. Ghetto Defendant (The Clash) 11. Inoculated City (The Clash) 12. Death Is A Star (The Clash)

STORIA/RECENSIONE
Nella tarda estate del 1981, dopo aver conquistato l’America con una serie di memorabili concerti al Bonds International Casino di New York, i Clash sono nuovamente in studio per dare un seguito a “Sandinista!”. La band inizia a scrivere/provare nuove canzoni in un nuovo quartier generale, gli Ear Studios, siti nella zona ovest di Londra, nei pressi di Notting Hill. Pare che comunque l’atmosfera non fosse delle migliori… Bernie Rhodes, su insistenza di Joe, aveva ripreso il suo posto di manager-ideologo nella band, cosa che irritava profondamente Mick, mentre Topper era sempre più estraniato per via della sua tossicodipendenza. E così, a metà novembre, i Clash e il loro entourage preferiscono trasferirsi nuovamente a New York, ai celebri Electric Lady Studios (li fece costruire Jimi Hendrix, poco prima di morire nel ’71). Qui la band prosegue sulla strada tracciata da “Sandinista!” ma stavolta dando più compattezza al suono complessivo: non più un calderone di stili ma delle canzoni dove potessero fondersi diverse influenze musicali. Nascono così interessanti contaminazioni, uniche nel loro genere, come Overpowered By Funk (attitudine punk applicata alla dance, all’elettronica e al rap), Car Jamming, Straight To Hell, Red Angel Dragnet, Sean Flynn e Ghetto Defendant… non mancano dei brani più diretti che sembrano riportare i Clash alle loro radici, come Know Your Rights e Should I Stay Or Should I Go?, pubblicate rispettivamente come primo e terzo singolo estratti da “Combat Rock”. Per quanto riguarda i testi, il tema dominante del disco è la disillusione e la disfatta dell’America dopo la catastrofe del Vietnam: i reduci ormai straniati ed emarginati dalla società, i ragazzi mandati a morire, la terra vietnamita martoriata dalle bombe, l’imperialismo che corrompe ogni ideale. Le registrazioni newyorkesi dei nostri proseguono fino al giorno di Capodanno, dopodiché la band torna in Inghilterra e successivamente appronta un tour che, per la prima volta, porta i Clash ad esibirsi in Estremo Oriente (in Thailandia, Pennie Smith fotografò la band per le foto di copertina e del materiale promozionale legato a “Combat Rock”). Tra febbraio e marzo 1982, nuovamente a Londra, i Clash tornano ad occuparsi del nuovo album che aveva il titolo provvisorio di “Rat Patrol From Fort Bragg”: materiale sufficiente a riempire due LP buoni che suscitò varie discussioni, piuttosto accese, tra Mick, Joe, Bernie e la casa discografica. Mick, che propendeva per un album doppio con mixaggi che privilegiassero gli aspetti danzerecci delle canzoni, viene infine messo in minoranza dagli altri. Il lavoro di editing e di remixaggio del materiale viene quindi affidato a Glyn Johns (noto produttore/tecnico del suono che annoverava lavori per Beatles, Rolling Stones e Who). Johns, sotto la supervisione di Joe, Bernie e un contrariato Mick, elimina quindi le varie introduzioni e code strumentali delle canzoni, esclude dalla scaletta ben cinque brani (la lunga Walk Evil Talk, The Beautiful People Are Ugly Too, Kill Time, Cool Confusion e First Night Back In London, anche se queste ultime due trovarono posto nei lati B dei singoli), portando la durata del disco dagli oltre settanta minuti originali a poco meno di quarantasette.

A questo punto cambia pure il titolo del lavoro: non più “Rat Patrol From Fort Bragg”, bensì “Combat Rock”, un album che adesso studieremo traccia dopo traccia.

1-2) ‘Questo è un annuncio di pubblico servizio… con la chitarra!’, urla Joe nel pezzo che apre il disco, Know Your Rights, un tirato e scanzonato rock dalle cadenze orientaleggianti. Segue Car Jamming, la storia d’un reduce del Vietnam che tornato in patria diventa un assassino (in sottofondo un ritmo tribal-percussivo irresitibile, con un grande coro a rafforzare il canto di Joe).

