Un argomento che mi ha sempre affascinato è quello dei progetti musicali e cinematografici irrealizzati. Qualche giorno fa rileggevo una biografia di Federico Fellini, nella quale – tra i vari progetti irrealizzati – si parlava d’un film a episodi su Venezia. Mi sono così ricordato di aver già scritto un paio di post su questo argomento: uno pubblicato il 17 gennaio 2007, quando il blog si chiamava ancora Parliamo di Musica, e uno pubblicato l’11 gennaio 2010, quando il blog si chiamava già Immagine Pubblica.
E allora non mi resta che riproporre quegli scritti, rivisti e ampliati per l’occasione (limitandoci ora ai progetti discografici, mentre quelli cinematografici saranno il tema del prossimo post), senza l’arroganza di voler esaurire l’affascinante argomento. Anzi, ogni vostra eventuale aggiunta tra i commenti sarà per me cosa molto gradita.
Di interi album registrati ma lasciati a raccogliere polvere negli archivi, di collaborazioni mancate e di capolavori perduti, la storia della musica ne è piena. A volte è stata la pochezza tecnologica ad impedire a un artista di concepire materialmente l’opera che aveva in mente, spesso invece sono intervenuti blocchi creativi, veti da parte della casa discografica, ma anche la paura dell’artista stesso di esporsi o di andare fino in fondo. Senza contare, inoltre, le solite storie di droga, alcol e dissolutezze varie, nonché incidenti e fatalità. Vediamo qualche caso.
Nel 1966, dopo aver dato alle stampe un capolavoro come “Pet Sounds”, i Beach Boys sono già alle prese con un nuovo album, “Smile”: Brian Wilson, la mente creativa del gruppo, che già nel corso delle sessioni di “Pet Sounds” aveva manifestato evidenti segni di squilibrio, subì il definitivo tracollo mentale proprio durante la sua lavorazione. Un consumo eccessivo di droghe, lo stress, l’ispirazione creativa altalenante, ma pure il bruciante desiderio di voler superare un capolavoro come il “Sgt. Pepper” dei Beatles, causarono il crollo definitivo di Wilson. “Smile” venne abbandonato e Brian se ne restò a letto per due anni, almeno così narra la leggenda. “Smile” è stato finalmente ufficializzato nel 2004: seppur apprezzato e acclamato dai fan, l’album non contiene il materiale dell’epoca, bensì è una rivisitazione moderna ad opera del solo Wilson, mentre per ascoltare come si deve le registrazioni originali del ’66-’67 si dovette attendere l’autunno del 2011, in occasione della pubblicazione delle “Smile Sessions”. Dell’album originale, tuttavia, non c’è traccia: il tutto resta (o restava) un progetto intraducibile nella mente geniale di Brian Wilson.
Sempre nel ’67, i Bee Gees avevano pronta una nuova canzone, To Love Somebody, da far cantare a Otis Redding. Purtroppo l’aereo sul quale viaggiava Redding si schiantò al suolo e con esso la possibilità d’una collaborazione dell’artista americano coi fratelli Gibb. Vicende decisamente meno tragiche, ma sempre legate ai Bee Gees, riguardano alcuni loro album registrati e mai pubblicati: addirittura nel 1970, in un periodo in cui il gruppo era ufficialmente sciolto, i tre fratelli Gibb registrano ciascuno un album solista ma, a parte qualche singolo, nessuno dei tre elleppì raggiunge le rivendite, coi fratelli che decidono di riunirsi sotto il celebre nome comune già entro l’anno. Nel ’73, tuttavia, un intero album dei Bee Gees, “A Kick In The Head…”, verrà accantonato perché il manager Robert Stigwood l’aveva ritenuto poco appetibile commercialmente. I fratelli non si persero comunque d’animo e registrarono daccapo un nuovo disco, “Life In A Tin Can”, che venne distribuito in quello stesso anno.
