Sono decenni che sento parlare della visionarietà di gruppi e cantanti come Pink Floyd, Queen, Michael Jackson e Peter Gabriel, tanto per dirne qualcuno, eppure nessuna delle opere filmiche associate ai miei beniamini musicali mi ha mai veramente esaltato. Escludendo infatti una manciata di videoclip, magari girati pure da illustri registi cinematografici, solitamente l’aspetto visuale della musica pop non mi ha mai convinto del tutto. Quando ad esempio esce un nuovo album, e l’edizione deluxe include semplicemente un divuddì, state pur certi che io vado a comprarmi l’edizione standard dell’album in questione, lasciando il divuddì al tempo che trova.
Certo, oltre a uno strabiliante quantitativo di pezzi strafamosi in tutto il mondo, uno come Michael Jackson ci ha lasciato anche tutta una serie di videoclip che hanno a dir poco lasciato il segno: pensiamo soltanto a Thriller e Black Or White, girati entrambi da John Landis, rispettivamente nel 1983 e nel 1991. Eppure, quella volta che si è cimentato con il cinema vero e proprio, col film “Moonwalker”, non ci ha lasciato niente di veramente memorabile, per non dire di fondamentale per la comprensione dell’artista. Così come Prince, il quale si è cimentato per ben tre volte con l’opera filmica in quanto tale: i suoi “Purple Rain” (1984), “Under The Cherry Moon” (1986) e “Graffiti Bridge” (1990) sono tutto fuorché memorabili pellicole da guardare e riguardare per la gioia degli occhi.
E che dire dei miei amati Queen? C’è chi sostiene che quello girato per Bohemian Rhapsody nel 1975 sia il primo videoclip della storia (anche se, secondo me, i Beatles hanno preceduto tutti con Strawberry Fields Forever e Penny Lane, se non già con Paperback Writer e Rain dell’anno prima, il 1966), ma ad ogni modo non fa che animare la copertina di “Queen II”, un album uscito l’anno prima. Insomma, per quanto possa essere considerato innovativo per l’epoca, un video come Bohemian Rhapsody sembrava più guardare al passato che annunciare il futuro. E in effetti, i videoclip dei Queen che gli sono susseguiti negli anni non sono particolarmente memorabili o quantomeno espressivamente rilevanti.
Ci sono stati casi di commistione disco/film più interessanti nel caso di Who e Pink Floyd: entrambi questi storici gruppi inglesi hanno prodotto delle opere che possiamo definire multimediali, come nel caso di “Tommy” (1975, diretto da Ken Russell) e “Quadrophenia” (1979, diretto da Franc Roddam) per i primi e “The Wall” (1982) per i secondi. Vi dirò la mia: pur avendo ascoltato (e in un caso comprato) i due classici degli Who, non ho mai sentito l’esigenza d’andarmi a vedere i loro film (li considero dei tipici film generazionali, buoni cioè per quella generazione che li ha visti al cinema, all’epoca), mentre “The Wall” di Alan Parker è tutto fuorché una visione piacevole. Musica a parte, è uno di quei film che puoi vedere una volta, anche due o tre, ma poi basta così, grazie.
Nel corso degli anni Ottanta, quando il videoclip iniziò a farsi inevitabilmente più spettacolare (anche e soprattutto per il fenomeno Jackson), molti musicisti provarono a dare uno sfogo più compiuto alla loro visionarietà. Ne ricordo alcuni tra quelli che ho visto o meno, da Matt Johnson, alias The The, che mise assieme i videoclip girati per ognuno dei brani dell’album “Infected” (1986), presentando il tutto come un mini film da un’ora di durata, a David Byrne che con “True Stories” (1986) realizzò un vero e proprio film, passando per “Hell W10” (1983) dei Clash e “JerUSAlem” (1987) degli Style Council, tanto sconosciuti al grande pubblico quanto ambìti dai cacciatori di rarità.
Sorvolando sui trascorsi cinematografici di Madonna, David Bowie e Sting (i quali hanno però preso parte a pellicole cinematografiche “pure”, per così dire, film realizzati a prescindere dai loro dischi e non necessariamente di tipo musicale), passo infine a Beyoncé, che dal 2013 ha iniziato a distribuire i suoi album sotto forma di veri e propri dischi audio/video, dove all’immagine è riservata la stessa importanza data alla musica. Tuttavia, per quanto io trovi mooooolto fisicamente attraente la bella Beyoncé, non ho finora sentito l’esigenza di procurarmi queste che, tutto sommato, dovrebbero essere pure delle prove creative degne di nota. Insomma, mi accontento di ammirare la sua avvenenza in quelle rare occasioni in cui sintonizzo la mia tivù su quale canale musicale.
E questo, per quanto mi riguarda, vale un po’ per tutti i nomi che ho citato e per quelli che, pur avendo visto, ho al momento dimenticato. Il mondo del pop, in definitiva, quando ha lasciato lo studio d’incisione per entrare in un set cinematografico non mi ha mai veramente colpito. Non so se resta soltanto una mia impressione. – Matteo Aceto