3-4) Should I Stay Or Should I Go? è uno dei brani più famosi dei Clash, cantato da Mick mentre Joe si diletta con lo spagnolo nei cori (il ritmo di questa canzone è un azzeccato mix fra sonorità rockabilly e punk). Pure la successiva Rock The Casbah è un altro brano molto famoso: un’atmosfera marcatamente funky-dance che però non lascia adito a dubbi… stiamo sentendo i Clash, e che Clash, gente! Il testo di questa canzone (ah, dimenticavo, la musica è quasi interamente frutto dell’inventiva di Topper) prende in giro il divieto di importare/ascoltare musica rock in alcuni Paesi arabi.

5-6) La compulsiva Red Angel Dragnet è invece cantata da Paul (con delle frasi campionate che Robert De Niro recita in “Taxy Driver”, il noto film di Martin Scorsese del 1976), alle prese con un fatto di cronaca nera. Quella che viene dopo è semplicemente una delle canzoni più belle dei Clash, Straight To Hell: Joe canta delle conseguenze disastrose della guerra nel Sudest asiatico, mentre il resto della band risponde con una grandissima base percussiva e degli effetti musicali da antologia.

7) Overpowered By Funk è invece un bel brano tirato con tanto di rap finale ad opera di Futura 2000 (un artista americano amico dei nostri, per il quale Mick produsse anche un singolo).

8-10) Atom Tan, così come la seguente Sean Flynn e poi ancora Inoculated City sono tre brani molto meno immediati: le sonorità sono più pastose, quasi confuse, come se ci si trovasse in quella giungla così ben rappresentata da un film culto come “Apocalypse Now” (che influenzò molto i Clash, vedi pure Charlie Don’t Surf in “Sandinista!”). Sinceramente sono canzoni che non amo particolarmente e per questo, complessivamente, giudico “Combat Rock” un lavoro inferiore a “London Calling” e a “Sandinista!” (anche se Straight To Hell, Rock The Casbah e Should I Stay bastano da sole a giustificare l’acquisto di questo album).

11-12) Ghetto Defendant è un piacevole brano dalla ritmica quasi reggae, nel quale Joe duetta nientedimeno che con Allen Ginsberg, uno dei massimi esponenti della Beat Generation. La conclusiva Death Is A Star è invece un brano lento, piuttosto disteso, dove Joe e Mick cantano all’unisono su una squisita base pianistica: l’atmosfera complessiva ricorda una canzone da saloon westerniano, anche se l’atmosfera è decisamente notturna.

Concludendo, c’è da dire che “Combat Rock” rappresentò infine il più grande successo di critica e di pubblico in patria: l’album volò al 2° posto della classifica, preceduto solo dal grande ritorno di Paul McCartney con “Tug Of War” (il suo primo disco dall’omicidio di John Lennon). Inoltre, grazie ad un hit trascinante come Rock The Casbah (anche il video era forte), “Combat Rock” portò per la prima volta i Clash nella Top Ten americana.

CURIOSITA’ VARIE
Il brano Sean Flynn è un omaggio al figlio di Errol Flynn (il noto attore hollywoodiano) che, recatosi in Vietnam come fotografo di guerra, risultò disperso e quindi dichiarato morto.
Durante le sessioni di “Combat Rock”, i Clash scrissero ed incisero anche il brano Midnight To Stevens, dedicato a Guy Stevens, il produttore di “London Calling”, morto nell’agosto ’81: è forse la canzone più triste e commovente dei Clash che purtroppo rimase inedita fino al 1991. – Matteo Aceto

The Clash, “Sandinista!”, 1980

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SANDINISTA!

CBS, 12 dicembre 1980

NOTE
Quarto album da studio dei Clash, dura 144′ e 26” (l’edizione in vinile è costituita da tre LP, mentre quella successiva in CD è composta invece da due dischi).

FORMAZIONE
Mick Jones (chitarra, piano, basso?, cori, voce), Joe Strummer (voce, cori, chitarra), Paul Simonon (basso, cori, voce), Topper Headon (batteria, piano, basso?, voce).