Verso la fine degli anni Sessanta, i Pink Floyd pensavano di concepire un disco intitolato “The Man”: doveva descrivere la giornata tipica d’un hippie, dal momento in cui questo si svegliava al momento in cui si coricava. Il gruppo riuscì però a concretizzare un solo brano, Alan’s Psychedelic Breakfast, che finì come appendice allo straordinario “Atom Heart Mother”. Un altro progetto floydiano del periodo prevedeva la realizzazione d’un disco con strumentazione interamente non convenzionale (per esempio, picchiare delle pentole invece che colpire la batteria): pare che i nostri abbiano inciso un paio di brani ma che, alla fine, abbiano abbandonato il progetto perché non abbastanza interessante musicalmente. Insomma, il suono complessivo dell’opera non sarebbe stato un granché.
Anche il componente più misterioso dei Pink Floyd, Syd Barrett, rientra nel discorso: nel ’74 qualcuno riuscì a convincerlo a tornare in studio (ma ci provò – inutilmente – pure David Bowie), dopo che Syd aveva faticosamente realizzato due album nel corso del 1970, “The Madcap Laughs” e “Barrett”. Tuttavia non si riuscì a cavare nulla di buono da quegli spezzoni incompleti, perlopiù strumentali, che Syd registrò a intermittenza durante la sua ultima (e breve) permanenza in studio.
Nel ’73, invece, David Bowie rese pubblico il suo proposito di creare un musical (e quindi un disco) basato su “1984”, il celebre romanzo di George Orwell. Bowie inizia a comporre delle canzoni senza che gli eredi di Orwell abbiano dato il nullaosta al progetto. Quando il nostro si vede infine negare i permessi necessari, decide di pubblicare lo stesso le canzoni fin lì registrate (nel bellissimo “Diamond Dogs”) ma l’idea originaria del musical resterà nel cassetto. Ventanni dopo e un altro progetto di Bowie andrà a farsi benedire: nel 1995 esce l’album “1. Outside”, primo capitolo (nelle intenzioni originali) d’una saga di ben cinque dischi che il nostro avrebbe dovuto pubblicare fino al termine del secolo, quindi un disco all’anno dal ’95 al ’99. Peccato però che David resti folgorato dalla nascente scena jungle e decida di pubblicare un disco a tema, “EAR THL ING” (1997) che, di fatto, relega in archivio i seguiti di “Outside”. Adesso tratteremo però tutt’altra storia, dai toni ben più drammatici.
Nel novembre 1980 Ringo Starr è a New York, ospite di John Lennon, il quale aveva pronte per il batterista quattro nuove canzoni (tra cui Life Begins At 40) per il suo prossimo album. I due amici si salutano col proposito d’incontrasi di nuovo al principio dell’81, per avviare il lavoro in studio. Purtroppo, come tutti sappiamo, un folle uccise John l’8 dicembre e Ringo, per rispetto dello sfortunato amico, decise di non utilizzare le canzoni che Lennon aveva scritto per lui. Un nuovo album di Ringo uscì comunque nel 1981, “Stop And Smell The Roses”, un disco che figurava contributi preziosi sia da parte di Paul McCartney che di George Harrison. Probabilmente, col contributo di Lennon, “Stop And Smell The Roses” avrebbe testato una prossima reunion dei Beatles. E’ quanto ha dichiarato in anni recenti Jack Douglas, l’ultimo produttore di John.
