Tra tutti gli album dei miei amati Queen, “A Day At The Races” resta quello che probabilmente ho ascoltato di meno. Meno d’una decina di volte di sicuro, considerando che ne posseggo una copia in vinile da oltre vent’anni e che nel 2011 ne ho riacquistata un’altra, in formato ciddì (remasterizzata e con brani aggiunti). Eppure niente, quella tra me e questo disco è una storia d’amore mai nata. Come per il formato mp3, insomma. E come per lo sport del calcio, fra le altre cose. Sto divagando, lo so.
“A Day At The Races” non può certo essere considerato un brutto disco, e se non altro contiene una delle canzoni più belle & rappresentative dei Queen, quella Somebody To Love che ormai dovrebbero conoscere anche gli animali domestici. Le altre canzoni, però, il modo in cui sono state incise e perfino la loro sequenza nell’album non mi hanno mai convinto appieno. “A Day At The Races” è per me il classico disco che un fan compra tanto per completare la collezione. Tolta Somebody To Love – che ho comunque sul primo “Greatest Hits” dei Queen – e tolta Tie Your Mother Down – alla quale ho sempre preferito la scatenata versione dal vivo a Wembley nel 1986 – potrei in definitiva anche farmi derubare delle mie due copie di “A Day At The Races” che forse non me ne accorgerei nemmeno.
Seguito un po’ sbiadito di “A Night At The Opera“, col quale condivide titolo (entrambi sono i titoli originali di altrettanti film dei Fratelli Marx) e veste grafica, “A Day At The Races” contiene inoltre quella che considero una delle canzoni più brutte dei Queen, ovvero Drowse, scritta dal batterista Roger Taylor (per me l’autore meno dotato tra i componenti della band, anche se a partire dagli anni Ottanta ha avuto modo di migliorarsi parecchio), mentre brani come You And I e The Millionaire Waltz mi hanno sempre lasciato indifferente. In tutte le altre canzoni ho sempre trovato un qualcosa d’artificioso che, a ben pensarci, mi ha fatto storcere il naso fin dalla prima volta che ho ascoltato questo disco, a metà anni Novanta.
Perfino quella che viene considerata una delle canzoni più belle e suggestive di Freddie Mercury, ovvero You Take My Breath Away (per certi aspetti anticipatrice del “Barcelona” che verrà), non mi ha mai appagato del tutto. Forse è un problema di produzione: con “A Day At The Races”, infatti, per la prima volta un disco dei Queen è stato prodotto da essi stessi, rinunciando a quel Roy Thomas Baker che aveva contribuito non poco al successo di “A Night At The Opera”. Ecco, secondo me i Queen non erano pronti par far tutto da soli; tant’è vero che dopo “A Day At The Races” si autoprodussero il solo “News Of The World” (dal sound più fresco, in effetti) e già con “Jazz” tornarono a chiedere i servigi del buon Baker. In seguito, pur cambiando produttore altre volte, quello della completa autoproduzione fu un esperimento che i Queen non ripeterono più.
Magari potrei aggiungere altro all’oggetto di questo post, il successo in classifica o qualche aneddoto curioso, ma in fondo a che pro? È un disco che ho ascoltato poco, come detto all’inizio, e che non è mai stato di mio gradimento. Resto comunque in attesa spasmodica di “Bohemian Rhapsody“, il biopic sui Queen diretto dal controverso Bryan Singer: uscito in gran parte del mondo ai primi del mese, in Italia verrà distribuito nelle sale a partire dal 29 novembre. In America, nonostante le critiche non sempre positive da parte degli “addetti ai lavori”, il film è già un successo. E tutto questo, c’è da giurarlo, rilancerà in classifica gran parte delle raccolte e degli album dei Queen; magari anche il mio ben poco amato “A Day At The Races”. – Matteo Aceto