ALTRI MUSICISTI
Mikey Dread (version mix, effetti, voce), Micky Gallagher (tastiere, organo), Norman Watt-Roy (basso), Tymon Dogg (violino, voce), Ellen Foley (voce, cori), J.P. Nicholson, David Payne, Gary Barnacle (sax), Ivan Julian (chitarra), Bill Barnacle, Don Letts (parlato).

PRODUZIONE
The Clash, Mikey Dread e Bill Price.

STUDIO
Power Station, Electric Lady (New York), Wessex (Londra).

BRANI
1. The Magnificent Seven (The Clash) 2. Hitsville U.K. (The Clash) 3. Junko Partner (Unknown) 4. Ivan Meets G.I. Joe (The Clash) 5. The Leader (The Clash) 6. Something About England (The Clash) 7. Rebel Waltz (The Clash) 8. Look Here (Mose Allison) 9. The Crooked Beat (The Clash) 10. Somebody Got Murdered (The Clash) 11. One More Time (The Clash) 12. One More Dub (The Clash) 13. Lightning Strikes (Not Once But Twice) (The Clash) 14. Up In Heaven (Not Only Here) (The Clash) 15. Corner Soul (The Clash) 16. Let’s Go Crazy (The Clash) 17. If Music Could Talk (The Clash, Mikey Dread) 18. The Sound Of Sinners (The Clash) 19. Police On My Back (Eddy Grant) 20. Midnight Log (The Clash) 21. The Equalizer (The Clash) 22. The Call Up (The Clash) 23. Washington Bullets (The Clash) 24. Broadway (include Blowing In ‘The Guns Of Brixton’) (The Clash) 25. Lose This Skin (Tymon Dogg) 26. Charlie Don’t Surf (The Clash) 27. Mensforth Hill (The Clash) 28. Junkie Slip (The Clash) 29. Kingston Advice (The Clash) 30. The Street Parade (The Clash) 31. Version City (The Clash) 32. Living In Fame (Mikey Dread, The Clash) 33. Silicone On Sapphire (The Clash) 34. Version Pardner (Unknown) 35. Career Opportunities (The Clash) 36. Shepherds Delight (Mikey Dread, The Clash)