Un personaggio noto per tutta una serie di fantomatici progetti è Prince. Nel 1986 torna in studio col suo gruppo, The Revolution, per registrare un nuovo disco intitolato “Dream Factory”. Il progetto non viene però portato a termine, coi Revolution che si sciolgono e con Prince che torna a procedere da solista. L’artista realizza quindi un triplo album, “Crystal Ball”, che la casa discografica rifiuta: il nostro risponde con un nuovo album, stavolta un doppio, “Sign ‘O’ The Times”. La Warner Bros decide (per nostra fortuna) di pubblicarlo ma poi Prince, non pago, torna già in studio per un nuovo progetto, “The Black Album”. Anche questo finisce negli archivi (vedrà ufficialmente la luce solo nel ’94) ma Prince ha già un altro disco in mente, da accreditare ad uno pseudonimo femminile, Camille. Al momento di essere pubblicato, Prince (o la Warner, non è chiaro) decide però di far ritirare il disco. E così, nel 1988, ecco che esce finalmente “Lovesexy”, anticipato dall’eccezionale singolo Alphabet St.. Ci sono altre storie riguardanti dischi interi realizzati da Prince ma mai pubblicati (comprese le sue discusse collaborazioni con Miles Davis) e la cosa meriterebbe un discorso a sé. Per ora andiamo avanti, anche se Prince torna protagonista…
Fra il 1986 e il 1987, Michael Jackson è in studio per dare un seguito al fortunatissimo “Thriller”: una delle nuove canzoni, Bad, è pensata come un duetto con Prince. Il folletto di Minneapolis entra in studio ma poi sorgono differenze musicali con Jackson che lo inducono ad abbandonare la collaborazione, mentre Bad, come sappiamo, diventerà uno dei maggiori successi di Michael. Chissà in qualche archivio è conservato quell’originale duetto fra i due giganti della musica nera degli anni Ottanta. Ma c’è un’altra celebre collaborazione di Michael Jackson che finora ha svelato ben poco: quella con Freddie Mercury. I due incisero a Los Angeles almeno tre canzoni nel corso dell’83. Dei tre brani, State Of Shock è finito sull’album “Victory” (1984) dei Jacksons (con Mick Jagger che, di fatto, sostituisce Mercury), There Must Be More To Life Than This è stato incluso nel primo album solista di Freddie, “Mr. Bad Guy” (interamente cantato da Mercury, quando la prima versione del brano figurava il solo Michael alla voce con Freddie al piano), mentre il terzo, pare intitolato Victory, resta in qualche archivio privato (si può approfondire QUI l’argomento, ad ogni modo).
Tornando ad album interi registrati e poi accantonati, passiamo al 1989, quando gli Style Council incidono un disco di house music intitolato “Modernism: A New Decade”, una sorta di positivo benvenuto agli anni Novanta. La Polydor rigetta però l’album, con la band che di lì a poco si scioglie: Paul Weller diventerà un solista acclamato (specialmente nella nativa Gran Bretagna) mentre l’album figurerà come succoso inedito in un cofanetto dedicato agli Style Council, pubblicato dalla stessa Polydor nel 1998.
Tornando infine alle tragiche fatalità, la morte di Jimi Hendrix nel settembre 1970 minò definitivamente il sogno d’una collaborazione paventata da mesi, quella tra il celebre chitarrista mancino e l’altrettanto celebre trombettista Miles Davis (nome che abbiamo già citato). Pare che i due si inseguissero da mesi, abbagliati da una mutua ammirazione, eppure l’ego fece la sua parte: in un’occasione non si presentò Hendrix, in un’altra – quando Jimi era già arrivato in studio con la chitarra in mano – Davis non si fece vedere. Secondo quella gran bella biografia davisiana di Gianfranco Salvatore chiamata “Lo sciamano elettrico”, Jimi aveva già il biglietto aereo per New York nella stanza del suo albergo londinese, proprio per raggiungere Miles Davis e collaborare finalmente con lui. Come tutti sappiamo, tuttavia, la storia non è andata così. Chissà che ci siamo persi…
Ebbene, questi sono gli esempi di progetti discografici irrealizzati più noti che mi sono venuti in mente, ma sono certo che esistono parecchi altri esempi legati agli artisti più disparati. Questo è un argomento che mi ha sempre colpito per cui, chi volesse, può sempre aggiungere altre storie. – Matteo Aceto