Navigando in rete, un paio di giorni fa, leggevo una notizia che ha dell’incredibile: “Innuendo” dei Queen compie venticinque anni! Come?! Sono già passati venticinque anni?! E io che ho fatto in tutto quel tempo?! Ebbene sì, la pubblicazione dell’ultimo album inciso dalla celeberrima band inglese col compianto Freddie Mercury risale per l’appunto a un quarto di secolo fa. Come vola il tempo! E allora, con la scusa di dover rimpolpare questo blog redivivo, colgo l’occasione d’un tale anniversario per rielaborare un vecchio post che scrissi nel febbraio 2007, quando ancora il mio sito si chiamava Parliamo di Musica.
Checché ne dicano gli ammiratori di “A Night At The Opera” (1975) e i nostalgici del rock anni Settanta, secondo me il miglior album dei Queen è proprio “Innuendo”, ultimo disco al quale abbia partecipato attivamente Freddie Mercury. E’ l’album della completa maturità, l’album definitivo (in tutti i sensi, purtroppo…), il disco nel quale i Queen sfoggiano al meglio il loro inconfondibile stile musicale, infondendovi grande epicità e carica melodrammatica, in una sequenza mozzafiato di dodici canzoni indimenticabili.
Si parte col brano omonimo, Innuendo, una grandiosa progressione rock suddivisa in quattro tempi, per una lunghezza complessiva di sei minuti e mezzo. La prima parte è un irresistibile – e ormai famosissimo – bolero in chiave rock che quindi sfuma in una composizione più lenta per sola chitarra e voce. Segue una parte in stile flamenco – suonata da Brian May con Steve Howe, il chitarrista degli Yes – e poi una breve sequenza tipicamente mercuriana (“You can be everything you want to be”… ecc), prima della ripresa in chiave heavy del pezzo di flamenco, seguita infine dalla ripresa del bolero iniziale. Una canzone straordinaria, Innuendo, degna erede d’un altro capolavoro chiamato Bohemian Rhapsody. Pubblicata nel gennaio ’91 come primo estratto dall’album, Innuendo riportò meritatamente i Queen al vertice della classifica inglese dei singoli.
Dopo Innuendo troviamo la splendida I’m Going Slightly Mad, altro brano tipicamente mercuriano, dove il cantante ci regala una delle sue migliori prove vocali. Da applauso è anche tutta la parte di chitarra di Brian, con svariati effetti che passano dal canale sinistro dello stereo a quello destro, e viceversa (un giochetto molto frequente nella produzione dei Queen che personalmente ho sempre gradito).
Segue la rockeggiante Headlong, caratterizzata da un ritmo incalzante che rispolvera la vena più heavy dei nostri; così come I’m Going Slightly Mad, anche Headlong è stata pubblicata su singolo in una versione leggermente editata (mentre nella riedizione di “Innuendo” pubblicata cinque anni fa dalla Universal per la serie “2011 Digital Remaster” si può ascoltare Brian alla voce solista, in quella che viene accreditata come Embryo with Guide Vocal). E’ quindi la volta di I Can’t Live With You, una bella canzone dalla sonorità decisamente pop ma dall’approccio complessivo più vicino ai canoni rock, specie nell’emozionante parte finale.
Dopodiché troviamo la prima lenta del disco, ovvero Don’t Try So Hard: dolente, malinconica ma al contempo inconfondibilmente queeniana, dove, ancora una volta, Freddie si rende protagonista con una voce da brividi. Come un’auto in corsa giunge invece la tempestosa e serrata Ride The Wild Wind, dove la parte ritmica è in poderosa evidenza per tutta la durata del brano. Non a caso l’autore principale del brano è il batterista Roger Taylor, il quale è anche il cantante nella versione Early Version with Guide Vocal, inserita nella riedizione “2011 Digital Remaster”.
La successiva All God’s People è una canzone ben più complessa, una sorta di mix fra generi tipicamente black come soul, gospel e blues; un brano a suo modo anche sinfonico, ricavato da un demo del 1987 (tuttora inedito) che Freddie aveva concepito come uno dei potenziali duetti col soprano Montserrat Caballé per l’album “Barcelona“.
La dolce e malinconica These Are The Days Of Our Lives è una calda e distesa ballata di gran classe: tutto è perfettamente equilibrato in questo brano pop-rock, dalle parti vocali all’arrangiamento delle percussioni, passando per un memorabile e struggente assolo di chitarra. Con Delilah siamo invece alle prese col momento più leggero dell’album: un brano gradevolmente elettropop con cadenze orientaleggianti, dedicato da Mercury alla sua gatta preferita (diverte a tal proposito l’assolo di May, che ricorda il miagolare d’un gatto).
E se la cupa The Hitman ci riconduce in territori ben più heavy, in quella che è una delle canzoni più fragorose e casinare dei Queen, la successiva Bijou, perlopiù strumentale, è una malinconica canzone d’amore dove il virtuosismo di Brian fa superba mostra di sé. Chiude questo splendido disco che è “Innuendo” un’autentica gemma chiamata The Show Must Go On, una delle canzoni più famose e amate dei Queen, pubblicata come ultimo singolo estratto dall’album. Tutto il brano è un’esaltazione dello stile Queen più melodrammatico ed epico, con una prestazione vocale di Freddie da pelle d’oca e un Brian in forma strepitosa. Una chiusura memorabile che forse vale da sola l’acquisto di un tale, straordinario album.
Inciso fra il 1989 (all’indomani della pubblicazione dell’album “The Miracle“) e il ’90, “Innuendo” è stato prodotto dagli stessi Queen col fido David Richards, al fianco dei nostri fin dal 1986. Tutte le canzoni sono firmate Queen anche se pare che l’autore più prolifico sia stato Freddie Mercury mentre quello meno attivo sia stato il bassista John Deacon. A Roger Taylor va il merito d’aver composto una delle migliori ballate del gruppo, These Are The Days Of Our Lives, e di aver suonato ottimamente in tutto l’album, come in studio non faceva forse da dieci anni. Per tutto il disco troviamo un originale e brillante lavoro di chitarra con Brian May, mentre la voce di Mercury, seppur sensibilmente minata dalla malattia, è incredibilmente appassionata e squillante. – Matteo Aceto