STORIA/RECENSIONE
Tra il marzo e l’aprile del 1980, i Clash volano in Giamaica con un nuovo collaboratore, l’artista reggae Mikey Dread: l’intenzione è di sperimentazre ulteriormente le sonorità dub e raggae che i Clash avevano intrapreso qualche tempo prima con brani come Armagideon Time e Bankrobber. Dopo aver tentato inutilmente di registrare una versione di Junko Partner ai celebri Channell One Studios di Kingston, i Clash e Dread capiscono di non trovarsi nel posto migliore per lavorare, dato anche il caos politico che la Giamaica affrontava in quel periodo. E così, dopo qualche giorno di vacanza, i nostri volano negli Stati Uniti… o meglio, Mick Jones, Joe Strummer, Topper Headon e Mikey Dread si dirigono a New York, mentre Paul Simonon se ne va in Canada per un mese, in modo da partecipare alle riprese del film “All Washed Up”, nel quale farà la parte d’un musicista in una punkband con Steve Jones e Paul Cook dei Sex Pistols.
E così, un po’ confusamente, i Clash iniziano a lavorare al loro quarto album a stretto contatto con Mikey Dread e il fido Bill Price (già tecnico del suono in “London Calling”): ma le idee stentano ad arrivare per cui si parte dalle cover… Police On My Back degli Equals, Louie Louie di Richard Berry e Madness di Prince Buster (le ultime due restano ufficialmente inedite tuttora). Poi Mick e Joe, i principali autori delle canzoni dei Clash, decidono di ricorrere ad alcuni amici, sia in qualità di musicisti che in quella di coautori dei brani: invitano in studio Micky Gallagher e Norman Watt-Roy (rispettivamente, tastierista e bassista dei Blockheads, la band di Ian Dury), Ivan Julian dei Voidoids (la band di Richard Hell, ex Television) e Tymon Dogg, il violinista itinerante grande amico di Joe. E così le nuove canzoni (e che canzoni!) iniziarono a sgorgare: degli interessanti crossover tra funk e rap come Magnificent Seven e Lightning Strikes, l’irresistibile The Call Up, la curiosa Lose This Skin (scritta e cantata da Tymon) ma anche la spledida cover di Every Little Bit Hurts (rimasta poi inedita fino al 1991). Preziosi collaboratori a parte, c’è da dire però che l’atmosfera unica al mondo di New York iniziò a contagiare sempre più Joe e Mick, i quali ebbero a disposizione probabilmente la più ricca fonte d’ispirazione che un musicista possa desiderare. In quegli anni, inoltre, stavano fermentando nei sotterranei della Grande Mela delle sonorità quali il rap e l’hip-hop che avrebbero enormemente condizionato il panorama musicale degli anni a venire. I Clash ebbero quindi il privilegio di assorbire queste nuove sonorità in anteprima e di tradurle secondo i propri stilemi: da qui quel sound unico che solo “Sandinista!”, tra gli altri album dei nostri, possiede. Anche Topper si dimostra più collaborativo del solito, basti pensare che “Sandinista!” contiene l’unica canzone dei Clash cantata da lui, Ivan Meets G.I. Joe.
Le sessioni newyorkesi dei nostri si concludono a fine aprile quando, una volta tornato anche Paul nei ranghi, la band fa ritorno in Gran Bretagna per effettuare un breve tour. Al principio dell’estate i Clash sono nuovamente in studio, stavolta nei più familiari Wessex di Londra. La creatività continua a sgorgare (anche Paul è produttivo, compone e canta The Crooked Beat), tanto che i nostri addirittura scrivono e producono pure un album per la cantante americana Ellen Foley (a quel tempo fidanzata con Mick), “Spirit Of St. Louis”, che vedrà la luce nel 1981. Insomma, entro settembre, i Clash si ritrovano con tanto di quel materiale da proporre alla casa discografica la pubblicazione d’un triplo LP. La CBS non accoglie favorevolmente la proposta, dati i costi di produzione superiori e il relativo prezzo al pubblico maggiorato che avrebbe compromesso le vendite. I Clash allora raggiungono un accordo che fa capire quanto fosse importante per loro l’arte a discapito dei soldi: rinunciano ad una considerevole fetta delle loro royalties (le quote spettanti per ogni copia venduta dell’album) pur di far pubblicare “Sandinista!” ad un prezzo basso (poco più d’un album singolo, nemmeno il prezzo d’un doppio). A proposito, il titolo di questo quarto album dei Clash è un omaggio alla riuscita rivoluzione in Nicaragua che depose il dittatore Anastasio Somoza nel 1979: la band ribadì così il suo internazionalismo, il suo impegno sociale, il suo stare dalla parte dei più deboli contro ogni logica imperialista. Nonostante tutto ciò, “Sandinista!” raggiunse un insoddisfacente 19° posto nella classifica britannica, con la maggior parte dei critici musicali che stroncò il sound complessivo dell’album (le cose andarono comunque meglio negli USA). In realtà quello che i Clash proposero al termine del 1980 era un lavoro notevolmente in anticipo sui tempi: un crossover di stili che abbraccia rock, rockabilly, reggae e ritmiche caraibiche in generale, dub, soul, funk, rap, raffinato pop d’autore, sperimentazioni, nastri che girano al contrario, effetti elettronici, dialoghi inseriti in alcune tracce. Evidentemente tutto ciò era troppo per l’ascoltatore medio britannico, compresi i fan storici dei Clash. Oggi posso tranquillamente affermare che “Sandinista!” è l’album dei Clash che preferisco ma m’immagino perfettamente la reazione che può aver avuto un fan che all’epoca, dopo aver esultato per un capolavoro come “London Calling”, si sia ascoltato per la prima volta questo triplo album così caleidoscopico.

Ora procediamo con una breve rassegna (perché i brani sono troppi, ben trentasei) delle canzoni di “Sandinista!”. Come sempre con i Clash, l’album si apre con un brano potente, addirittura uno dei più memorabili mai proposti dai nostri, Magnificent Seven: su una ritmica irresistibilmente funky-disco s’inserisce il rap di Joe, mentre sul finale la chitarra di Mick riporta il tutto in una dimensione più rock. Magnifico è il termine più appropriato per definire questo brano, edito anche come singolo nell’aprile ’81. Hitsville U.K., un duetto tra Mick ed Ellen Foley pubblicato anch’esso su singolo (gennaio ’81), presenta un altro irresistibile ritmo, anche se qui il tono è decisamente pop. Junko Partner è invece il primo d’una serie di grandi brani reggae-dub (Crooked Beat, One More Time/Dub, Corner Soul, If Music Could Talk e The Equalizer) geniali e ricchi d’inventiva. Altrettanto geniale e ricca d’inventiva è Something About England, ma la struttura compositiva è di tuttaltro tono, sicuramente uno dei brani più memorabili di questo disco. Somebody Got Murdered, Up In Heaven e Police On My Back, tre brani cantati da Mick, sono quelli più vicini alle sonorità punk del gruppo, mentre decisamente divertenti all’ascolto risultano brani come Ivan Meets G.I. Joe (dal ritmo quasi disco), Let’s Go Crazy (con una trascinante atmosfera calypso) e Lightning Strikes (un funky-rap simile a Magnificent Seven). Bella e potente è The Call Up (primo dei tre singoli estratti dall’album, nel novembre ’80), bella e commovente è invece Broadway. Più sperimentale e scanzonata l’ultima facciata del terzo LP (brani 31-36), con Mikey Dread che canta sullo stesso ritmo di If Music Could Talk (solo che il nome di questo brano è Living In Fame), con una Junko Partner stravolta e dubbeggiante (chiamata Version Pardner), una rilettura di Career Opportunities (brano originariamente apparso sull’album “The Clash” del 1977) cantata dai figli di Micky Gallagher, e con un sonnacchioso e lento reggae conclusivo, Shepherds Delight, dove Dread sembra farla da padrone.

In definitiva, per quanto mi riguarda, posso affermare che “Sandinista!” è l’album dei Clash che amo di più, oltre che uno dei miei dischi preferiti in assoluto.

CURIOSITA’ VARIE
Somebody Got Murdered è stata originariamente commisionata ai Clash dal compositore Jack Nitzsche, al lavoro sulla colonna sonora del film “Cruising”, con Al Pacino.
La foto di copertina, che ritrae i Clash dopo aver girato il video di The Call Up, è stata scattata da Pennie Smith (che ha ‘firmato’ anche la storica copertina di “London Calling”) vicino ad un ponte ferroviario nella zona nord di Londra. – Matteo Aceto

Joe Strummer: l’anima dei Clash

John Graham Mellor (Ankara, 20 agosto 1952 – Londra, 22 dicembre 2002), al secolo Joe Strummer, è il cantante carismatico dei Clash, riconoscibilissimo per il suo piglio da arrabbiato e per la sua voce roca. Joe è nato in Turchia perché all’epoca suo padre, funzionario inglese del Ministero degli Esteri, aveva una carriera itinerante che lo portava a percorre il confine tracciato dalla Guerra fredda: e così, dopo la nascita di Joe, la famiglia Mellor vive tra Turchia, Egitto, Messico e Germania Ovest.

Nei primi anni Sessanta, tuttavia, i coniugi Mellor mettono i loro due figli in un collegio inglese: l’esperienza dura l’intero decennio e, nonostante il senso di abbandono provato dai due ragazzi, Joe sfoga la sua carica ribelle in una nuova passione, la musica. Tuttavia sarà un fatto tragico a dargli quella spinta definitiva per gettarsi nella musica: nel 1970, suo fratello David si suicida, proiettando sul giovane Joe una lunga ombra dalla quale non si libererà mai.

Rotti i rapporti con la famiglia, Joe inizia a condurre una vita errabonda in giro per l’Inghilterra (e occasionalmente per l’Europa), spesso in compagnia dell’amico Tymon Dogg (che più tardi collaborerà a più riprese sia coi Clash che con l’ultima band di Joe, The Mescaleros). In omaggio al suo idolo folk Woody Guthrie, Joe assume il nome d’arte di Woody Mellor e nei primi anni Settanta diventa il leader d’una formazione, The Vultures, nata nei pressi di Newport da un’accolita di studenti e di squatter. Nell’estate del 1974, Joe è nuovamente a Londra, con ormai i Vultures alle spalle: si trasferisce con amici in uno squat sito al 101 di Walterton Road. Da qui nascerà The 101ers, una formazione di ruvido soul-rock che entro un paio d’anni riesce a farsi un certo nome tra i locali alternativi londinesi e a pubblicare un singolo, Keys To Your Heart (giugno ’76). L’esperienza nei 101ers si rivela fondamentale per Joe perché è in seno ad essi che compone le sue prime canzoni professionali ed impara a catalizzare su di sè l’attenzione del pubblico. Adotta anche un nuovo nome d’arte, quello definitivo di Joe Strummer, ‘strimpellatore’, per via della sua tecnica basilare alla chitarra. Joe si accorge però che i tempi stanno cambiando inesorabilmente, convincendosi ulteriormente quando ha modo di assistere alle esibizioni degli emergenti Sex Pistols (la band di Johnny Rotten e soci fece da supporto agli 101ers nella primavera del ’76). Lo stile di Joe sul palco, già carismatico di suo, diventa così ancora più grintoso e arrabbiato, cosa che attira le mire d’un ambizioso gruppo emergente, The Young Colts – formati da Mick Jones, Keith Levene, Paul Simonon e Terry Chimes – e dal loro manger, Bernie Rhodes, che più volte invitano Joe ad unirsi alla nuova band in qualità di cantante.

Nonostante gli 101ers fossero in procinto d’incidere un album, Strummer manda tutto alle ortiche ed accetta la proposta (anzi, fu un ultimatum!) d’unirsi a quel gruppo che, quindi, adotta il nome The Clash e decolla verso la leggenda. Nei Clash, Joe sarà il principale responsabile dei testi delle canzoni, e quindi assumerà il ruolo dell’ideologo della band, della rockstar vicina alla gente, agli emarginati e agli oppressi del mondo. Del resto, chiunque abbia avuto la fortuna di conoscere Joe, ha messo in risalto la sua straordinaria umanità, la sua naturale predisposizione all’ascolto delle persone. Joe ha dovuto però fare i conti col successo dei Clash e con l’esuberante personalità del partner Mick Jones: istigati da Bernie Rhodes, Joe e Paul decidono quindi di fare fuori Mick nel 1983 e di proseguire come Clash dopo aver rivitalizzato la band con dei giovani componenti. L’esperienza dura una manciata d’anni, con uno Strummer disilluso che decide di abbandonare i Clash al loro destino al termine del 1985. Ma per il nostro sono anche anni di profondi cambiamenti personali: entrambi i genitori di Joe muoiono in quel periodo, mentre la sua compagna, Gaby, gli dà una figlia. Per Joe è anche tempo di rinunciare alla sua vita di squatter e di assumere un profilo artistico (ma anche umano) più maturo.

Ricuce allora lo strappo con Mick Jones scrivendo & producendo con lui il secondo album della sua nuova band, Big Audio Dynamite, tentando anche inutilmente di convincerlo a rifondare i Clash con Paul Simonon. Tra il 1986 e il 1988, Joe tiene un basso profilo ma è straordinariamente attivo: scrive le musiche di varie colonne sonore (“Sid & Nancy”, “Walker”, “Straight To Hell” e “Permanent Record”), recita in alcuni film indipendenti e inoltre forma i Latino Rockabilly War, un gruppo col quale effettua un tour per la Gran Bretagna nell’estate del 1988. Nel 1989, Joe debutta col suo primo vero album da solista, “Earthquake Weather”, anche se nel corso degli anni Novanta riassume un ruolo di basso profilo (per lo più come produttore, qui ricordo il suo lavoro per i Pogues e i Black Grape).

Ritorna alla grande con una nuova band, denominata Joe Strummer & The Mescaleros, con la quale debutta nel 1999 con l’album “Rock Art And The X-Ray Style”. Segue “Global A Go Go” (2001, dedicato allo scomparso Joey Ramone), con entrambi gli album supportati da fortunati tour internazionali. Purtroppo la morte colpirà Joe nel bel mezzo di questa ritrovata attività artistica: un arresto cardiaco lo stronca infatti nella sua casa londinese il 22 dicembre 2002. All’indomani della sua morte, le maggiori rockstar mondiali avranno parole di cordoglio e di riconoscenza per quella figura assolutamente unica che è stata Joe Strummer. (ultimo aggiornamento: 19 febbraio 2008) – Matteo Aceto